Era la prima della classe, la metropoli più ricca e moderna d’Italia, oggi è una città spenta dal virus. Ma come sarà il domani del capoluogo lombardo? Su ilLibraio.it un capitolo da “Fuga dalla città – Milano-Italia. L’inchiesta sulla metropoli simbolo di un Paese che fatica a rialzarsi”, firmato dal giornalista Fabio Massa

Era la prima della classe, la metropoli più ricca e moderna d’Italia, oggi è una città spenta dal virus. Ma come sarà il domani di Milano? Cerca di raccontarlo e anticiparlo un libro-inchiesta ricco di spunti, analisi, dati e interviste.

Un libro che non è di parte, in cui non manca uno sguardo al passato della città, in cui non mancano le contraddizioni, come pure al suo futuro, tra timori e possibili speranze. Il saggio in questione è Fuga dalla città. Milano-Italia. L’inchiesta sulla metropoli simbolo di un Paese che fatica a rialzarsi (Chiarelettere, in libreria dall’11 febbraio), e conferma come il capoluogo lombardo rappresenti la cartina di tornasole di un Paese in estrema difficoltà.

A firmarlo, un giornalista che conosce bene la Milano della politica e dell’economia, Fabio Massa, che nei suoi articoli ama raccontare come si muove il potere, per sollecitare il dibattito pubblico.

L’autore a un certo punto scrive: “Alla fine la domanda alla base di questo libro non è tanto o solo quale sarà la Milano di domani. Ma se c’è una Milano dalla quale fuggire. Se c’è un’alternativa a Milano. Ben sapendo, fin da ora, che l’unica alternativa a Milano è una nuova Milano, e che la fuga dalla città riporta, come in un’opera di Escher, nella città stessa”.

Veniamo ai temi che affronta, di capitolo in capitolo: Fuga dalla città significa fuga dei capitali, dei lavoratori, degli studenti, dei turisti. Attraverso fatti, documenti, storie in molti casi inedite e testimonianze (da Giuseppe Guzzetti, ex presidente di Fondazione Cariplo, a Ferruccio Resta, rettore del Politecnico, da Beppe Sala, sindaco, ad Attilio Fontana, presidente della Regione, da Stefano Boeri, architetto, a Pierfrancesco Maran, assessore), questo libro-inchiesta descrive la trasformazione improvvisa e violenta di Milano: i grandi affari immobiliari bloccati e le nuove strategie dei poteri che contano, l’emergenza abitativa, gli uffici vuoti, il presente e il futuro dello smart working, le sacche esagerate di ricchezza e benessere da un lato e la schiavitù e lo sfruttamento del lavoro dall’altro (dai rider al caporalato), il disastro della sanità “d’eccellenza” incapace di affrontare l’emergenza, la cultura a pezzi (dalla Scala ai piccoli teatri), il calcio in panne, con l’avventura del nuovo stadio fermata sul nascere, la crisi profonda della politica ma anche le risorse e le possibilità per uscirne, costruendo una città più giusta, eguale, umana.

Massa, da anni responsabile di Affaritaliani.it – Milano, scrive anche su Il Foglio, conduce un programma su Telelombardia e tiene una rubrica quotidiana su Radio Lombardia. È fondatore e animatore della rassegna “Direzione Nord”, ciclo di eventi apartitico che ha visto oltre quattrocento tra politici, istituzioni, aziende, manager, intellettuali e stakeholder dibattere pubblicamente negli ultimi cinque anni. Inoltre, dirige la newsletter True News ed è presidente dell’associazione culturale Amici delle Stelline.

Tutto è da rifare e ricostruire, diceva Antonio Greppi, primo sindaco di Milano dopo la Liberazione. Di fronte a questa sfida, anche oggi, come dimostra la lettura di Fuga dalla città, è impossibile scappare.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Epilogo

fuga – fig. Allontanamento rapido, improvvisa perdita di qualche cosa. Nel linguaggio politico (ma anche in usi estens.), f. in avanti, locuz. con cui si suole indicare il fatto o la tattica di proporsi mete lontane, e spesso irraggiungibili, quando manchi la volontà o la capacità di risolvere i problemi immediati.

