Da Trapani a Palermo, da “I Leoni di Sicilia” al “Gattopardo”, passando per Enna (con Buttafuoco) e per Messina (con Nadia Terranova) per arrivare a Catania (con Verga) e spingersi fino a Lampedusa (con Davide Enia). Senza dimenticare Pirandello, Camilleri, Sciascia, la Ragusa di Bufalino e le “Siracusane” di Teocrito: un itinerario letterario da non perdere…

Posto strano è, la Sicilia: per farsi raccontare con parole precise sceglie spesso i forestieri. No, non gli autori, forestieri: gli autori ci sono, e sono tanti. Né manca agl’isolani quell’autarchico compiacimento nel parlare di sé, e intorno a sé, e a sé, in definitiva. Ma il dialogo con “lo straniero”, quello: quello è sempre un altro viaggio. Questo viaggio qui.

Trapani/Palermo

Il Leoni di Sicilia Stefania Auci (Editrice Nord)
Il Gattopardo – Giuseppe Tomasi di Lampedusa (Feltrinelli)

I leoni di sicilia

Parliamo del bestseller italiano degli ultimi anni, in procinto di diventare una serie televisiva Rai. Il nostro viaggio in Sicilia parte da Trapani. Ma è in realtà Palermo, la capitale, il teatro delle scene che la trapanese Stefania Auci ha dipinto nei suoi Leoni di Sicilia, più che un bestseller un libro-evento che ha trasformato una professoressa in un’autrice dei record, i cui lettori fremono per avere da Editrice Nord il secondo, attesissimo, volume della saga dei Florio.

Auci racconta il coraggio, l’audacia e la feroce spregiudicatezza di una stirpe che in Sicilia ha sbancato, ma che della Sicilia non aveva il tratto, non aveva il sangue. E si legge, questo, nella protervia dei Florio, nella loro pertinacia, così distante così diversa dall’alterigia indolente dei Gattopardi, i soliti Gattopardi di Tomasi che sempre ritornano – benedizione e anatema – a raccontare il sangue nobile, l’origine divina, l’Eneide dell’Isola. Pochi chilometri, in verità, separano la Palermo di Tomasi da quella di Auci – i palazzi dalle borgate marinare – eppure lì in mezzo scorre tutto il mondo. Costruire contro difendere, accumulare contro sperperare, lottare contro sparire. Il nuovo sta nei Florio, e il nuovo nasce in Calabria, nel continente, altrove: sono di Baganara Calabra i Florio, poveri tra i poveri. A Palermo cercano una fortuna commerciale, e trovano l’America. Sono di Bagnara e a Palermo portano uno spirito imprenditoriale che la città certo conosce, ma di cui diffida, come diffida di tutto.

Questo hanno, i Florio di Stefania Auci, il coraggio ardimentoso di chi non ha niente e si gioca tutto, la mentalità “‘ntrichina” propria di chi trama, ordisce e costruisce.

Cu manìa ‘un pinìa, ripete Auci riassumendo il carattere del suo Vincenzo Florio, personaggio sottile e solido, per tanti versi spietato e per questo destinato a un successo – economico, perché è quello che vuole – che diventerà posizione sociale.

gattopardo copertina

Cu manìa ‘un pinìa: chi si dà da fare con le mani, chi lavora, non ha proprio il tempo di soffrire. In questo andar per la Sicilia occidentale, giocate di specchi: al Gattopardo della storia, contrapponete sempre il rapace della fortuna, perché sono complementari, i Salina e i Florio. Negli amori, anche: Fabrizio accoglie in casa Angelica, bellissima e arricchita, come sposa del nipote, mentre Vincenzo continua a inseguire un matrimonio nobile, in cambio della ricchezza che lui ha.
E se il principe Fabrizio di Salina nel romanzo manifesto di un popolo e di un tempo affronta il cambiamento – non uno da poco: l’avvento di una Repubblica che lo spodesta – con glaciale immobilismo (“bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga com’è”, no?), dall’altro canto, del tutto nuovo, c’è frenetico il manìare di Florio, avido e affamato di prendersi ciò che non gli è mai appartenuto.

