Poesia operaia, perché è in fabbrica che affonda la sua esperienza, quella di Pasquale Pinto (Taranto, 15 aprile del 1940 – Taranto, 6 dicembre del 2004), lavoratore dell’Italsider. In libreria la raccolta “La terra di ferro e altre poesie (1971-1992)”

Sud mio sud
ove t’hanno portato
i riverberi delle colate?
Che ne sarà
delle tue verdure
che il mare culla come barbe di vecchi
eternamente da viziare?

Poesia operaia, perché è in fabbrica che affonda la sua esperienza, quella di Pasquale Pinto (Taranto, 15 aprile del 1940 – Taranto, 6 dicembre del 2004), lavoratore dell’Italsider di cui così poco da anni si poteva leggere.

Pinto, di cui Marcos y Marcos propone ora La terra di ferro e altre poesie (1971-1992), volume curato da Stefano Modeo, ha scritto poesie civili, “idilli incrostati di ruggine”, che mostrano una Taranto al tempo stesso splendida e terribile, e raccontano, come suggerisce Fabio Pusterla, una condizione umana “nel bilico costante tra spietata rappresentazione della devastazione (di esistenze, di paesaggi, di comunità) e audacia dello sguardo che si spinge verso un orizzonte ancor utopico, in cui la forza delle immagini prova a contraddire l’evidenza del disastro di un modello produttivo disumano”.

Pinto ha iniziato a scrivere versi a quindici anni mentre frequentava il ginnasio. E ha esordito nel 1971 con Jonica (Edizioni Centro sociale Magna Grecia), a cui hanno fatto seguito In fondo ad ogni specchio (In Primo Piano – editrice, 1976), Il capo sull’agave (Edizioni Centro sociale Magna Grecia, 1979), Il parco depresso (Edizioni Pentapress), La terra di ferro (Comune di Taranto – Assessorato alla Cultura, 1992), Poemetti (Biblioteca della Provincia di Taranto, 1995) e I mari della corte (Biblioteca della Provincia di Taranto, 2003).

Pasquale Pinto

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, tre poesie dalla raccolta:

Quando è mezzogiorno al mio paese

Quando è mezzogiorno al mio paese
le tasche dei vecchi
si gonfiano di sole
come mille lumini
che nemmeno i morti
si sognano di avere

Quando è mezzogiorno
i vecchi del mio paese
appoggiano le mani alle ringhiere
per salutare milioni di naufraghi
che si specchiano
in una cristalliera di sale

Se quando morirò
sarà mezzogiorno
lasciatemi vedere quel mendicante
che si abbronza al sole di una moneta

Donne

Le mie donne gialle
ora
sono raccolte sui fiumi
nelle loro vesti
trattengono il profumo delle zagare
non hanno immagini da spiegare
ma la loro voce
si è educata al vento dei canneti
A sera
i muretti rivivono
di sussurri in punta di piedi

Tutti
amano una donna nera

I miei occhi infedeli
scontano la loro luce
e tu
hai lasciato il giorno intatto
in modo
da non farti
credere nostra

 

Le lamiere che setacciano il coke
mettono maschere sui volti degli operai
gli alti operai che spezzano i catarri
noncuranti della fragilità delle gole

Che si fermi quel rullo
che martorizza le lamiere
il suo rumore spacca le bolle d’acqua
sulle schiene degli operai
come una mareggiata.

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