“Una formidabile resa dei conti sul potere, il femminismo, la fede, la letteratura”: in arrivo un nuovo libro inedito di Michela Murgia, “Ricordatemi come vi pare – In memoria di me” – I particolari e un capitolo, dal titolo “Che ne sarà delle mie battaglie?”

Ricordatemi come vi pare – In memoria di me, in uscita per Mondadori, editore dell’ultimo libro in vita di Michela Murgia (Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi), è il nuovo testo inedito della scrittrice, venuta a mancare il 10 agosto 2023.

Dopo il libro postumo Dare la vita (qui un estratto), uscito per Rizzoli a gennaio 2024, quindi, è il momento di una vera e propria autobiografia.

Nella presentazione si legge che “tutto ciò che Michela evoca e descrive succede in noi come per la prima volta: Ricordatemi come vi pare è un libro di sveglia e di veglia, una prima volta che dura per sempre”.

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La “viva voce” di una delle intellettuali italiane più lucide e appassionate del nostro tempo torna così a visitare lettrici e lettori per quella che viene definita “una formidabile resa dei conti sul potere, il femminismo, la fede, la letteratura“.

Ma, soprattutto, “sulle dieci vite” che Michela Murgia “ha vissuto con incantata sfacciataggine, senza paura, ripercorse oralmente nell’unica autobiografia organica possibile per una donna che ha attraversato il mondo correndo scalza, bruciando luminosamente ogni tappa”.

Sempre nella scheda, si sottolinea che “alla vigilia di una morte che l’ha trovata gioiosa come una martire capace di cantare mentre avanza verso i leoni, Michela Murgia ha trascorso una settimana a raccontarsi a Beppe Cottafavi, suo editor e amico. Le registrazioni di quella sua ultima estate, ancora piena di storie come lo erano state le cinquanta precedenti, danno sostanza a questo libro”, arricchito da quattro racconti inediti e da altri testi perduti che l’autrice sarda ha scelto e indicato tra un ricordo e l’altro.

In Ricordatemi come vi pare – In memoria di me trovano così spazio “innamoramenti e parentele queer, matriarche oristanesi che sgranano rosari di cinque colori per salvare ogni continente, madonne con la parrucca, uomini violenti e maestri sognanti, lezioni di lingua sarda e cultura coreana, di esegesi biblica e di scrittura magica, di politica attiva e di militanza culturale”.

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Un libro d’impatto sin dall’incipit: “Non ho mai pensato di mostrarmi diversa da come sono per compiacere qualcuno. Persino a chi mi odia credo di essere stata utile. Perché, per contrasto, quella gente ha potuto definire se stessa…”.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, un capitolo dal libro:

Che ne sarà delle mie battaglie?

A un certo punto il profeta Elia va nel deserto perché cerca la voce dello Spirito. La trova negli eventi naturali, nel tuono, nel vento, dove ti aspetti che giunga in forma violenta, molto fragorosa, non eludibile. Ogni volta la Bibbia dice: ma la voce del Signore non era nel tuono, non era nel vento, non era nella pioggia, non era nei fenomeni naturali di rottura. Riparatosi in una grotta, Elia sente un refolo, e nel refolo c’è la voce dello Spirito. Se non ti fermi a riflettere, il refolo non lo senti mai. Per molto tempo, nella mia vita, ho solo corso, ho corso per salvarmi, per dimostrare che ce la potevo fare, ho preteso da me stessa atteggiamenti eroici, iper-performativi, per ottenere di più, per essere sempre al di sopra di qualunque minaccia, non tanto di qualche aspettativa, perché su di me aspettative non ne aveva nessuno. Quando me ne sono andata di casa mio padre mi ha detto: «Farai la puttana oppure andrai a lavare le scale». Io sapevo che non era vero, ma non sapevo come lo avrei smentito. Per tutta la vita ho pensato a lui a ogni traguardo raggiunto: ecco, vedi, non sono diventata quello che tu volevi diventassi, non mi hai visto fallire, né tornare indietro da te. Non è questione di essere brava. La questione è che per me l’arte, prima di essere mestiere, è passione. La mia stabilità economica non può dipendere da una pratica che mi muove dentro così tante cose. Non posso lavorare a tavolino con il mio sangue, la mia esperienza, la mia vita. Io scrivo solo di quello che conosco. Per scrivere devo attraversare la vita. Io devo avere un movente. Senza, non ha senso. E il movente non può essere l’affitto, mi avvilirebbe scrivere per incertezza economica. Scrivo perché il mondo certe cose le deve sapere. E dunque alzo la voce. Ora che il mio tempo sta per finire ho capito quanta potenzialità ci fosse nei soffi, nei refoli e nei respiri piccoli. Persino nel silenzio. C’è stato molto silenzio attorno a me quando venivo insultata e vilipesa. Mi hanno lasciata sola. Attaccata da poteri fortissimi. Senza avere un sistema alle spalle. Il primo pensiero, insonne alle tre del mattino, è stato: “Dove sono tutti quanti mentre mi sta succedendo questo? Perché stanno zitti? Dove sono i miei colleghi?”. Walter Siti mi ha detto con grande onestà: «Io sono un vile. Vedo quello che accade a te, a Roberto Saviano. Ma taccio. Io ho paura dei modi in cui la morte può entrare nella vita. Non occorre una scorta. Può essere che tu venga mortificato dagli insulti di perfetti sconosciuti. Io non sono psichicamente strutturato per resistere a una pressione del genere». Siti è onesto, il suo silenzio politico non corrisponde al rumore, anche ruvido, della sua voce letteraria. Non era sempre necessario essere magnifica, eroica. Sarebbe bastato anche meno. A cinquantun anni mi sento come se avessi bruciato troppo. Troppo ossigeno. Troppo tempo. Troppa energia. Come fossi stata una candela con due stoppini. Mi chiedo se quello che mi sta succedendo non abbia a che fare col fatto che ho bruciato troppo. Se bruci tanto, fai tanta luce. Ma forse ne sarebbe bastata meno. Forse sarebbe bastato che non fossi io ogni volta quella che parlava per prima, quella che gridava più forte, che scriveva ciò che nessun’altra aveva il coraggio di scrivere, quella che si esponeva. La mia vita è stata peggiore perché io ho vissuto in prima linea troppo tempo. Forse non tutto era necessario. Ora non sento più il richiamo della contingenza. La polemica del giorno non mi interessa più. Dire quello che penso di Salvini o del figlio di La Russa non mi importa più. Perché quello che dovevo dire su questi temi, l’ho detto. Ora è come se la mia voce riverberasse una eco che continua a risuonare anche se io non sto più parlando. Perché ho generato un’identificazione tra quello che dicevo e quello che ero. Per cui sembra che parli e mi pronunci anche quando non lo faccio. Questa cosa l’ho pagata. Con tanti haters. Però mi ha ripagata. Se morissi domani (e il giorno della mia morte non è lontano) ci sono centinaia di persone che potrebbero alzarsi per dire: “Michela Murgia direbbe”. Perché anche se non potrò dirlo, comunque l’ho detto. Ci sono anche luoghi comuni, stereotipi, cliché – non è che ti inventi ogni volta chissà cosa. Però qualcosa di importante, in quella massa, rimane magico, e questo fa la differenza. Posso ora permettermi l’egemonia del silenzio perché ho parlato per anni, moltissimo.

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