“La stanza profonda” di Vanni Santoni, candidato al premio Strega, narra vent’anni passati a giocare di ruolo, con gli amici, ogni martedì, nel garage di casa, ma allo stesso tempo si spinge oltre il memoir e diventa affresco sociale, racconto di una vera controcultura – Su ilLibraio.it un estratto

La stanza profonda (Laterza) di Vanni Santoni, con cui, come scrive il Corriere della Sera, per la prima volta Laterza parteciperà al premio Strega, è un romanzo che si muove tra memoria autobiografica e affresco sociale: l’autore, che è anche editor della collana di narrativa italiana di Tunuè, racconta vent’anni passati a giocare di ruolo, con gli amici, ogni martedì, nel garage di casa in una piccola cittadina di provincia, ma allo stesso tempo allarga lo sguardo e si spinge oltre il memoir. Se nel romanzo precedente, Muro di Classe Santoni esplorava e raccontava la controcultura del rave party, La stanza profonda prosegue sullo stesso percorso, esplorando un’altra nicchia della controcultura.

muro di classe vanni santoni

In un mondo fondato sulla competizione, i giochi di ruolo diventano una forma di resistenza e di cultura alternativa, capace di insegnare piuttosto che, come afferma uno dei personaggi, “ci si può divertire, anzi avere un’esperienza esaltante, attraverso la cooperazione, senza pagare nessuno e senza sottoporsi a nessuna autorità se non a quella di regole scelte assieme“.

la stanza profonda vanni santoni

Una piccola città di provincia, un garage. Un gruppo di ragazzi che ogni martedì si incontra per giocare di ruolo. Per vent’anni, mentre fuori la vita va avanti, il mondo cambia, la provincia perde di senso e scopo. Desiderio di fuga o forma di resistenza? Quel continuo tessere mondi prende i contorni dell’opposizione a una forza centripeta che, come il “Nulla” della Storia infinita, divora il fuori, vaporizza la città, il paese, le relazioni, le vite. La stanza profonda racconta la storia di un passatempo nato esso stesso in un garage e arrivato a gettare le basi non solo di un immaginario divenuto egemone, ma anche di una parte consistente della realtà che viviamo ogni giorno semplicemente usando Internet.

Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo su ilLibraio.it un estratto del libro:

Le mappe, almeno, hanno un significato per se. Disegnate su cartoncino, più grandi e pesanti dei cartelli, dopo un po’ si staccavano dal muro, e infatti ne sono rimaste solo tre. Quella di Secoli bui, un’annata in stile Brancaleone: vi scorgi le Grotte dello Sgomento e le Langhe della Miseria, il lago Calisco e quello Vetulo, la Cripta di San Rovo e la Foresta di Perdivia, e ancora castelli e villaggi che paiono la trasfigurazione, vivida, vitale, delle vostre frazioni tutte intorno, Pernaia, Grovine, Sant’Ermo come Meleto, San Gusmè, Piantravigne… Accanto, la carta del Mondo delle fiabe, un’ambientazione tra Wonderland, Oz e i fratelli Grimm… Il fantasy chiede la mappa più degli altri generi, ogni anno alternavate con la fantascienza ma la città del futuro è troppo enorme per essere mappata, e il mondo, fatto di collegamenti aerei e AV, non ha più ragione di essere descritto così (cosa c’è, del resto, tra Night City e Nuova Salem? Sterpaglie, viadotti, discariche, al massimo un rave…), e ancor meno avrebbe senso per una galassia: la realtà, quando ti sposti in astronave, è ciò che sta tra un balzo warp e l’altro… Anche la terza mappa, infatti, è fantasy. Una delle più strutturate, per la vostra più grande e lunga campagna: un mondo piatto, a due facce, circondato e definito da un Oroboros, denso di tutti i riferimenti mitici ed esoterici che avevi da spendere. Ecco il Jotunheim e l’Æsir, il palazzo di Solimano il Magnifico e la ziggurat del Serpente Piumato; ecco l’Irmingsul e il Ponte Arcobaleno (questo viene da Topolino e la Spada di Ghiaccio, però) e ancora Agarthi, Thule, l’Abbazia di Thélema, e, in mezzo al lago centrale, l’Isola Tabù. Potranno mai i personaggi non andare all’Isola Tabù?

