Obama ha sempre letto e scritto moltissimo: leggere lo aiuta a capire meglio la gente che incontra, scrivere a capire meglio se stesso. In un momento come questo, in cui “così tanti dei nostri politici sono impegnati nel tentativo di gestire lo scontro di culture causato da globalizzazione, tecnologia e migrazione, il ruolo delle storie per unificare – al contrario di dividere, di impegnarsi piuttosto che emarginare – è più importante che mai”. Ne parla in un’intervista a Michiko Kakutani, critico letterario del New York Times…

Per Obama i libri sono sempre stati importanti. Non solo come strumento di studio e lavoro, ma anche come mezzo d’evasione e riflessione: “Ho imparato a immaginare meglio cosa succede nella vita delle persone durante la mia presidenza grazie all’atto stesso di leggere”, spiega il presidente uscente durante una bella intervista a Michiko Kakutani, critico letterario del New York Times.

Obama ha sempre letto e scritto moltissimo, sin da quando era ragazzo. Leggere – spiega – lo aiuta a capire meglio la gente che incontra sulla propria strada: i problemi delle persone di tutti i giorni, di quella classe media che deve convivere con le tasse, con la difficoltà di mantenere un figlio agli studi, con quel senso di perdita e delusione che nasce nell’osservare le comunità in cui si sono investiti sogni e speranze che cominciano un inarrestabile declino.

E ciò è stato fondamentale, durante questi otto anni di mandato, per riuscire a interpretare i bisogni del suo elettorato. I libri di Jhumpa Lahiri, per esempio, sono stati molto utili – libri che parlano di una particolare esperienza di immigrazione contemporanea: una combinazione (universale) di nostalgia verso un posto migliore e di quella diffusa sensazione di essere sempre “sfollati”.


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Ma la lettura è importante anche come strumento d’evasione. Un buon romanzo – e Obama cita L’amore bugiardo di Gillian Flynn o i romanzi di Lauren Groff (qui la nostra intervista, ndr) – permette di liberare la mente dai problemi, di rilassarsi e divertirsi.

Ma Obama ha anche sempre scritto molto: racconti per lo più. Racconti che parlano di quella stessa realtà. “Ho combinato con la scrittura un sacco di correnti contraddittorie nella mia vita – la razza, la classe, la famiglia. E sono davvero convinto che lo scrivere sia stato fondamentale nel processo con cui sono stato in grado di integrare tutti questi pezzi di me stesso in qualcosa di relativamente complesso”.

Parlando del proprio mandato, l’ex presidente si rammarica di non essere riuscito a mantenere l’abitudine a una scrittura regolare: troppo impegnato, troppi viaggi, conferenze, riunioni. Troppa politica per riuscire a continuare anche solo una qualche forma di diario giornaliero. “La forma di scrittura principale che ho redatto durante la presidenza è consistita nei miei discorsi, almeno in quelli che erano importanti per me”. Perché scrivere un buon discorso, riflette Obama, richiede lo stesso mestiere necessario alla scrittura del resto della letteratura.

Adesso che il tempo della presidenza è finito, Obama è felice di potersi (finalmente) concedere più tempo per leggere e scrivere qualcosa di nuovo. Oggi “siamo bombardati con le informazioni. La tecnologia si muove così rapidamente”, e questo causa un “sovraccarico di informazioni e la mancanza di tempo per elaborare le cose. Così facciamo giudizi rapidi e cadiamo negli stereotipi”. Spesso questo atteggiamento causa paura nei confronti dell’ignoto e del diverso, il che dà vita all’intolleranza.

In un momento come questo, in cui “così tanti dei nostri politici sono impegnati nel tentativo di gestire lo scontro di culture causato da globalizzazione, tecnologia e migrazione, il ruolo delle storie per unificare – al contrario di dividere, di impegnarsi piuttosto che emarginare – è più importante che mai“.

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