L’antologia “Tutte le ragazze avanti!”, a cura di Giusi Marchetta, raccoglie le parole di undici autrici (scrittrici, esperte musicali, ricercatrici, social manager..). Su ilLibraio.it un estratto dal capitolo firmato da Marina Pierri, che parla di serie tv e si intitola “Una voce per raccontarci: la meravigliosa Mrs. Maisel (e tutte le altre)”

Arriva in libreria l’antologia Tutte le ragazze avanti! (Add). La curatrice, la scrittrice e insegnante Giusi Marchetta (collaboratrice de ilLibraio.it), ha raccolto le parole di undici autrici – scrittrici, blogger, esperte musicali e di serie tv, ricercatrici, social manager – che hanno raccontato cosa voglia dire crescere femminista e che significato abbia per loro questa parola.

Tutte le ragazze avanti

Il libro nasce da domande come: perché è importante oggi, in Italia, parlare di femminismo? E perché è importante parlarne con le ragazze e i ragazzi?

Durante i concerti delle Bikini Kill, Kathleen Hanna urlava sempre dal palco: “Tutte le ragazze vengano avanti!”. Solo dopo la band cominciava a suonare. Così, in un mondo abituato a escluderle, riservava alle ragazze un posto in prima fila da cui osservare lo spettacolo, ascoltare la musica, partecipare al concerto cantando la propria rabbia e la semplice gioia di esserci.

Tra le voci che contribuiscono al libro troviamo Giulia Gianni, Giulia Perona, Maria Marchese, Giulia Cavaliere, Marta Corato, Lucia BrandoliMarina PierriClaudia DurastantiGiulia SagramolaMarzia D’Amico Giulia Blasi.

Lo sguardo e le esperienze sono diversificati, ma colpisce l’impegno verso se stesse che tutte hanno assunto e la consapevolezza che questo non può andare disgiunto da un essere ‘assieme alle altre’ se si aspira davvero al cambiamento.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it un estratto:

Una voce per raccontarci:
la meravigliosa Mrs. Maisel (e tutte le altre) 

di Marina Pierri 

È il 29 novembre del 2017 quando, su Amazon Prime Video, esce una serie tv originale intitolata The Marvelous Mrs. Maisel; è la nuova opera d’ingegno della Amy Sherman-Palladino ideatrice di Una mamma per amica. Come spesso accade, visto che scrivo di serie tv per lavoro, ho una coda di show da guardare; come sempre, punto a farmi un’idea di come sia rappresentata la figura femminile nelle nuove narrative per il piccolo schermo setacciando in maniera piuttosto scrupolosa quel che mi passa davanti agli occhi. La faccenda richiede tempo, e io ne ho poco. Mrs. Maisel deve aspettare. Dicembre inoltrato. Capita che la gente, con me, diventi impaziente. «Guarda The Marvelous Mrs. Maisel, ti piacerà», mi si dice oppure mi si domanda un parere che ancora non ho. Glisso; il fatto è che sono rimasta incagliata in uno show Netflix uscito poche settimane prima, She’s Gotta Have It di Spike Lee. Remake per la tv del primo film del regista che da sempre canta Brooklyn e la comunità afroamericana del quartiere ha come protagonista Nola Darling, una donna indipendente e sessualmente disinibita che sfonda la quarta parete e recita: «Se non definissi me stessa per me stessa, finirei masticata dalle fantasie degli altri e mangiata viva». Ho la sensazione di dovermi ancora riprendere dal colpo di fulmine; potrebbe essere la prima volta che mi sento interpellata in modo così diretto da una femmina nella televisione. Le parole di Nola formano slogan da vangelo femminista e mi investono di consapevolezza. Danno forma al caos che, talvolta, mi pare di covare. Del resto, sono state giornate pesanti per me in quanto donna. Sono state giornate pesanti per tutte le donne.

A ottobre un lungo articolo del «New York Times» ha svelato che un noto produttore di nome Harvey Weinstein ha molestato o abusato sessualmente decine di persone del mio genere legate all’industria dello spettacolo. Tra queste c’è un’attrice italiana che apprezzo da quando sono una ragazzina, Asia Argento, ma non è la sola.

Dal vaso di Pandora – ora che è scoperchiato – continuano a strisciar fuori scorpioni e vipere. Il 13 dicembre, per esempio, leggo la confessione di Salma Hayek. Racconta che durante le riprese di Frida, il film sulla vita di Frida Kahlo che ha voluto molto, che ha prodotto, nel quale ha recitato diretta dalla regista Julie Taymor, è stata ricattata sessualmente dallo stesso Weinstein. Per qualcuno la pellicola ha poco valore, per me no. L’ho vista per la prima volta nel 2002, sapevo poco della pittrice; mi segnò. A trentasette anni torno sulle sensazioni della me ventunenne: l’ammirazione per una grande pittrice e per la donna che l’ha portata su grande schermo restituendole tridimensionalità. La mia percezione è cambiata. So che quella – rara – rappresentazione è il frutto della forza e della resistenza femminile al sopruso. La molestia è avvenuta anni prima, in un luogo nel quale non ho mai messo piede, a una donna che non ho mai incontrato; eppure piango. Sono nata femminista da una madre femminista, ho assistito per buona parte della mia vita, direttamente, agli abusi professionali e umani che le sono stati fatti perché non solo non era maschio, ma era competente e capace di porsi, sempre, come interlocutrice. Si è difesa come una leonessa. Non rimprovero e non accuso chi non ha avuto la stessa prontezza, anzi.

