Per una volta è il film a essere adattato in chiave letteraria: dalle immagini alle parole e non viceversa. E’ il caso del romanzo “La corrispondenza”, che il registra Premio Oscar Giuseppe Tornatore ha tratto dal suo progetto cinematografico (nelle sale). ilLibraio.it lo ha intervistato: “L’operazione è sicuramente bizzarra, ma in fondo io ho accettato di farla perché mi piacciono le cose fuori dalle regole…”

“Il tempo matematico entra nella stanza, s’insinua dalla finestra con le geometrie di luce dell’alba, ha già ripreso il suo calcolo”.

Si apre così il romanzo La corrispondenza che il registra Premio Oscar per Nuovo Cinema Paradiso, Giuseppe Tornatore ha tratto dal suo film (dal 14 gennaio nelle sale italiane, ndr). Sì, leggete bene. Per una volta è il film a essere adattato in chiave letteraria: dalle immagini alle parole e non viceversa. Un’iniziativa editoriale inedita fortemente voluta da Antonio e Olivia Sellerio, amici ed estimatori di Tornatore. Un divertissement, un’operazione filologicamente originale e ancora «una traduzione intersemiotica», come l’avrebbe definita Umberto Eco, ma al contrario. “Un’impostura” la etichetta ridendo Tornatore che in questa lunga intervista concessa a ilLibraio.it rivela il corto-circuito che si è venuto a creare: “Per quanto io lo scriva nell’introduzione, e per quanto lo spieghi nelle interviste, la maggior parte scrive e pensa che si tratti del ‘romanzo da cui ho tratto il film’. È un pasticcio perché in buona parte di loro si incorrerà nel classico giudizio implacabile: ‘Era meglio il libro’. Ma siccome in questo caso il libro è una semplice trasfigurazione della sceneggiatura, dire che il film è meno bello del libro è come fare un indiretto complimento alla sceneggiatura, che è poi il film”.

La continua riscrittura di un lungometraggio ai tempi di internet è paragonata all’opera del vento, che non a caso è il titolo della prefazione in cui il regista spiega le ragioni di questa esperienza. E poi ancora il ruolo della tecnologia e il legame tra amore e astrofisica incarnato dai due protagonisti: Ed Phoerum (Jeremy Irons), un astrofisico di fama internazionale di età matura, con una famiglia e due figli, e Amy Ryan (Olga Kurylenko), una studentessa di fisica che si mantiene con un riuscito lavoro di stuntgirl. Ma soprattutto il linguaggio del cinema e quello della letteratura messi a confronto, tra segreti del mestiere e metafore suggestive.

“Ciò che vi accingete a leggere è il romanzo La corrispondenza, tratto dall’omonimo film. Un’originale e formidabile opportunità per restituire alla parola scritta la supremazia usurpata dall’immagine. Una ragionevole occasione per riscattare tutto ciò che lo schermo cinematografico deve o preferisce sottintendere”. Così si conclude la sua prefazione al libro La corrispondenza. Perché l’ha intitolata L’opera del vento?
“L’Opera del vento a cui mi riferisco nella prefazione non è una contrapposizione tra linguaggio delle immagini e della scrittura. L’opera del vento è quella che avviene sul film dopo che il regista lo ha finito. Quando lo consegno al pubblico, il film continua a essere modificato dalle innumerevoli interpretazioni, più o meno in buona fede, più o meno accurate. Il pubblico, e intendo tutto il pubblico – i critici, i distributori, gli addetti ai lavori – operano un’azione di ulteriore riscrittura del film. Ognuno ha da dire la propria e io chiamo tutto questo ‘l’opera del vento’, come uno scultore che lascia la sua scultura e a quel punto il tempo e gli agenti atmosferici continuano – senza che lo scultore lo voglia o possa impedire che questo accada – a scolpire la pietra. E infatti a distanza di secoli le statue diventano tutt’altra cosa. Questa è la mia metafora”.

