Che cos’è l’ossimoro? E come si diversifica dall’antitesi? Ecco il significato e alcuni esempi di utilizzo, sia nel linguaggio parlato sia in opere poetiche, di questa figura retorica molto utilizzata nella storia della letteratura, e fonte di ispirazione anche in campo artistico. Infine, scopriamo come distinguere l’ossimoro da figure retoriche simili ma distinte: l’antitesi e l’adynaton…

L’ossimoro è una figura retorica che consiste nell’accostare due parole che si contraddicono, contrarie tra di loro o che comunque prese nel loro insieme esprimono un contrasto. Il significato della parola ossimoro è quindi l’unione, soprattutto in poesia ma anche in contesti colloquiali, di due concetti in opposizione tra di loro.

L’ossimoro, come altre figure retoriche, provoca una deviazione linguistica con lo scopo di attirare l’attenzione della lettrice o del lettore e di suscitare in loro una particolare reazione. Nello specifico l’ossimoro serve a esplorare le sensazioni provocate nell’accostamento degli opposti, e, in alcuni casi, a creare nuovi significati colmando dei vuoti espressivi presenti in una determinata area semantica. 

Quando si usa un ossimoro di solito si ottiene una contrapposizione di tipo paradossale, ed è proprio in questa impressione di irrazionalità e assurdità scatenata in chi legge che si intuisce la forza espressiva di questa figura retorica, molto ricorrente nella storia della letteratura.

L’etimologia di ossimoro risale alla parola greca ὀξύμωρον (oksýmōron), che è composta a sua volta dall’unione di due parole: ὀξύς (oksýs) che significa “acuto” e μωρός (mōrós), che significa “ottuso”, ma anche “stolto, folle”. È interessante notare come per creare una parola che indicasse questa figura retorica si sia creato un vero e proprio ossimoro accostando due parole di significati opposti.

Attenzione infine a come si legge il nome di questa figura retorica: si pronuncia ossìmoro, quindi rifacendosi all’etimologia greca e ponendo l’accento sulla i.

Esempi di ossimoro

Una ragazza osserva L'impero della luce di Magritte, un esempio di ossimoro in arte

L’impero della luce di René Magritte è un esempio di ossimoro nell’arte. Metà del quadro infatti sembra rappresentare un nuvoloso cielo diurno, mentre la parte sottostante rappresenta un paesaggio urbano visto di notte. La contrapposizione tra giorno e notte diventa una fonte di turbamento. (Foto di Colin McPherson/Corbis via Getty Images)

L’ossimoro è una di quelle figure retoriche che vengono utilizzate di frequente anche nel linguaggio parlato. Ne sono esempi espressioni come silenzio assordante o silenzio eloquente, brivido caldo, attimo infinito, dolce dolore, assenza ingombrante, morto vivente, false verità, dolcezza amara.

Dell’ossimoro esistono anche numerosissimi esempi in poesia e letteratura. Ecco alcuni versi e frasi di autori celebri che contengono questa figura retorica:

“…
Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiera
percossa; la tempesta è dolce quando
sgorga bianca la stella di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
ch’è prossima: se il fulmine la incide
dirama come un albero prezioso
entro la luce che s’arrosa: e il timpano
degli tzigani è il rombo silenzioso
…”
(E. Montale, Arsenio, Ossi di seppia)

 

La mole della polenta era in ragione dell’annata, e non del numero e della buona voglia de’ commensali e ognun d’essi, fissando con uno sguardo bieco d’amor rabbioso, la vicenda comune, pareva pensare alla porzione d’appetito che le doveva sopravvivere
(A. Manzoni, I promessi sposi, Cap. VI)

 

“Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve;
…”
(S. Quasimodo, Lettera alla madre, La vita non è sogno)

 

“…
Figure di nèumi elle sono
in questa concordia discorde.
O cètera curva ch’io suono,
né dito né plettro ti morde.
…”
(G. D’Annunzio, Undulna, Alcyone)

 

“…
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
…”
(U. Foscolo, Alla sera, Poesie)

Che differenza c’è tra antitesi e ossimoro?

L’ossimoro viene spesso confuso con l’antitesi, una figura retorica simile, perché a sua volta fondata sulla contrapposizione. 

L’ossimoro si può distinguere dall’antitesi in quanto è composto da due termini (solitamente nome e aggettivo), che si trovano in successione. In questa figura retorica le due parole si possono riferire alla stessa entità dandone due caratterizzazioni antitetiche, oppure, come accade più spesso, uno dei due termini è un aggettivo o un avverbio che determina il sostantivo che lo accompagna.

L’antitesi, invece, si può sviluppare all’interno di strutture sintattiche più complesse, e per questo i termini in contrasto possono essere lontani tra di loro e riferirsi a elementi diversi della frase. Spesso l’antitesi in poesia è riconoscibile perché viene costruita attraverso uno schema simmetrico. Inoltre, mentre l’ossimoro di solito rappresenta un abbinamento a prima vista illogico, l’antitesi può costituire un’opposizione più generale e può anche semplicemente indicare la negazione di un termine. Ecco degli esempi di antitesi:


Vivo alla morte, ma morto alla vita
(L. Pirandello, Il Fu Mattia Pascal).

“Pace non trovo, et non ò da far guerra”
(F. Petrarca, Canzoniere)

 

Attenzione anche a non confondere l’ossimoro con l’adýnaton, figura retorica con cui si indica l’impossibilità di un evento mettendolo in relazione con altre formule (a volte iperboliche) caratterizzate da impossibilità. Per esempio: 

“S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo”
(C. Angiolieri, Sonetti)

“…
quando avrò queto il core, asciutti gli occhi,
vedrem ghiacciare il foco, arder la neve
…”
(F. Petrarca, Giovane donna sotto verde lauro, Canzoniere)

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