Questo libro si sarebbe dovuto chiamare La città degli eletti. Oppure, in alternativa, La torre d’avorio. Ha avuto una gestazione assai lunga: quattordici mesi. Tanto quanto basta per scriverlo, vedere la torre crollare e gli eletti venire travolti dal Covid, l’immagine dell’eccellenza sporcata, la ricchezza diminuita. E dunque scriverlo da capo, per raccontare la fuga dalla città.

Fuggire da Milano. Con lo smart working nelle villette della Brianza, quelle che per Stefano Boeri sono non luoghi un po’ tristi. Fuggire con il South working in un paradiso ambientale del meridione, sempre che lo scoglio non sia il digital divide. Fuggire da Milano perché la medicina forse non è così eccellente, e sicuramente è proibitiva per chi non ha l’assicurazione privata, o non si può permettere un tampone a domicilio, immediatamente, comodamente. Fuggire da Milano perché i bilocali costano come le ville adagiate sul mare dall’Abruzzo in giù. Fuggire da Milano perché, se è per essere schiavizzati su una bicicletta, allora meglio non vivere tra le nebbie e lo smog. Fuggire da Milano perché la cultura è alimentata dai soldi, spesso pubblici o parapubblici, e allora sono bravi tutti. Fuggire da Milano perché politicamente, a livello nazionale, conta poco o forse meno, e sicuramente meriterebbe di contare di più, se solo volesse e non fosse rinchiusa in un sogno autonomista che però non si realizza mai. Fuggire da Milano perché c’è troppo cemento, e soprattutto perché c’è troppa gente in troppo poco spazio. Fuggire da una città che era splendida, che ci ha sedotto e ha sedotto tutti ma che se la tirava. Prima della classe bruttarella ma tanto secchiona e che si raccontava così bene da sembrare bellissima, come le ballerine del tango al Teatro della Luna, spettacolari sul palco, finché si muovono, e poi chissà, forse assai meno.

Viene da chiedersi se il Covid abbia distrutto la torre o se questa era già minata, se era solo un ologramma creato da un’eccellenza (questa sì, assoluta) nella narrazione di sé. Una narrazione che si è fatta programma politico del centrodestra in Regione, prima con Formigoni e poi con Maroni; ma anche del centrosinistra, con Beppe Sala che infatti parla di «immagine internazionale». Ma pur sempre narrazione, perché a Milano le fragole di merda, i rider per le strade, il precariato, gli immobiliaristi all’assalto, la cultura a trazione pubblica ci sono sempre stati.

Eppure il titolo Fuga dalla città nasconde la domanda vera che si è dipanata per tutto il libro, da un problema all’altro, nei mille rivoli del potere. In questa tempesta con il mare forza nove, fuggire sì ma dove?, come cantavano spensierati i cumenda nelle feste di Natale a Cortina quarant’anni fa. Quale altra città ha le caratteristiche di Milano in Italia? Quale altra città è europea quanto Milano? Quale è così avanti dal punto di vista delle interconnessioni su gomma e su ferro, trasporto pubblico, modernità degli edifici, burocrazia efficiente, bassa corruzione endemica, concentrazione di eccellenze nel settore del terziario, dei media, della comunicazione, degli eventi, dell’IT?

La sintesi l’ha fatta il 28 novembre 2020 Ursula von der Leyen a Milano: «Brulicava di vita, il virus ha portato silenzio e dolore, ma Milan l’è un gran Milan» ha scandito un po’ incerta, camicia bianca e giacca rossa, i colori del Ducato.

