“La palestra di Platone” è il nuovo saggio di Simone Regazzoni, filosofo e praticante di Hwa Rang Do (arte marziale coreana), che si pone l’obiettivo di reinserire il corpo nella pratica filosofica e di proporre una filosofia incarnata per l’oggi – Su ilLibraio.it il capitolo “La più celebre palestra del mondo”

La palestra di Platone (Ponte alle Grazie) è il nuovo saggio di Simone Regazzoni, dottore in filosofia e praticante di Hwa Rang Do (arte marziale coreana), che si pone l’obiettivo di reinserire il corpo nella pratica filosofica passando da una rilettura della filosofia platonica come allenamento del plesso mente corpo e proponendo una filosofia incarnata per l’oggi.

Rifacendosi alla tradizione platonica del gymnasion, in cui il filosofo ateniese e i suoi allievi praticavano sia il dialogo che la lotta, Regazzoni propone lo sviluppo del pensiero a partire dal e attraverso il corpo, al fine di costituire una filosofia che si ponga come arte del corpo vivente per un continuo migloramento del sé.

Confrontarsi con i propri limiti e superarli, sottrarsi a dispositivi di potere ed elevarsi: questi sono solo alcuni dei punti focali trattati passando per Thoreau, Nietzsche, Foucault e Shusterman, ma trattando anche del culturismo di Schwarzenegger, dei pugni di Muhammad Ali, degli allenamenti di Bruce Lee e della stessa Arte marziale del Hwa Rang Do praticata da Regazzoni.

la palestra di platone

Regazzoni, allievo di Jacques Derrida, ha conseguito un dottorato in Filosofia in cotutela presso le Università di Parigi VIII e Genova. Autore di numerosi saggi, attualmente è docente presso l’IRPA (Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata) di Milano e Ancona.

Per gentile concessione della casa editrice, su ilLibraio.it un estratto: 

La più celebre palestra del mondo

Lo storico greco Diogene Laerzio, nella sua Vita di Platone, descrive così l’Accademia, la scuola filosofica fondata dal padre della filosofia: «È una palestra [gymnasion] fuori dalle mura, ricca di alberi». Ancora oggi in inglese gymnasium significa «palestra».

È da qui che occorre partire per provare a immaginare cosa fosse, in origine, la scuola filosofica di Platone, liberando la nostra mente dai luoghi comuni che ancora circolano tra gli storici della filosofia e da tutte le connotazioni moderne e contemporanee di «accademia», in particolare quella di Università.

All’epoca di Platone, con il termine «Accademia» (Akademia o anche Akademeia) si intendevano diverse realtà a nord-ovest di Atene, fuori dalle mura: un’area ricca di vegetazione, un luogo in rapporto con il culto dell’eroe Akademos (o Hekademos) e uno dei più antichi ginnasi di Atene a cui si arrivava attraverso una strada che partiva dal cuore della città. L’Accademia platonica prende il suo nome da questi luoghi, ma come mostrano le parole di Diogene Laerzio è legata in particolar modo all’antico ginnasio: una palestra risalente al VI secolo a.C. che rappresentava un luogo di formazione atletica e intellettuale dei cittadini.

È nell’antico ginnasio che Platone, all’epoca quarantenne, dà vita alla propria scuola.

Anche Cicerone lo ricorda: «Coloro i quali si riunivano e dialogavano nell’istituto di Platone, nell’Accademia, che è un’altra palestra [gymnasium], ricevettero la denominazione dal nome del luogo». All’origine della filosofia c’è dunque, per usare una formula di Cicerone, nobilissimum orbis terrarum gymnasium, «la più celebre palestra del mondo».

L’idea della palestra, di uno spazio in cui i corpi si allenano, non può in alcun modo essere rimossa per trasformare l’Accademia platonica in una sorta di museo-libreria, come ha fatto il filosofo Simon Critchley in un reportage del 2019 nei luoghi dell Accademia pubblicato sul «New York Times».

