Paolo Di Stefano, scrittore e giornalista del “Corriere della Sera”, firma un romanzo che restituisce valore agli infiniti momenti della memoria, frammenti di ricordi a colmare i vuoti, le lacune e i rimpianti. È il senso della nostra esistenza, questo paradosso della vita che, per essere compresa e poter diventare futuro, deve guardare sempre indietro – L’approfondimento

“Guarda che la nostra vita è stata un romanzo, anzi due. Non devi buttarla via, devi scrivere, scrivi Paolo, scrivi, scrivi, scrivi”.

Crede di averne viste di tutti i colori mamma Dina, e adesso guarda al passato con una nostalgia che regala un senso epico alla storia della sua famiglia.

Scrivi, Paolo. E Paolo Di Stefano, scrittore e giornalista del Corriere della Sera, scrive, quello che sa e quello che riesce a raccogliere, dai racconti di chi c’è ancora, i novantenni di Avola che detengono il potere della memoria, ma anche frugando nei cassetti del padre, tra le sue tante agendine. Alcune sono state conservate pulite, vuote, in attesa di una storia che valesse la pena di essere scritta.

Accumula ricordi, li raccoglie in mucchietti come briciole, come coriandoli e ne fa un romanzo: dentro Noi (Bompiani) c’è tutta una vita, di famiglie che attraversano gli anni, si incontrano, si fondono. I Di Stefano e i Confalonieri, gente di Avola, come tante.

noi paolo di stefano

Paolo, che è giornalista e le storie sa riconoscerle, capisce che si sono vissute solo cose normali, “normalmente eccezionali, normalmente noiose”, vite fatte di “sfumature di grigio”, apparentemente insignificanti, prive di eroismo.

Il nonno Giovanni è pecoraro, femminaro incallito, violento e prepotente. Il figlio Vannuzzo cresce irrequieto, in un odio totale verso il padre che è intriso di amore totale, di timore e soggezione, e che lo spinge a fare sempre ritorno, in una continua tensione, frenetico e insoddisfatto, senza mai voltare pagina definitivamente.

“Sempre lo stesso viaggio verso Avola, andare e tornare, partire per restare, chissà dove poi, e perché. Allontanarsi per avvicinarsi, avvicinarsi per allontanarsi”.

Per chi se ne va dalla Sicilia la destinazione è Milano, che è fredda ma piena di vita. Per Vannuzzo c’è il lavoro da insegnante a Lodi, poi il trasferimento in Svizzera. Ma le estati hanno i colori di Avola, la casa di Corso Gaetano D’Agata, le mandorle e i fichi d’India, e gli odori della famiglia. Non è mai riuscito a stare lontano dai suoi genitori Vannuzzo, sgammirro, poeta romantico quando innamorato, appassionato di letteratura e di etimologie siciliane.

L’incontro con Dina, figlia del maresciallo Confalonieri, avviene per le vie di Avola. Una visione: “una ragazza minuta, bellissima e segreta, chiusa dentro un elegante colletto zebrato” e l’inizio di una storia solida, tra l’irrequieto Vannuzzo e la moglie votata alla costruzione di un equilibrio familiare, in sintonia con gli umori del marito. Una vita normale, di gente felice senza saperlo. Come tutti, come noi.

Quattro figli meno uno più una. Perché mentre scrive, scrive proprio tutto, Paolo, riempiendo le pagine di particolari, dati, dettagli, informazioni scovate tra le carte, quasi a rimandare il momento più difficile, il pensiero ossessivo, una voce che gli soffia nell’orecchio fin da bambino e che esce rumorosamente dalla normalità. “Meno uno”: una cosa che non si può cancellare, che supera tutte.

Claudio è il primo a volare via, a cinque anni. È una domenica di aprile del 1967, mentre a San Siro si gioca Inter – Bologna e Tarcisio Burgnich segna di testa. In quel momento Claudio se ne va, una leucemia infantile che pochi anni dopo sarebbe diventata curabile.

“Non me lo immaginavo che quell’aquilone potevo anche essere io”.

Paolo non riesce a liberarsi del pensiero del fratellino Claudio, quello che torturava con le mani sul collo: è un volto che si allontana e ritorna, sono macchie aghiformi e rossastre di voce alle sue spalle.

Il tempo è come una vertigine, per Paolo adulto e per Claudio eternamente bambino, in un dialogo che detta nuove regole, e che abbraccia anche la figlia Maria, più grande di suo zio di dieci anni, con fotografie in bianco e nero e racconti a soddisfare la sua curiosità.

Paolo Di Stefano firma un romanzo che restituisce valore agli infiniti momenti della memoria, e recupera l’insignificante facendone una tregua alla sofferenza, frammenti di ricordi a colmare i vuoti, le lacune e i rimpianti.

È il senso della nostra esistenza, questo paradosso della vita che, per essere compresa e poter diventare futuro, deve guardare sempre indietro.

“La vedi, la vedi? In quella casa sono nato io”.

Fotografia header: Getty Editorial Paolo di Stefano marzo 2020

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