L’amore tra due donne e un omicidio misterioso al centro de “Gli ospiti paganti”, il nuovo romanzo di Sarah Waters ambientato nella Londra del 1922 – Su ilLibraio.it un estratto…

È in libreria Gli ospiti paganti, il nuovo romanzo di Sarah Waters, pubblicato da Ponte alle Grazie, che ci porta nella Londra del 1922: la città porta ancora i segni della recente guerra, sono molte le cose che hanno bisogno di essere ricostruite, molte le ferite da sanare, molti i cuori da riscaldare. Una madre e una figlia, i cui uomini di famiglia sono stati portati via dalla guerra, sono costrette ad affittare alcune stanze della loro casa per sbarcare il lunario. Gli ospiti paganti sono una coppia di giovani sposi, che con la loro allegria e sensualità portano una ventata di aria fresca nelle polverose stanze dell’appartamento. Ma anche turbamento. Lo scenario cambia velocemente, e molti fatti accadono nel vecchio appartamento che sembrava destinato a una vita fatta di piccole abitudini e di noia: un amore inaspettato e travolgente; una misteriosa aggressione; e da ultimo un omicidio.

L’autrice, laureata in letteratura inglese, ha insegnato alla Open University di Londra. Ha vinto, tra gli altri, il Somerset Maugham Award e per due volte è stata finalista del Mail on Sunday/John Llewellyn Rhys Prize. Nel 2003 è stata nominata Autore dell’anno ai British Book Awards, dalla Booksellers Association e dai Waterstone’s Booksellers.

Per gentile concessione di Ponte alle Grazie pubblichiamo un estratto:

Un movimento sull’angolo della scala la fece trasalire. Si era completamente dimenticata dei pensionanti. Alzò gli occhi e attraverso la balaustra vide la signora Barber che scendeva con passo incerto. Si sentì arrossire, come se fosse stata presa in castagna. Ma anche la signora Barber era arrossita. Benché fossero passate da parecchio le dieci, aveva ancora indosso la camicia da notte, sopra la quale portava una specie di vestaglia giapponese di raso – un kimono, a Frances sembrava si chiamasse così – mentre i suoi piedi nudi calzavano solo un paio di babbucce turche. Aveva con sé un asciugamano e un beauty-case. Salutò Frances tirandosi indietro un ricciolo appiattito dal sonno, poi disse timidamente: «Mi chiedevo se fosse possibile fare un bagno».

«Oh», rispose Frances. «Certo».

«Ma solo se non è un problema. Dopo che Len è andato al lavoro mi sono addormentata, e adesso…»

Frances cominciò ad alzarsi in piedi. «Non è un problema. Basterà che le accenda lo scaldabagno. Io e mia madre, di solito, durante il giorno non lo usiamo. Avrei dovuto dirvelo ieri sera. Riesce a passare? Dovrà fare un salto». Spostò il secchio. «Ecco, qui c’è un pezzo asciutto».

La signora Barber, a ogni buon conto, era scesa ulteriormente lungo la scala, e il suo rossore stava facendosi più intenso: guardava con espressione mortificata lo straccio sulla testa di Frances, le sue maniche rimboccate, le mani congestionate e la stuoietta da domestica ai suoi piedi, con ancora le impronte delle ginocchia. Frances conosceva benissimo quello sguardo – le era venuto a noia, in realtà – perché l’aveva già visto molte volte: sul viso dei vicini, dei negozianti e delle amiche di sua madre, tutte persone che erano sopravvissute alla guerra più tremenda nella storia dell’umanità, eppure, per qualche ragione, sembravano incapaci di affrontare la vista di una donna di buona famiglia che faceva il lavoro di una domestica.

Disse con aria disinvolta: «Si ricorda quando vi ho spiegato che non abbiamo aiuto in casa? Be’, era vero. L’unica cosa che mi rifiuto di fare è il bucato; quello, in linea di massima, lo diamo ancora fuori. Ma di tutto il resto mi occupo io. Le cose ‘nobili’ e le ‘meno nobili’. Si dice così, no?»

La signora Barber, finalmente, aveva iniziato a sorridere. Ma mentre osservava la striscia di pavimento che doveva ancora essere lavata, si sentì imbarazzata in un altro senso. «Ho paura che io e Len abbiamo fatto un bel caos, ieri. Non ci ho pensato».
«Oh» rispose Frances, «queste piastrelle si sporcano da sole. Come tutto, del resto, in questa casa».

«Adesso mi vesto, poi finisco io».

«Lei non farà nulla del genere. Ha già le vostre stanze di cui occuparsi. Se lei ci riesce senza una domestica, perché non dovrei riuscirci io? Inoltre, si stupirebbe vedendo le magie che so fare con uno spazzolone. Su, lasci che la aiuti».