Enna

Il Lupo e la luna – Pietrangelo Buttafuoco (Bompiani)

il lupo e la luna buttafuoco

Da mare a mare, passando per la terra. Il lupo e la luna è il romanzo di una storia vera: l’ha cantata in dialetto genovese Fabrizio de André in Sinàn Capudàn Pascià. E l’ha scritta in mito e in poesia Pietrangelo Buttafuoco, ricercando le tracce arabe della storia di Sicilia: arabi sono i nomi dei luoghi, arabe sono le usanze profonde e arabi sono i riti di tutti, che tutti ripetiamo senza renderci conto di quanto antiche e lontane siano le radici dei nostri gesti. Il viaggio è quello di Cicalazadé, il Rinnegato, signore di un gran casato messinese che, rapito da bambino da una flotta turca, ne divenne da grande il condottiero, sposando dei rapitori la fede, la cultura e la causa perché da sempre, queste, sono state il vessillo sincero dell’anima di Sicilia: quella dei tempi del massimo splendore, quella dei tempi dell’Emiro Giafar, quello splendore di cui il normanno Federico II, lo stupore del mondo, si fece interprete in un sincretismo stilistico, culturale, politico e finanche teologico che è ancora ineguagliato. Nella poetica prosa della sua scrittura evocativa Buttafuoco mescola sure coraniche a ricostruzioni di fantasia, episodi storici a invenzioni romantiche ricostruendo in chiave occidentale un racconto islamico. Questo suo viaggio passa per Enna, il centro di un vasto mare di grano dove i miti greci vollero fosse rapita Proserpina, Kore, per mano di Ade, dio infero. In questo ombelico di Sicilia Buttafuoco accende il fuoco di un amore, tra il turco che è lupo e la principessa Selene, che è Luna. Ed è – dopo tanto cercarsi – alle pendici del monte Altesina che si ritrovano, lì nel cuore senza mare dell’Isola dei Giardini.

Messina

Addio fantasmi Nadia Terranova (Einaudi Stile Libero)

Addio fantasmi Nadia Terranova

Messina è un posto di passaggio, una porta aperta tra due mondi. Messina è lo snodo tra l’isola e il continente, e nessuno più di un messinese sa spiegare la scissione intima e connaturata che disegna l’anima dei siciliani. La Messina di Addio Fantasmi è il luogo dov’è rimasta incastrata l’anima di Ida, che pure dall’isola è scappata, certa di potersi rifugiare in un altrove di salvezza. Eppure la casa – che la madre, custode di un passato, sfrontatamente chiama ancora  “la nostra casa” – cade a pezzi come un ricordo pesante, e Ida a tornare è costretta. E, perdendosi, a perdonarsi.
Un libro intimo e aperto, che ha portato Nadia  Terranova tra i finalisti del Premio Strega, nel 2019.

Catania

Storia di una capineraGiovanni Verga (Newton Compton)

Storia di una capinera Verga

I catanesi, in letteratura, si sprecano. E Catania, in letteratura, è raccontata nel suo elefante al centro di piazza Duomo (‘u liotru, memoria vulcanica di un’alchimia), nella pietra lavica che la fa tutta nera, sì, ma luminosa come fosse coperta di brillanti. In letteratura c’è la Catania della virilità a ogni costo, nel Bell’Antonio di Vitaliano Brancati, e c’è la Catania di una seconda guerra mondiale raccontata dalla parte di chi ha già perso e non lo sa e si dibatte ancora in un’opra di pupi ne Le Uova del Drago, opera prima di Pietrangelo Buttafuoco. Ma c’è anche la Catania piccolissima e gigante di tradizioni e di sottintesi, la Catania nobiliare e ferocissima delle figlie da maritare o da perdere, quella Catania verissima e densa di vita che è tutta nelle pagine di Verga. Catania è ne I malavoglia, certo, è nelle campane a tamburo che suonano alla Trezza stringendo i cuori di chi ha uomini per mare e presagisce rovina; è nelle superstizioni di chi nasce Rosso Malpelo, nell’avarizia piccola e povera della Roba. È la grandezza dei Viceré di De Roberto e la piccineria de La Lupa.

