Silvana La Spina ci porta nella Palermo di fine ‘700 con “L’uomo del Vicerè”, romanzo in cui per risolvere un macabro caso non basta la ragione, ma è necessario affondare le mani nel male
Ci sono indagini e indagini. Alcune obbediscono alla logica e al distacco. Altre sono figlie di un grumo di peccati, attraversano il dolore, rendono inspiegabili le cose del mondo.
L’uomo del Vicerè (Neri Pozza), il nuovo romanzo di Silvana La Spina, già autrice di numerosi romanzi e vincitrice nel ’92 del premio Chiara con la raccolta di racconti Scirocco, ci porta nel 1783, in una Palermo rancorosa e fetida: la nobiltà è in lotta contro il nuovo Viceré, l’illuminista e intellettuale marchese Caracciolo.
Mentre accade questo vengono ritrovati i cadaveri di alcune bambine: martirizzate, torturate, uccise e poi abbandonate per strada. Atrocità macabre che sembrano arrivare da un mondo buio e feroce. Così il Viceré manda a chiamare Maurizio di Belmonte, un nobile incontrato a Londra che tornerà di malavoglia a Palermo a causa di uno scandalo familiare e soprattutto del lungo amore con Viola Inzerillo, ora sposata con un francese.
La società palermitana gli sbarra la strada, rendendogli da subito difficili le indagini, ma con l’aiuto dell’avvocato illuminista Francesco Di Blasi qualcosa si muove: le bambine uccise portano strane medagliette e le torture subite sono assai simili a quelle dei monaci dell’Inquisizione. Ma chi applica ancora quelle torture alle povere disgraziate?
Per risolvere questo caso non basteranno i libri e la limpida ragione del Vicerè Caracciolo. Neppure l’arguzia e il fascino di Maurizio Belmonte. Si tratterà di affondare le mani nel male. In un male che una città intera si porta sulle spalle come fosse un antico supplizio…