Su ilLibraio.it la prefazione di Giorgio Biferali a “Si figuri! Guida illustrata alle figure retoriche e al loro utilizzo, spesso inconsapevole, nel linguaggio quotidiano”, volume firmato da Elisa Puglielli (e tre illustrazioni d’autore)

Le figure retoriche, la prima volta, le incontri quando sei alle scuole medie, in quella terra di mezzo inquietante, spaventosa, terribile, che si chiama pubertà, quando hai appena salutato l’infanzia e osservi con apprensione e timore il panorama dell’adolescenza. Vedi entrare qualcuno, dalla porta, che dopo aver fatto o rifatto l’appello, ti chiede di prendere il libro e di aprirlo alla pagina in cui si parla delle figure retoriche, e magari chiede, sorridendo, alla classe, se qualcuno, per caso, sa cosa siano le figure retoriche. Tu e i tuoi compagni vi guardate, quelle due parole, “figure retoriche”, fanno paura, chi ce l’ha il coraggio di alzare la mano, di lasciare che la voce possa esprimersi liberamente? Allora ecco che quel qualcuno, che è entrato dalla porta da una decina di minuti, ormai, fa un respiro profondo e sente, dentro di sé, che è arrivato finalmente il momento di entrare in scena.

“Le figure retoriche – dice – sono delle forme espressive che riguardano sia il significato che il significante, si intrecciano nel tessuto poetico per renderlo unico, diverso da tutti gli altri. Possiamo distinguere le più importanti in tre categorie: le figure di suono, le figure di posizione e quelle di significato”. Mentre quel qualcuno parla, tu ti guardi intorno, e ti accorgi che anche gli altri, come te, hanno smesso di essere lì, sono altrove, guardano le finestre, dietro cui si nasconde il mondo di fuori, che però, da quando quel qualcuno ha cominciato a parlare, sembra lontano anni luce. E quello che non capisci, in fondo, è come quel qualcuno sia ancora lì a parlare, parlare, parlare, e non riesca ad accorgersi di quel silenzio assordante che state facendo tu e i tuoi compagni. Ma che senso ha andare a scuola, quando è così? Che cosa diventa la letteratura, quando perde il contatto con la realtà? Dove va a finire la poesia, se si riduce a un copione scritto e ripetuto per anni, con le stesse parole e con lo stesso tono di voce. È un po’ come nel film Ricomincio da capo, tu e gli altri avete la stessa faccia di Bill Murray quando suona la sveglia al mattino.

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Come fare, allora? Ci sarà un modo per tenere in piedi questi giorni di scuola, in cui non siamo più bambini ma ci manca ancora un po’ per diventare adulti? È possibile restituire un po’ di vita, un po’ di umanità alla letteratura, alla poesia, ai suoni, alle pause, agli spazi bianchi intorno alle parole, oppure no? Potremmo parlare di quando Dante si trova davanti a quell’anafora, oggi abusatissima da tutti, davanti alla porta dell’inferno, di Ungaretti che si affida a una similitudine per descrivere lo stato d’animo di chi si trova in mezzo a una guerra e si sente sul punto di crollare, di Manzoni che pesca una litote per farci capire che il prete che abbiamo visto nella prima scena del romanzo non è un tipo coraggioso, e che ci vorrà ancora molto prima che quei due riescano a sposarsi, di Pascoli che, non avendo visto il padre morire, prova a immaginarlo, lo fa con una climax che va dalla terra al cielo, con un ossimoro che ti lascia senza fiato, e con una similitudine, anche lui, in cui il lampo, un fenomeno naturale che conoscono tutti, gli fa pensare all’occhio agonizzante del padre che sta morendo, che si apre e si chiude, in una notte che sembra destinata a durare per sempre.

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Ma potremmo anche aprire questo libro bellissimo, meraviglioso, sublime (ho usato un’altra climax, lo so) di Elisa Puglielli, che ha un titolo davvero azzeccato. Lo so, sembrerà una banalità, ma non è mica facile trovare un titolo che funzioni, al giorno d’oggi, e soprattutto trovarne uno che racconti così bene il libro che sta per cominciare. Perché quando l’espressione Si figuri! diventa il titolo di un libro del genere, allora vuol dire che Elisa Puglielli ha capito tutto, e ha trovato la soluzione. È con questo titolo, e con le sue magnifiche illustrazioni, certo, colorate, minimal, profondamente vive, che ormai la rendono riconoscibile, è con tutto questo messo insieme, ecco, che la letteratura torna a essere quello che è sempre stata, un’espressione nascosta, un modo di ascoltare gli altri, di immaginarci nei loro occhi, l’occasione per cercare di catturare la realtà, per poi scoprire quanto è bello quando ci sfugge dalle mani, un momento solo per noi, per conservare il dolore, per lasciarlo andar via, per tentare di addolcirlo, magari, senza riuscirci. È così, solo così, che i libri smettono di parlare solamente dei libri, e arrivano nel cuore degli esseri umani.

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Si figuri! Guida illustrata alle figure retoriche

IL LIBRO – Perché qualcuno ha “una voce vellutata”? Come mai le bottiglie hanno “il collo”? Cosa succede a chi “non ha un briciolo di cervello”? Le figure retoriche, oltre che nel linguaggio letterario, ricorrono frequentemente anche nel nostro quotidiano. Tutti noi le utilizziamo, quando scriviamo e quando parliamo, più spesso di quanto si pensi e solitamente senza saperlo.

Lo conferma Guida illustrata alle figure retoriche e al loro utilizzo, spesso inconsapevole, nel linguaggio quotidiano, volume firmato da Elisa Puglielli, in libreria per Edizioni Clichy, con molte immagini che “traducono” visivamente le espressioni di uso comune. Per imparare a destreggiarsi fra le figure retoriche e comprendere in maniera divertente, colorata e – finalmente – semplice, come vengono utilizzate. La prefazione, che pubblichiamo sopra, è di Giorgio Biferali.

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