Ma Catania, per i catanesi, è la festa di Sant’Agata: rito misticissimo e pagano d’inizio febbraio, quando un popolo si riversa tra la via Etnea e la piazza del Duomo dichiarandosi “tutti devoti tutti” in una processione lunga otto giorni. In quei giorni lì, a segnare forse il solo cenno di devozione è il Canto dell’Aurora delle suore Clarisse, le claustrali che solo in quei giorni e solo nelle ore dell’alba si mostrano al mondo, incantandolo con voci di angeli. In quel loro convento, in via Crociferi, Franco Zeffirelli ha ambientato le vicende di Storia di una capinera, tratto da un romanzo epistolare di un giovane Giovanni Verga. Sono queste poche pagine di fine Ottocento a raccontare Catania, nei suoi usi altoborghesi, nei suoi rimedi e nelle sue maledizioni. Scoppia un’epidemia, è così che si fa la storia – quella storia come questa, la nostra. Scoppia un’epidemia e salta tutto: le novizie levano il velo e si rifugiano nelle case di campagna con le famiglie che le avevano destinate al convento per non pagar loro la dote di spose. È in questo limbo di costrizione sospesa che Maria conosce Nino e se ne innamora. È alla fine di tutto che, costretta a tornare dietro le grate di una vita non scelta, scrive all’amica Marianna del suo amore lacerato, dello strazio delle convenzioni, del dolore di una scelta non sua. Strappa il cuore, la scrittura verghiana in questo breve e tremendo romanzo, strappa il cuore perché in ogni lettera si sente la mente di Maria che vaga un po’ di più, si legge il cuore che stilla dalla sua anima oppressa. Si sente una ragazza che impazzisce, per un amore negato. Si sente la vita che le sfugge, e la follia d’amore che la divora fino a farle perdere il senno. È il riassunto di un uso, di un luogo e di un’epoca, magnifica e tremenda.

Siracusa

Le siracusaneTeocrito (Garzanti)

Idilli Teocrito

A Siracusa, la cattedrale cristiana dedicata a Santa Lucia sorge senza contraddizione alcuna dentro e intorno al tempio di Atena. Siracusa è una continuità di Grecia d’Occidente. E per quanto da Elio Vittorini a Stefano Amato non siano mai mancati scrittori aretusei, è dentro il teatro che va cercato il racconto della città. Un siciliano che non abbia mai preso posto tra le pietre del teatro greco per assistere alla stagione teatrale dell’Inda è un siciliano di cui diffidare.
La commedia teocritea Le siracusane ritrae due provinciali che si fanno cittadine alla corte di Tolomeo II, in Alessandria (la stirpe è quella di Cleopatra), ed è qui il genio. Sono provinciali, le siracusane, parlano un dialetto che non è quello attico, vengono da lontano: eppure, potenza ecumenica d’Ellade, ne conserviamo il dialogo, sebbene si tratti di donne. E questa è politica.

Ragusa

Cento SicilieGesualdo Bufalino (Bompiani)

Cento Sicilie Gesualdo Bufalino

Di Bufalino e della sua letteratura abbiamo parlato in precedenza. È a lui, professore di provincia dallo sguardo smisurato, che si deve il più completo compendio antologico di scrittura siciliana, la raccolta Cento Sicilie pubblicata insieme a Nunzio Zago per Bompiani. Qui l’anima archivistica del professore si fa scandaglio, e restituisce dell’isola una definizione che come tutte le epigrafi si rivela spesso tombale. “Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore”: è l’epitaffio cui è stato condannato Bufalino, citato a sproposito da chiunque frettolosamente si sia fermato all’aletta della copertina. Ma chi avrà il cuore e la testa per entrare nel testo, scoprirà gli aforismi per cui Dino fu famoso (“luttuoso lusso, essere siciliani!”) e una ricerca cesellata e appassionata di autori, brani e testi che restituiscono – per quanto si possa – l’Isola plurale.

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Agrigento

Appunti per un naufragio – Davide Enia (Sellerio)

Appunti per un naufragio Davide Enia

Partito da un porto, il viaggio finisce in un approdo. Agrigento. Di Leonardo Sciascia, e di Andrea Camilleri, come di Luigi Pirandello, non si può tacere, ma tanto si è detto. L’anima profondamente araba di Sicilia risiede in Agrigento. È storia, ed è cronaca. Della provincia di Agrigento è parte Lampedusa, ultimo scoglio europeo prima del continente africano: “Lampedusa è il bottone che unisce sul mare due continenti diversi” scrive Enia, in questo reportage di sofferenza e speranza che non ha scritto sul campo ma sullo scoglio, incontrando isolani e medici, volontari e disperati.

Enia a Lampedusa si trova a recuperare corpi e viventi, si trova testimone di una pagina di storia, e la racconta in quella lingua impastata che è di tanti isolani, eredi del girgentino Camilleri. Nelle sue pagine ogni parola è approdo, e ogni persona è accoglienza. Come è stata la Sicilia sempre, e per tutti. Così sono i lampedusani di Enia: gente pronta a riversarsi in spiaggia a ogni sbarco, perché ogni corpo è un corpo da riscaldare. Gente in emergenza perenne, eppure mai sorda al richiamo del misero. Aggrappati a uno scoglio, una mano tesa a tirar su chi annega. Questa cosa qui sono, i siciliani.

Abbiamo parlato di...