Leonardo Sciascia è uno dei più importanti autori italiani del Novecento. Nei suoi libri, come “Il giorno della civetta” e “A ciascuno il suo”, ha raccontato la Sicilia e il dramma della mafia – L’approfondimento sulla vita e l’opera dello scrittore

Leonardo Sciascia muore con il Secolo breve, il 20 novembre del 1989. Lascia romanzi, racconti, una vasta produzione saggistica ma, soprattutto, un nuovo modo di intendere la narrativa di intrattenimento.

Con i suoi brevi romanzi, spesso catalogati in modo semplicistico come “gialli”, denuncia le infiltrazioni mafiose nella società siciliana. Infiltrazioni che ne permeano il tessuto fino a farlo marcire, e che si manifestano non in maniera eclatante ma sottotraccia, nei discorsi e nei comportamenti apparentemente innocui della gente “per bene”.

Sicilia (come un’infanzia)

Sciascia nasce nel 1921 in Sicilia, a Racalmuto, in una famiglia di estrazione umile, gente abituata a lavorare duro e che affonda le proprie radici nella zolfatara della zona. Ambientazione che tornerà qualche decennio dopo nel racconto L’Antimonio (letto e apprezzato anche da Pasolini), in cui Sciascia racconta la storia di un minatore sopravvissuto a un’esplosione sul lavoro. Leonardo Sciascia è un giovane di lettere, che durante i suoi studi a Caltanissetta ha la fortuna di avere come professore Vitaliano Brancati: un incontro che non può non segnarlo e imprimere una vivida direzione al suo futuro.

Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia

La Sicilia primo-novecentesca è una terra arcaica, lontana dai clamori della guerra (a cui Sciascia non partecipa perché “non idoneo”) e legata a ritmi diversi dal resto della penisola. Impiegato nel Consorzio Agrario e dunque maestro, Sciascia conduce una vita lenta, che si srotola tra la Sicilia e Roma e tra matrimoni (quello con Maria Andronico, anche lei maestra, e madre delle sue due figlie) e lutti (per il drammatico suicidio del fratello). E nel frattempo, Sciascia, scrive: un’attività febbrile che comprende poesia, saggistica e narrativa breve e che viene notata dai grandi intellettuali del tempo: Pasolini, appunto, ma anche Italo Calvino.

Leonardo Sciascia: un uomo del Novecento

Leonardo Sciascia è un uomo profondamente radicato nel suo tempo e partecipa attivamente alla discussione politica italiana, sia con l’attivismo sia, ovviamente, con i suoi scritti. Sciascia, infatti, accompagna alla militanza nel Partito Comunista (per cui ricopre anche la carica di consigliere), la riflessione intellettuale su diverse questioni politiche e sociali: dall’indagine sulla sparizione – mai risolta – del fisico Ettore Majorana, che sviluppa nel saggio La scomparsa di Majorana (Einaudi, 1975), all’inchiesta sull’omicidio di Aldo Moro, con il pamphlet L’affaire Moro (Sellerio, 1978). E poi, ovviamente, la denuncia del sistema mafioso siciliano, che lo scrittore articola in diversi romanzi assimilabili al genere poliziesco, e considerati – a ragione – le sue opere più rilevanti.

Sciascia su Aldo Moro

Tra questi, il più celebre è sicuramente Il giorno della civetta (Einaudi, 1961). Romanzo breve o, che dir si voglia, racconto lungo, frutto di un complesso lavoro “di lima” per rendere il testo il più corto e incisivo possibile, si ispira al reale omicidio di un sindacalista per mano di Cosa Nostra, senza farvi tuttavia mai riferimento diretto. Simile, per messaggio e impianto, è A ciascuno il suo (Einaudi, 1966), dai toni più marcatamente polizieschi, in cui un professore indaga su un doppio omicidio con un movente solo all’apparenza passionale. In entrambi i romanzi la mentalità mafiosa non è espressa da singoli personaggi, ma da tutto l’ambiente con cui i protagonisti si trovano a relazionarsi.

Malgrado i suoi fermi ideali (o forse proprio in virtù di questi), Sciascia, entra anche in conflitto con importanti rappresentanti dell’antimafia, che critica perché gli sembra che una certa lotta alla mafia finisca con l’essere anche un mezzo per un più veloce avanzamento di carriera. Particolarmente rilevante, da questo punto di vista, il fatto che Sciascia rivolga queste accuse a Paolo Borsellino, ricevendo per tale ragione critiche da vari esponenti della lotta a Cosa Nostra, tra cui Giovanni Falcone. Certo, Leonardo Sciascia non poteva immaginare quale sarebbe stato il destino di Borsellino, ucciso tre anni dopo la sua morte, e di Falcone, e nonostante queste esternazioni, il suo impegno nel portare avanti la discussione sulla mafia non è mai venuto meno, come la sua produzione letteraria testimonia ancora oggi.

Il romanzo Todo modo di Sciascia

Todo modo e la Sicilia al cinema

Altro oggetto della critica di Sciascia sono i rapporti ambigui tra le gerarchie ecclesiastiche e il mondo della politica italiana. Un “magna magna”, come potremmo definirlo ora, che Leonardo Sciascia inscena in un’opera breve ed estremamente incisiva: Todo modo (Einaudi, 1974). Ambientato in un eremo, durante un ritiro a cui partecipano diversi notabili, la trama ruota anche questa volta attorno a un delitto, e – come in A ciascuno il suo – dell’indagine si occupa un protagonista estraneo al mondo della polizia, in questo caso un pittore.

Con finali ambigui, ma estremamente aderenti alla realtà italiana, molte tra le storie di Sciascia sembrano pensate appositamente per il cinema. Non stupisce infatti, che esistano diverse versioni cinematografiche delle sue opere a firma di registi come Elio Petri (A ciascuno il suo e Todo modo), e Franco Rosi (Cadaveri eccellenti, tratto da Il contesto). Il legame di Sciascia con il cinema, insomma, è molto forte, e come tutti gli scrittori che mettono piede a Roma finisce anche per occuparsi di sceneggiatura. Ma non solo, Sciascia viene intervistato da Tornatore, collabora con Vancini e Andrei e nei suoi archivi risultano anche una serie di collaborazioni ipotizzate o mai portate a termine. Una con Rossellini, ad esempio, un’altra con Lizzani, una chiacchierata preliminare con Lina Wertmüller, e una bozza di contratto con Sergio Leone.

Un’ultima cosa. Il giorno della civetta finisce così: “Ma prima di arrivare a casa sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia: e che ci sarebbe tornato. ‘Mi ci romperò la testa’ disse a voce alta”.

Ed è un po’ quello che ha fatto per tutta la vita Leonardo Sciascia, rompersi la testa sulla Sicilia, amarla, denunciarne i mali, provare a salvarla. Ma, alla fine, non è quello che fanno tutti i siciliani?

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