Giri per il mondo, hai la mappa del mondo. Entri in una città, un quadratino nero sulla mappa del mondo, ed ecco da lì aprirsi una mappa della città. Fai uno scontro in una taverna, e subito si disegna la mappa di quello stanzone, tavoli e sedie e banco, per permettere posizionamenti e spostamenti tattici. Qualunque quadratino bianco, qualunque dungeon, è sempre pronto a dipanarsi in dedalo, in formicaio di mostri e trappole, cunicoli oscuri e sale mirabolanti. Se la parola crea il mondo, la mappa circoscrive il possibile, l’area specifica delle vertigini: ogni bosco può nascondere una strega, ogni villaggio adoratori del demonio, ogni pozzo, grotta o tomba un dungeon, ma non vi saranno streghe fuor dai boschi, sette là dove non ci sono villaggi, dungeon sulla terra sgombra e compatta…

Ogni volta, prima che il gioco cominciasse, riordinavi il tavolo e mettevi in mezzo la mappa, come a ricordare che il mondo era quello e aspettava di essere vissuto. Era bello, il momento in cui attendevi l’arrivo dei giocatori. Un momento ripetutosi infinite volte e però eccitante quanto le fasi più vivide del gioco stesso, forse perché atteso per tutta l’infanzia e l’adolescenza, quando desideravi un gruppo per giocare e non lo avevi: i ragazzi che entrano uno dopo l’altro, si assestano nelle posizioni consuete e chiacchierate di questioni di gioco, mentre aspettate che arrivino tutti per cominciare. Anche perché, di che altro potevate parlare? Gli unici con cui avevi fatto qualcosa fuori da quella stanza, negli ultimi dieci, quindici anni, erano il Silli e il Paride. Ma poi arrivava il Bollo con una cassa di birre, Andre con un enorme cartoccio di porchetta, e allora si stappava e si faceva il punto… Come ridevate della possibile presenza, nelle stanze dei fondi, del fantasma di tuo nonno, così, qui, se tutto non si vaporizzerà fino a perdere di senso, potrebbero intravvedersi certe ombre. Eccole, anzi, già adesso: perché appena il tempo del gioco si è interrotto, gli anni in cui avete giocato sono piombati, tutti assieme, qua sotto, facendone un luogo abbandonato. Ecco l’ombra di Tiziano, che fa capolino dalla porta che collega la stanza al resto dei fondi e chiede se sono già arrivati tutti; quella di Leia, che sbuca dalla botola (la botola!) e vi invita a scendere, a portare schede e dadi; l’ombra tua, in piedi, che descrivi una scena o fai parlare un comprimario; quella del Bollo che appunta ancora un’altra matita e sorride a mezza bocca all’ennesima tua decisione a suo vedere sbagliata o crudele, e dietro di lui, in coorte, i suoi personaggi: l’alchimista Avicelso con la faccia e il cappello di chi conosce la superiorità dell’Ars Magna; i capelli lunghi e le cicatrici del wrestler Ultimate Macho, che nel mondo postnucleare uccide col supplex o con la motosega; l’elementalista Nad’ja con gli spiriti del fuoco che le ballano intorno…; l’ombra, ancora, del Paride, gli occhi neri di puro intelletto che capiscono le cose prima ancora di chi le sta inventando (quante volte, nel gioco, avevi seguito una sua intuizione per trovare lo sviluppo della storia?), la luce dei suoi personaggi – Sanjuro, McMartigan, Migliaccio da Montefalda, simulacri progettati per l’eccellenza; ecco il Silli che si alza, recita, si rabbuia e di nuovo ride; Andre che agita i dadi tra le mani prima di sferrare un attacco, allora, 4d6 di Spadone dell’Abisso, più 50% di carica sono altri due, più 1d6 di fendente, più 1d6 di assalto, +3 di bonus al danno, +8 di forza…; Leia che arriva e prima ancora di togliersi il cappotto e la sciarpa sta già contestando qualche decisione presa dal gruppo in sua assenza, e poi tutti gli altri, ombre più lievi, il Mella che entra tutto arruffato e chiede se qualcuno ha portato da fumare, Loriano che allo scagliarsi del suo barbaro sul drago antico si alza in piedi, lancia il dado urlando UATARI! e azzecca un fallimento critico, gli zefiri ormai quasi invisibili dei passaggi del Donda, di Parvati col fidanzato, dell’Allori e Greta e Charline, di Beppe, del Sasso “vengo solo per provare”, di Florian, di Erme detto il Baronetto…

In quella, bussano. Due cazzotti, più che due colpi di nocche, sul portone.

(continua in libreria…)

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