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Nell’autunno/inverno del 2017, così, molte storie dolorose si fondono e confondono: quelle che raccontano di danni fatti a persone che sono nella mia vita in varie misure e quelle di chi ho visto in tv o in sala oppure di chi, semplicemente, non conosco. Sono i giorni di #quellavoltache, l’hashtag ideato da Giulia Blasi che in molti abbiamo fatto nostro. Sono i giorni – tornando a noi – di She’s Gotta Have It nel quale Nola Darling guarda in camera e rivendica la libertà di fare del suo corpo quel che ritiene perché non è proprietà pubblica, ma privata. Intanto alla stessa Nola, le cui prese di posizione volutamente didascaliche mi paiono importanti, vengono mosse delle critiche. La più rilevante è banale, ma tagliente. E sovversiva. La sua voce, così limpida, a ben guardare non è quella di una donna. È quella di Spike Lee che ha scritto la serie. Prende corpo un paradosso. Un personaggio potente, che dovrebbe raccontare con parole proprie la sua stessa dimensione umana, non è molto più del cartonato scintillante di un Pigmalione. Nola, nei fatti, è il libricino dei diritti delle donne secondo Spike Lee. Pure incarnando l’autodeterminazione, insomma, Nola è determinata da un altro. È la stessa storia. Non è che non ci sia verità nei suoi pseudocomandamenti, c’è, eccome, ma si tratta della verità filtrata da un secondo punto di vista. Mi trovo spesso a dibattere la faccenda. Provo a capire, a trovare una quadra. Non ci riesco. Ci riesco solo quando, finalmente, decido che per me è arrivato il momento di guardare The Marvelous Mrs. Maisel.

È quasi Natale quando finalmente mi trovo nel 1958. Miriam «Midge» Maisel è una donna del suo tempo. È spiritosa, spigliata, arguta. Si è sposata con un uomo gentile dalle qualità umane e professionali poco appariscenti, che è tuttavia definito da un obiettivo: penetrare nel mondo della stand-up comedy, ossia il tipo particolare di comicità che negli Stati Uniti continua tuttora a proliferare in locali bui e fumosi, grandi palchi, speciali televisivi. Ogni gesto di Midge è condizionato dal benessere del marito. Deve trovarla composta e profumata anche di prima mattina, deve pensare che sia una buona cuoca, una buona madre, una buona figlia, una solutrice di piccoli e grandi problemi. Su questo aspetto, in particolare, la protagonista concentra il suo talento: nell’escogitare mille e un modo per appagare i bisogni di ciascuno. Un giorno, però, Midge scopre che i suoi sforzi non sono valsi a nulla: Joel, lo sposo alla cui soddisfazione si dedica ogni giorno, ha un’amante. La realtà, non semplice ma neppure difficile come poteva sembrare, caracolla sotto il peso della rivelazione. L’intelligenza magmatica che fino a poco tempo prima era eterodiretta, e in qualche misura sempre eterodeterminata, ora torna fine a se stessa quasi fosse una necessità fisiologica, quasi dovesse esplodere perché così è, e basta. Per caso, Midge inciampa sul palco dove si era esibito (male) il suo stesso marito. Scopre di avere una voce riconoscibile: la sua. Scopre anche che non è sufficiente. Non basta dire, bisogna saper dire. Una volta trovata la propria dimensione, occorre anche imparare a esistervi.

A me la voce di Mrs. Maisel arriva alle orecchie cristallina e da subito. Non assomiglia a quella di Nola Darling. Non assomiglia, in effetti, a quella di nessun altro. Certo, Midge non esiste: esiste Amy Sherman-Palladino, che ha inventato una femmina utile a rappresentare molte altre femmine; lei per prima, possibilmente.

Scavando, ho scoperto che la protagonista della serie tv Amazon Prime Video non era una, ma molteplice. Era stata disegnata per accogliere in sé tutte le grandi stand-up comedienne della storia. Da Joan Rivers a Tina Fey. Da Gilda Radner a Maria Bamford. In Midge, insomma, vivevano antenate ed eredi. Spiriti vecchi e nuovi. E che entrambi avessero trovato una sorta di accordo per incontrarsi nel volto di Rachel Brosnahan, vascello acquiescente a adatto a navigare le acque del tempo.

Da allora a oggi The Marvelous Mrs. Maisel ha vinto decine di premi. Venuta al mondo nel tempo controverso del #metoo, ha segnato l’inizio di una nuova epoca della rappresentazione femminile. Il messaggio non è complesso e suona così: come espressione della contemporaneità, non dobbiamo dimenticare le nostre madri, le nostre nonne e le nostre trisnonne. Come esseri umani, non dobbiamo temere di lasciare un’impronta sulla realtà. Come donne, dobbiamo parlare. Recitare. Contraddire. Asserire. Insistere. Emergere. Lasciare un segno pure nelle piccole cose e nelle grandi. Anche quando, come nel caso di Frida Kahlo, il prezzo da pagare è alto. Dobbiamo dunque evitare, a ogni costo, che la nostra voce venga cancellata o elisa. Come femmine, dobbiamo puntare a essere rappresentate e rappresentare il nostro punto di vista. È questa, a ben vedere, la sfida che appartiene alle nuove generazioni.

(Continua in libreria…)

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