Ma questa riscrittura da dove nasce?
“Non nasce da un’esigenza personale. Il mio amico Antonio Sellerio insieme a Olivia mi ha chiesto di riscrivere il film in chiave di romanzo. Antonio me lo aveva già domandato per La migliore offerta, ma non ce n’era stato il tempo. Allora lui aveva preferito pubblicare solo il soggetto, che in quella circostanza era stato più abbondante del solito, insieme a un ampio racconto della genesi del film. Per La corrispondenza mi hanno domandato la stessa cosa, questa volta in netto anticipo e sono rimasto piacevolmente incastrato. E visto che li stimo molto e li reputo degli editori accorti e intraprendenti, ho trovato un elemento che mi restituisse una ragione ulteriore per farlo”.

E così ha pensato all’Opera del vento
“Sì, sulla base di quanto dicevamo prima, ovvero che quando un film finisce tutti continuano a scolpirlo, mi sono detto: adesso faccio anch’io come fanno gli altri. Passo dalla parte di quelli che continuano a levigare la statua anche dopo che lo scultore l’ha finita. Mi mescolo tra loro, faccio finta di non essere io quello che ha fatto il film. Allora ho preso la sceneggiatura e l’ho riscritta in chiave letteraria. Nel farlo ho fatto tesoro di tutti gli elementi che in genere la stesura della sceneggiatura respinge: il sotto-testo di una storia per il cinema uno non lo scrive, lo appunta, lo elabora, lo racconta agli attori, a se stesso. Magari lo mette anche per iscritto, ma mai in una forma che debba comportare una pubblicazione. Tutto ciò che è stato eliminato, ridotto e semplificato, ciò che nel passaggio dalla scrittura alla realizzazione delle immagini di solito si perde, mi è tornato utilissimo per dare polpa allo scheletro delle immagini. Le immagini sono fortemente evocative, nel senso che determinano con l’occhio dello spettatore un rapporto di punto di vista e di identificazione per cui chi guarda sa sottintendere, sa integrare con la propria fantasia ciò che il film non mostra. La parola scritta determina altri meccanismi di evocazione, ma ha bisogno di rendere esplicito ciò che in un film deve rimanere implicito”.

Lei ha elaborato il testo a montaggio già avvenuto oppure in una fase precedente?
“L’ho fatto durante il montaggio per avere maggiore comodità, più tempo, oltre che la possibilità di riflettere e di recuperare una dimensione ludica. In fondo è stato un gioco e mi sono divertito. Per cui, talvolta, quando in montaggio eliminavo una frase, nel romanzo non solo la riutilizzavo, ma magari la ampliavo, la approfondivo ancora di più. Ho fatto al contempo lo scultore e il vento che gli scombina le carte”.

Rispetto ai due linguaggi, la storia si articola nello stesso modo. Non si è avvalso di altri espedienti di tipo letterario?
“La struttura è rimasta esattamente quella del film e della sceneggiatura. Chi legge il libro trova in filigrana la struttura stessa del film. Ci trova anche un paio di brevi sequenze eliminate al montaggio. Tuttavia non ho fatto ricorso a particolari espedienti letterari. In alcuni casi mi sono soffermato a rimarcare il mondo dei pensieri dei personaggi, cosa che il cinema non fa. Se il mio personaggio sta pensando di fare un viaggio da qualche parte, io non lo posso dire. Posso fargli dire: ‘Mi piacerebbe andare lì’, ma è una cosa banale, specie se si tratta di un desiderio importante. Il film allude: da quello che succede al personaggio lo spettatore avverte che forse sta elaborando qualcosa da fare, lo intuisce, ma non c’è nessuno che lo dice, che lo svela. Poi lo vediamo andare in un certo posto e allora capiamo che voleva fare una certa cosa. Stop. Questo è il cinema”.

E la letteratura?
“In letteratura sul desiderio nascosto di un personaggio ci posso andare avanti per pagine e pagine. Perché posso parlare del suo desiderio, di come immagina un posto, di cosa si aspetta da un viaggio. Un approfondimento letterario che pure è estraneo al cinema”.