Sul fatto che l’Accademia di Platone fosse una palestra concordano tutte le fonti antiche. Gli stessi storici contemporanei lo riconoscono: «L’Accademia era un ginnasio, cioè una palestra in cui i giovani Ateniesi si recavano per fare ginnastica». Anche le ricostruzioni secondo cui, dopo un primo periodo, Platone avrebbe spostato il suo «quartier generale» in un terreno nelle vicinanze (cosa in realtà improbabile) non contestano il fatto che la scuola filosofica di Platone sia nata nel ginnasio.

È molto probabile dunque che Platone abbia insegnato nella palestra dal 387 a.C fino alla morte, anche se, nell’ultima parte della sua vita, faceva la spola tra la palestra e

una proprietà poco distante. Il legame tra la scuola filosofica fondata da Platone e il ginnasio è tale che fino al I secolo a.C. l’Accademia rimase localizzata nell’area della palestra. Ma che cos’è una palestra all’epoca di Platone? Il gymnasion, «palestra», è un’istituzione fondamentale della Grecia antica, uno spazio libero e aperto a tutti, comprese le donne e i servi, in cui avviene la formazione dei cittadini.

In epoca omerica il ginnasio è sinonimo di dromos, «luogo in cui si corre», e consiste in piste per la corsa, il lancio del disco, del giavellotto e in un tukton dapedon, un’area ricoperta di sabbia in cui si praticano la lotta e il pugilato. Con il tempo, si aggiungono una costruzione con diversi locali e un colonnato, e la funzione del ginnasio si trasforma: la palestra greca diventa uno spazio di formazione totale in cui si tengono lezioni, conferenze, gare, allenamenti, combattimenti, «un sito funzionale per la produzione della cittadinanza che operava sul complesso mente corpo». Nelle palestre ci si allenava, in particolare nella lotta, e ci si formava nella retorica e nella filosofia. Ad Atene, nel V secolo a.C., ci sono tre palestre pubbliche aperte ai cittadini e frequentate in particolare da giovani: l’Accademia, il Liceo e il Cinosarge.

La palestra, dal punto di vista architettonico, è un peristilio rettangolare (o quadrato), vale a dire un cortile contornato da un colonnato con portici su tre lati e con al centro uno spazio quadrato, la «palaistra», per la lotta. Nel quarto portico vi sono diversi locali tra cui un bagno freddo (loutron) in cui gli atleti, dopo gli allenamenti, si ripulivano da sabbia e olio, e un locale in cui i corpi degli atleti venivano sfregati con sabbia finissima proveniente dall’Egitto (konisterion), che aiutava la presa sui corpi cosparsi di olio nel corso della lotta.

La filosofia, in forma dialogica, si pratica sotto i portici attorno all’area in cui i corpi ricoperti di olio dei giovani lottano. La filosofia è contigua alla lotta, e i corpi dei giovani passano senza soluzione di continuità dalla lotta con i compagni al dialogo. Non si tratta di mera giustapposizione di pratiche e discorsi differenti, ma di contaminazione e intreccio tra lotta e filosofia, lotta e retorica nella forma di un allenamento integrale del complesso mente-corpo. Come ha scritto la filosofa Avital Ronell: «I Platonici organizzano tornei di lotta, olimpiadi. All’epoca lo sport, l’atletismo non erano distinti dalla filosofia […] La filosofia è una prova atletica? Mi piace crederlo». Non a caso Filodemo nel suo Academicorum Historia, parlando del lottatore Cherone di Pellene che ottenne quattro vittorie nei giochi olimpici, afferma che «soggiornava nell’Accademia presso Platone» di cui era discepolo.

La filosofia platonica va pensata a partire da questo spazio atletico-filosofico: definitivamente sottratta alla retorica disincarnata dei filosofi di professione che parlano di «stupore e amore», restituita alla sua materialità e carnalità storica, all’odore dei corpi che si allenano, combattono, camminano, corrono.

(continua in libreria…)

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