Nella storia della letteratura sono tante le poetesse dimenticate, a partire da Chiara Matraini, che ci fa tornare al Rinascimento italiano. O ancora, Paolina Secco Suardo Grismondi e Clotilde Marghieri… – L’approfondimento, in occasione dell’uscita di “Per seguire la mia stella” di Laura Bosio e Bruno Nacci

Donne mie che siete pigre, angosciate, impaurite,/ sappiate che se volete diventare persone/ e non oggetti, dovete fare subito una guerra/ dolorosa e gioiosa, non contro gli uomini,/ma contro voi stesse che vi cavate gli occhi/ con le dita per non vedere le ingiustizie che vi fanno.

Dacia Maraini

 

L’elenco sarebbe molto lungo, ma come non ricordare, tra le tante, Chiara Matraini, grande poetessa del Rinascimento italiano, ritornata a vivere nei nostri anni grazie al lavoro storico e critico di Luigi Baldacci, Giovanna Rabitti e ora Daniela Marcheschi, che con i suoi studi ha ispirato il romanzo, appena uscito in libreria, di Laura Bosio e Bruno Nacci, Per seguire la mia stella, dedicato a questa straordinaria figura femminile.

Quante sono le poetesse dimenticate?

La più enigmatica forse è Compiuta Donzella, di cui alcuni critici mettono persino in dubbio l’esistenza. Di lei ci sono rimaste solo notizie frammentarie e tre sonetti, ma la sua importanza storica è notevole: si tratta probabilmente della prima donna che ha scritto componimenti in lingua volgare italiana. Nobile fiorentina vissuta nel Duecento, era una donna colta, privilegio riservato a pochi, e secondo testimoni del tempo, come Guittone d’Arezzo che pare le fosse amico, anche stimata rimatrice. Eppure di questa donna coraggiosa nelle storie letterarie quasi non si trova traccia.

Paolina Secco Suardo Grismondi era una figura di spicco nei salotti letterari bergamaschi del Settecento. Poetessa apprezzata, era stata ammessa nell’Accademia dell’Arcadia con lo pseudonimo di Lesbia Cidonia, ma un’accusa di plagio, a cui molti oggi tendono a non dare credito, l’ha consegnata all’oblio. Secondo altri la sua vera colpa fu un “pensiero virile” di cui le donne non potevano essere portatrici.

Dimenticato anche il nome di Clotilde Marghieri, napoletana, collaboratrice di giornali come Il Mattino, Il Mondo, il Corriere della Sera, La Nazione e il Gazzettino, e corrispondente epistolare del grande storico dell’arte Bernard Berenson. Nel 1974 vince il premio Viareggio con Amati Enigmi, da cui l’attrice Licia Maglietta, riscoprendola, ha tratto un monologo che sarà ospitato nel prossimo mese di giugno al Festival Internazionale del Teatro di Napoli.

Sono in pochi a ricordare anche Catherine Pozzi, nata a Parigi nel 1882 in una famiglia colta e ricca. Il padre, Samuel, medico illustre, frequentava i migliori salotti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, ospitando nel proprio Marcel Proust e Barbey D’Aurevilly, i fratelli Goncourt e Sarah Bernhardt. Inquieta, versatile, viaggiatrice, a venticinque anni aveva sposato un prestante e vanesio scrittore di vaudevilles, ma il matrimonio era finito presto in un crescendo di delusioni. Nel 1910, dopo la nascita del figlio Claude, aveva scoperto di essere malata di tisi. Era stata colta da un furore di apprendere e aveva studiato teologia e matematica, fisica e letteratura. Stimata da Paulhan e da Rilke, amici e corrispondenti, nel 1920 aveva incontrato Paul Valéry. Era così iniziato un amore passionale e tempestoso, fatto di un intenso scambio intellettuale, ma anche di una straziata, impossibile comunione, e terminato otto anni dopo. Di recente, si è cominciato a prestare attenzione sia alla sua singolare figura di donna, sia alle sue opere: dalle poesie, le uniche finora tradotte in italiano, al romanzo autobiografico, Agnès, che uscì anonimo e fu a lungo attribuito a Valéry, e soprattutto al Journal, il diario che tenne dal 1913 alla morte, nel 1934, vero capolavoro nel suo genere. Da una parte, la registrazione precisa e acuminata di persone, avvenimenti, letture e vicissitudini sentimentali quali si presentano nelle circostanze di ogni giorno; dall’altra una meditazione esistenziale, a volte amara, a volte crudele, illuminata da una scrittura densa e pura, capace di rendere conto del tragico destino di una vita e del tormentato inizio di un secolo.

IN LIBRERIA – Si respira aria di melodramma nel romanzo Per seguire la mia stella (Guanda) di Laura Bosio e Bruno Nacci, tra Storia e invenzione. Un libro che riporta in vita passioni e intrighi del Rinascimento italiano e una straordinaria figura femminile a lungo dimenticata. Siamo a Lucca, città dalle cento torri e dalle cento chiese, dai bastioni possenti, ricchissima e spietata, devota e ribelle, fiera della sua indipendenza. Nel 1515, proprio a Lucca, nasce una donna simile alla sua città, orgogliosa e non domata, condannata a una vita controcorrente dal suo stesso essere donna e da un precoce talento poetico. Figlia di mercanti che esportano le loro finissime stoffe in tutta Europa, Chiara Matraini non è nobile né cortigiana, le sole condizioni che le permetterebbero un riconoscimento pubblico. Nel suo destino c’è un futuro di moglie e madre con un’oscura vita tra le mura di un palazzo. Invece Chiara, forte degli studi che i genitori le hanno consentito, decide di diventare una letterata, di più, una poetessa, pubblicando con il suo nome un volume di Rime che ottiene molti consensi. Una scelta che paga duramente, senza smettere mai di lottare, per amore del figlio, della poesia e dell’uomo a cui si lega dopo la morte del marito, suscitando scandalo. Attorno a lei, un mondo in rapido cambiamento, tra la scoperta di terre fino ad allora sconosciute, la finanza nascente, le inquietudini artistiche, le guerre di dominio e gli aspri conflitti religiosi.

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