Questa iniziativa potrebbe essere lo spunto per scrivere un romanzo ex novo?
“Scrivere un romanzo dal principio richiede molto tempo. Certo, mi piacerebbe farlo, solo che in questo momento, sulla base dei miei impegni cinematografici, non saprei quando farlo. Questo lavoro l’ho potuto fare perché c’era già una sceneggiatura. E la sceneggiatura ha richiesto tantissimo tempo di incubazione ed elaborazione: scrittura, prima stesura, seconda stesura, terza, adattamenti vari, eccetera. Io ho fatto tesoro di ciò che avevo scritto prima e si è trattato solo di dargli un’altra forma. Quindi è stato un lavoro relativamente breve e relativamente semplice”.

Un’esperienza che però le è piaciuta.
“Mi ha sicuramente divertito, ma stanno succedendo cose incredibili perché dobbiamo fare i conti con la distrazione sia della gente sia del mondo dell’informazione. Per quanto io lo scriva nell’introduzione e per quanto lo spieghi nelle interviste, la maggior parte scrive e pensa che si tratti del ‘romanzo da cui ho tratto il film’. È un pasticcio”.

L’originalità sta proprio nel contrario, nel libro scaturito dal film.
“Per chi pensa che il film nasca dal libro, in buona parte di loro, si incorrerà nel classico giudizio implacabile: ‘Era meglio il libro’ (ride). Ma siccome in questo caso il libro è una semplice trasfigurazione della sceneggiatura, dire che il film è meno bello del libro è come fare un indiretto complimento alla sceneggiatura, che è poi il film”.

L’interesse di questa operazione risiede anche in queste inattese conseguenze.
“L’operazione è sicuramente bizzarra, ma in fondo io ho accettato di farla proprio in virtù di questa bizzarria e perché mi piacciono le cose fuori dalle regole. Poi vedremo. Di sicuro è un lavoro che porta la testimonianza di quanto possa essere infinita la possibilità di scrivere e riscrivere e dare forme diverse alla stessa storia”.

Però, a vantaggio del film, si può dire che nel libro mancano le musiche di Ennio Morricone.
“Questa è buona. Non ci avevo pensato”.

Rispetto allo stile, ci sono degli scrittori che lei ama e che possono averla influenzata?
“In realtà gli scrittori che mi piacciono non c’entrano con il mio stile, men che meno con lo stile della riscrittura in chiave di romanzo della sceneggiatura. Non mi sono posto l’esigenza di adeguarmi allo stile di qualcun altro. Riscrivere la sceneggiatura in forma di romanzo è come rifare il prospetto di una casa: la casa c’è già, la struttura è quella e non la devi cambiare: puoi cambiare il colore del prospetto, puoi buttare giù una finestra e trasformarla in una portafinestra o viceversa, puoi sostituire qualche tramezzo, puoi aggiungere l’ascensore, ridurre la veranda, cambiare la ringhiera dei balconi, il portone, i rivestimenti, ma la struttura è quella. Quindi ero molto aiutato. Non è stato un salto nel buio. Ero abbastanza imbragato”.

Riguardo al ruolo della tecnologia, che è essenziale nel film ma anche come motivazione che lei ha addotto per corroborare questa iniziativa editoriale, qual è la sua idea? Lei aveva pensato a questa storia già molti anni fa, quando non esistevano ancora le email.
“Sì, all’epoca quando avevo avuto l’idea, questo cercare di delegare ai modi del corrispondere in chiave epistolare sapeva di fantascientifico: il fatto che questo personaggio inviasse video con una sincronia così precisa rispetto alla vita della ragazza era impossibile nella realtà. Allora questa cifra un po’ fantasy avrebbe nuociuto alla storia perché avrebbe prevalso. E quindi ho avuto l’istinto di ricacciare la storia nel mio cassetto, quello che chiamo il purgatorio delle idee”.

