“Cedi la strada agli alberi” raccoglie molte delle poesie di Franco Arminio sull’amore e sul paesaggio. Versi semplici e diretti in cui l’attenzione è rivolta a ciò che c’è fuori: l’azione cruciale è, infatti, quella del guardare – Un estratto

Cedi la strada agli alberi è una raccolta che contiene una parte della grande produzione in versi di Franco Arminio. “Poesie d’amore e di terra“, così sono definite dall’autore, le liriche presentano il suo acuto senso del corpo femminile e del paesaggio.

I versi di Arminio sono semplici, diretti, senza aloni. Ogni verso è una serena obiezione alla scrittura come gioco linguistico, è una forma di attenzione a quello che c’è fuori, a partire dal corpo dell’autore, osservato come se fosse un corpo estraneo: l’azione cruciale è, infatti, quella del guardare: “Io sono la parte invisibile del mio sguardo”.

Cedi la strada agli alberi

Arminio è nato e vive a Bisaccia, in Irpinia d’Oriente ed è oggi uno dei poeti italiani più seguiti sulla rete. Le sue pubblicazioni spaziano dalla prosa alla poesia – si ricordano, tra gli altri, Vento forte tra Lacedonia e Candela (Laterza), Terracarne (Mondadori), Cartoline dai morti (Nottetempo) e Geografia commossa dell’Italia interna (Bruno Mondadori) – ma si occupa anche di documentari e fotografia. Come paesologo scrive, infatti, da anni sui giornali e in Rete a difesa dei piccoli paesi.

Per gentile concessione di Chiarelettere, pubblichiamo un estratto:

Autobiografia

Ho scritto Cartoline dai morti.

Quando avevo nove anni ero un tipo strano.

Non ho pensato neppure per un attimo

di andare via dal mio paese.

Sono un egocentrico che sa ascoltare.

Le vacche e le formiche sono con me.

A Natale mi sento male.

Mio nonno era comunista

ed emigrò in America che era già vecchio.

Mio padre era un oste

e mia madre un pugno di grano.

 

Nota d’avvio

La prima volta che ho provato a scrivere una poesia era un pomeriggio di gennaio del 1976. Mi ricordo di aver usato la penna rossa su una di quelle agende in finta pelle che regalavano i commessi che venivano all’osteria di mio padre. Un altro luogo di fitta scrittura fu la Centoventisette verde di Antonietta. In quegli anni in cui l’inquietudine era la mia fosforescenza scrivevo a oltranza, non avevo pavimenti, non dormivo. Il frutto furono alcuni libri con piccoli editori, ma soprattutto una marea di fogli con cui ho riempito diciotto buste nere dell’immondizia e due casse che aveva portato mio nonno dall’America. Poi cominciai a scrivere col computer e fu ancora più facile fare e disfare: una stessa poesia compariva in centinaia di versioni, e alcuni versi migravano per anni da una poesia all’altra in attesa di una soluzione definitiva che non arrivava mai. Alla fine è stato molto faticoso decidere cosa tenere e cosa togliere in questa che considero la mia prima vera raccolta in versi. Eccola, è come un’anguilla sull’autostrada. / È il lampo di luce / che la distingue dal catrame.

 

I: L’entroterra degli occhi

Pensa che si muore

e che prima di morire tutti hanno diritto

a un attimo di bene.

Ascolta con clemenza.

Guarda con ammirazione le volpi,

le poiane, il vento, il grano.

Impara a chinarti su un mendicante,

coltiva il tuo rigore e lotta

fino a rimanere senza fiato.

Non limitarti a galleggiare,

scendi verso il fondo

anche a rischio di annegare.

Sorridi di questa umanità

che si aggroviglia su se stessa.

Cedi la strada agli alberi.

 

II: Brevità dell’amore

Portami con te in un supermercato,

dentro un bar, nel parcheggio

di un ospedale.

Spezza con un bacio il filo

a cui sto appeso.

Portami con te in una strada di campagna,

dove abbaiano i cani,

vicino a un’officina meccanica,

dentro a una profumeria.

Portami dove c’è il mondo,

non dove c’è la poesia.

 

III: Poeta con famiglia

Ti proteggerò amore mio,

sarò dolcissimo con te e con gli alberi,

ci sarà una diffusa devozione per te

nella nostra casa,

mi alzerò ogni mattina

per sistemare l’alba

prima che ti svegli,

ti raccomanderò

alle piante, ai bicchieri.

(Continua in libreria…)


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