C’è un’alternativa alla grande Milano per l’Italia? Forse no, non c’è. Così come non c’è un’alternativa all’Italia per Milano, città italianissima che è passata dall’invidiare la Svizzera al sentirsi parte dell’Unione europea.

Milano ha una solidità di capitali, di competenze umane, di eccellenze nel campo dell’università e sì, anche della sanità, che non svanisce e non viene sconfitta dal Covid. Arrogante da sempre, e presuntuosa al limite dell’insopportabile. Ma anche indomita, mai sconfitta, mai piegata, capace di accogliere tutti e apprezzare chiunque possa concorrere allo sviluppo della metropoli.

In questo inizio di gennaio 2021, a pochi mesi dalle elezioni, chiudendo un viaggio-inchiesta lungo quattordici mesi, possiamo dire che quella che è cambiata è l’idea di città che dava Milano all’esterno, e che influenzava le scelte politiche sul proprio futuro. La città degli eletti non è più tale, va ricostruita. Come? Il vero problema è se c’è un’ipotesi sulla quale lavorare, un piano di ricostruzione.

Il sindaco ricandidato Beppe Sala vorrebbe una città resiliente, e attenta all’ambiente. Il problema è che tutti vorrebbero respirare aria pulita, ma non tutti si possono permettere l’auto elettrica, e allora si accontentano del catorcio. Tutti vorrebbero respirare aria pulita, ma non tutti vivono in centro, dove si può anche andare a piedi nella famosa città dei 15 minuti, con i servizi a portata di mano (e di piede). Tutti vorrebbero andare in bicicletta, se non devono fare 10 chilometri, dai quartieri lontani e periferici, per raggiungere gli uffici. La sostenibilità ambientale può essere qualcosa che gli ultimi, i penultimi e i terzultimi, non si possono permettere.

Milano città dei diritti, sicuramente. La più avanzata. Ma anche quella dove si tollerano rider senza tutele, operatori dell’Ortomercato che ciclicamente finiscono sulle pagine dei giornali per lo sfruttamento quotidiano e per le infiltrazioni mafiose. Che tipo di lavoro si vuole favorire a Milano? Parcellizzato, da casa, ognuno nella sua capanna? Con i permessi, le ferie e le malattie che nessuno prende perché di fatto non esiste neanche più un orario di lavoro, connessi dalla mattina alla sera in un cottimo digitale senza soluzione di continuità.

Nella ricostruzione, come dimenticarsi di Milano città dell’elaborazione politica, dove un tempo le cose avvenivano prima: il fascismo, la sinistra Dc di Giovanni Marcora (di cui Giuseppe Guzzetti è stato esponente di spicco e talento assoluti), il socialismo craxiano, Comunione e liberazione, il berlusconismo, il renzismo (nessuna città ha amato il fiorentino Matteo Renzi quanto Milano, non ricambiata, peraltro), il salvinismo. Anticipatrice ma esclusa da ogni gioco, da ogni partita, separata dal resto d’Italia e avulsa, confinata come una torre d’avorio che forse era di burro.

E poi c’è la Milano della ricchezza. Quella stratificata nel quartiere di corso Magenta, dove le generazioni hanno accumulato e reinvestito, senza riposo. Ma anche la Milano dove la ricchezza manca, ed è fatta di stenti quotidiani, di mezzucci, di spaccio di droga al boschetto di Rogoredo. E la sfida mai raccolta davvero della città metropolitana, con lo sterminato hinterland, quasi un milione di abitanti che contribuiscono alla crescita del capoluogo lombardo e ne stressano i sistemi di trasporto, ma non hanno diritti, in una distonia politica che rende i provvedimenti frammentati e assurdi, soprattutto in campo ambientale.

Tutto è da rifare, ricostruire e riconsacrare, diceva Antonio Greppi, primo sindaco di Milano dopo la Liberazione. E di fronte a questo i veri milanesi non sono mai scappati.

(continua in libreria…)

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