Poi l’evoluzione tecnologica ci ha messo del suo.
“Nel corso degli anni la tecnologia si è sempre più affinata e costantemente ha proposto possibilità ulteriori e sempre più rapide e complesse, infiltrandosi sempre di più nella nostra vita quotidiana e  nel nostro modo di interagire non solo con gli altri, ma anche con i nostri stessi sentimenti. Questo mi ha fatto capire che adesso la mia storia poteva avere delle coordinate di realismo tali da far emergere una storia d’amore dei nostri tempi e non di sciorinare scenari fantascientifici. Capito questo, ho studiato e verificato se tutto quello che mi serviva era tecnologicamente realizzabile – e lo era – e a quel punto ho iniziato a scrivere il film”.

Poi c’è il legame tra amore e astrofisica. L’astrofisica si interroga sul tema della distanza e studia qualcosa come le stelle che sono già estinte. Una passione che aveva già mostrato con l’Uomo delle stelle
“Ne sono sempre stato attratto. Quando ormai la storia era delineata, mi mancava di decidere cosa facesse di mestiere il mio protagonista. È una delle tante domande che un cineasta si pone quando scrive un film perché il personaggio deve essere tondo, tridimensionale in qualsiasi scena. Nel considerare varie ipotesi mi è sovvenuto il fascino che ho sempre avuto per la contemplazione delle stelle e specialmente con la consapevolezza che buona parte delle stelle che noi vediamo di notte non esiste più da miliardi di anni. Tuttavia, grazie alla “lentezza” della velocità della luce noi continuiamo a vederle”.

In perfetto parallelismo con la storia dei protagonisti.
“Infatti, ho trovato che questo schema fosse l’allegoria più calzante di quanto accade alla ragazza nella storia che avevo concepito. Che fa lei? Contempla costantemente le immagini che le arrivano dall’uomo che ama e che le arrivano in modo preciso, in momenti particolari della sua giornata e della sua vita come se lui le fosse accanto. Ed è talmente precisa questa “corrispondenza” tra due schemi che mi sono detto: lui deve fare l’astrofisico, non c’è soluzione migliore. Lo stesso ho fatto per la ragazza. Siccome ha un senso di colpa irrisolto relativo alla scomparsa del padre, e quindi ha un problema con la morte, ho deciso di farle fare un mestiere, quello della stuntgirl, in cui si muore spesso, ma di morti che durano solo pochi secondi perché la voce magica del regista che dice “stop” resuscita chiunque. Ho esaminato vari lavori, ma alla fine ho scelto quello che fosse più coerente con la parabola narrativa del personaggio prevista dalla storia. Si va per coerenze interne e non per scelte centrifughe”.

Sta lavorando ad altri progetti?
“Ho in mente già da tempo la storia per il prossimo film che è stata approvata dai produttori. È proprio sul più bello: sto raccogliendo tutti gli elementi, tutti gli appunti che ho annotato in questi anni. Una storia che ha avuto anche in questo caso una lunga incubazione. Adesso devo aspettare che si plachi il circo mediatico sull’uscita della Corrispondenza per tornare a recuperare un po’ di serenità e trovare un modo per innamorarmi di un’altra storia e di altri personaggi e decidere di andare a vivere in un altro mondo, in un altro ambiente, con altre tensioni e con altre gioie”.

E poi tra qualche mese ci sarà il periodo dei premi e in questo caso non solo cinematografici, ma anche letterari.
“Ma guardi, non penso mai a queste cose. Non so neanche se un romanzo come il mio possa ambire a un riconoscimento”.

Beh, in ogni caso al battage mediatico sul fronte del film va aggiunto quello del libro.
“Sì, per complicare ulteriormente le cose (ride). Magari viene dato un premio al libro e non al film. E quelli che dicono “era meglio il libro” avranno ragione. Alla fine dei conti tutta questa operazione è un’impostura (ride): non si sa più se è nato prima il film o prima il libro. Come non si sa se è nato prima l’uovo o la gallina”.


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