A 85 anni è morto a Tel Aviv lo scrittore, drammaturgo e accademico israeliano Abraham “Boolie” Yehoshua

Lettrici e lettori in lutto per la morte, a 85 anni, a Tel Aviv, dello scrittore, drammaturgo e accademico israeliano Abraham “Boolie” Yehoshua.  Il grande autore era nato a Gerusalemme il 9 dicembre 1936, ed era molto legato all’Italia. Per 56 anni è stato sposato con la psicoanalista Rivka, venuta a mancare nel 2016. La coppia ha una figlia, due figli e sei nipoti.

Insegnava Letteratura comparata e Letteratura ebraica, e nel corso della sua lunga carriera è stato docente anche all’estero, nelle Università Harvard, di Chicago e di Princeton, e non solo.

Yehoshua, che ha vissuto a Parigi dal 1963 al 1967, dove ha insegnato, nella capitale francese ha ricoperto anche l’incarico di Segretario Generale dell’Unione Mondiale degli Studenti Ebrei.

E veniamo ai suoi libri, che ne hanno fatto uno degli autori contemporanei isrealiani più importanti, e che in Italia sono usciti prima per la casa editrice Giuntina e poi con Einaudi. Tra le sue opere, L’amante, Un divorzio tardivo, Cinque stagioni, Il signor Mani, Ritorno dall’India, Viaggio alla fine del millennio, La sposa liberata, Il responsabile delle risorse umane, Fuoco amico, La scena perduta, La comparsa, Il tunnel e La figlia unica.

“Uno scrittore di temi, di argomenti”

Così si era definito in una bella intervista rilasciata al sito Mangialibri del 2017: “Uno scrittore è come un regista cinematografico. Deve pensare ai dialoghi, agli attori, all’ambientazione, agli arredi, al suono, alla luce, ai costumi, a tutto quello che concorre a fare una storia. Ma quale storia raccontare? I romanzieri si dividono secondo me in due categorie: quelli che parlano di un certo mondo, che lo esplorano e lo ri-esplorano, e quelli che affrontano temi diversi ogni volta. Io in particolare sono uno scrittore di temi, di argomenti. Trovo un argomento che mi affascina e ci costruisco attorno una storia. Prendiamo William Faulkner, per esempio: un grandissimo scrittore, forse il più importante scrittore americano del XX secolo. Faulkner ha scritto sempre soltanto di un luogo circoscritto, di un tempo circoscritto: ancora e ancora, con i personaggi che passavano da un romanzo all’altro. Faulkner è quindi uno scrittore di mondi. È uno il mondo che lui indaga, sempre quello, sebbene da angolazioni diverse. E così per fare un altro esempio Aharon Appelfeld, che impernia tutti i suoi libri sul mondo della Shoah, ogni volta con sfumature differenti ma sempre lo stesso mondo. Noi scrittori di temi lavoriamo diversamente – non per questo siamo migliori o peggiori, sia chiaro: siamo soltanto diversi. Mi interessa il tema degli ebrei europei del Medioevo? Scrivo di quello. Mi incuriosiscono i rapporti tra persone che si possono creare in un garage di Gerusalemme? Scrivo di quello. Un soggetto mi attrae e io lavoro su quello, cambiando ogni volta”.

L’uso sapiente dell’ebraico

Su Repubblica.it Wlodek Goldkorn ricorda: “Si è detto che nessuno come lui sapesse usare le parole in ebraico. La sua padronanza della lingua sfiorava la perfezione, così come l’architettura dei romanzi. Su incipit lavorava per settimane, qualche volta mesi, perché nelle prime pagine doveva esserci il Dna di tutta la storia. Fatto questo, i protagonisti conquistavano una certa autonomia rispetto all’autore…”.

La questione Israelo-Palestinese

Ospite del Festivaletteratura di Mantova nel 2019, presentando il suo libro, in cui il protagonista, Zvi, soffre di demenza senile, ha fatto un collegamento con la questione Israelo-Palestinese: “Ho scelto come malattia per il mio Zvi la demenza. La demenza perché è una cosa tremenda, un disastro, come non affermarlo? Quello che stavo cercando di dire, un messaggio che rivolgo sia agli israeliani che ai palestinesi: dobbiamo cominciare a dimenticare, noi dobbiamo cominciare a dimenticare. C’è questo culto per noi ebrei, della memoria, che ci porta a rivangare continuamente il ricordo della Shoah, a parlare sempre dell’antisemitismo e a quello che ha fatto a noi, a scavare e riscavare nelle ferite del passato. Basta! (…). Ai palestinesi dico la stessa cosa. Voi siete lì, a Gaza, fate manifestazioni, proclamate che volete tornare nelle vostre case, lo capisco, le case dei vostri genitori, dove siete cresciuti, sono a dieci chilometri di distanza… ma c’è un muro che vi separa, non potete più tornarci. Siete stati espulsi all’epoca della grande catastrofe dei palestinesi. Troppa. Memoria. Ricordare troppo sta diventando pericoloso per i nostri due popoli, guardate, anzi, guardiamo: il mondo si evolve a una velocità vertiginosa, le sfide che ci troviamo di fronte sono numerose, noi dobbiamo adattarci, conformarci. Non possiamo sempre soltanto, ricordare con la testa girata indietro. Gli ebrei sono rimasti bloccati sulla loro memoria al punto che in Israele non sono più stati capaci di vedere la realtà e le minacce reali di ogni giorno, così anche i Palestinesi…”.

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