La signora Barber era arrivata in fondo alla scala, ed era evidente che non sapeva dove mettere i piedi. Dopo una leggerissima esitazione, prese la mano che Frances le porgeva, la strinse e su di essa si puntellò, poi spiccò un piccolo balzo verso la parte non lavata del pavimento. Quando atterrò, il suo kimono si aprì scoprendo un po’ di più la camicia da notte, e svelando un conturbante scorcio sulla carne tornita, soda, libera che stava sotto.

Entrarono insieme in cucina e poi nel retrocucina. La vasca era lì, accanto al lavello. Aveva un coperchio di legno scolorito, che Frances usava come scolapiatti; adesso lo sollevò con un movimento esperto e lo posò contro il muro. La vasca, vecchissima, era stata rismaltata diverse volte, di recente dalla stessa Frances, che non era molto sicura del risultato; ora, in particolare la colpì la parte in ferro, vagamente arrugginita. Anche lo scaldabagno Vulcan, un cilindro imbullonato e verdastro su tre gambe ricurve, aveva un’aria un po’ spaventosa. Doveva essere stato il modello di punta del suo produttore intorno al 1870, ma adesso ricordava la navicella a bordo della quale, in un romanzo di Jules Verne, i protagonisti potrebbero fare un viaggio sulla luna.

«Questo scaldabagno ha un caratteraccio» disse Frances alla signora Barber mentre le spiegava il funzionamento. «Deve girare questo rubinetto, ma non quello lì, se no potrebbe farci saltare tutti in aria. L’accensione è qui». Sfregò un cerino. «A questo punto è meglio guardare dall’altra parte. Una volta mio padre si è bruciato entrambe le sopracciglia… Ecco».

La fiammella, sibilando, aveva trovato il gas. Il cilindro iniziò a ticchettare e sferragliare. Frances lo osservò seria in volto, con le mani sui fianchi. «Che brutta bestia! Mi dispiace per voi, signora Barber». Passò in rassegna la stanza con lo sguardo: il lavello di pietra, la tinozza di rame nell’angolo, le piastrelle da obitorio sui muri.

«Vorrei che questa casa fosse più moderna».

Ma la signora Barber scosse la testa: «Oh, per favore, non dica così». Si tirò indietro un altro ricciolo; Frances notò il buco per gli orecchini, una fossetta piccolissima sul lobo. «La casa mi piace esattamente com’è. È una casa con una storia, no? Secondo me… insomma, le cose non devono essere sempre moderne. Altrimenti non hanno personalità».

Ci risiamo, pensò Frances: quella cortesia, quella delicatezza, quel tatto. Fece una risata e rispose: «Be’, se parliamo di personalità, temo che questa casa ne abbia fin troppa. Però» proseguì in tono meno irriverente «sono contenta che le piaccia. Molto contenta. Piace anche a me, sebbene tenda a dimenticarlo. Ma non dobbiamo lasciare che lo scaldabagno si arroventi senza far scorrere un po’ d’acqua, o non ci sarà più una casa da apprezzare, e nemmeno noi per apprezzarla! Allora tutto bene? Se la fiammella si spegne – a volte capita, mi spiace – non esiti a chiamarmi». La signora Barber sorrise, mostrando denti bianchi e regolari.

«D’accordo. Grazie, signorina Wray».

Frances la lasciò e tornò al suo pavimento bagnato. Udì la porta del retrocucina chiudersi alle sue spalle, e il chiavistello che veniva inserito senza far troppo rumore. Ma la porta tra cucina e corridoio era aperta, e Frances, mentre riprendeva in mano lo straccio, riuscì a sentire molto chiaramente i preparativi della signora Barber per il bagno: il tintinnio della catenella contro la vasca, poi il borbottio e lo scroscio dell’acqua. Quest’ultimo le sembrò durare a lungo. Aveva detto una bugia, riguardo all’uso che lei e sua madre facevano dello scaldabagno: accenderlo spesso costava troppo, quindi mettevano a bollire l’acqua sulla loro vetusta cucina economica. Facevano il bagno tutt’al più una volta alla settimana, spesso usando entrambe la stessa acqua. Se la signora Barber aveva intenzione di lavarsi in quel modo tutti i giorni, la loro bolletta del gas poteva raddoppiare.

Finalmente il getto venne interrotto. Si sentirono lo sciabordio dell’acqua e lo sfregamento dei calcagni quando la signora Barber entrò nella vasca, seguiti da un tonfo liquido più consistente quando si immerse. Poi calò il silenzio, spezzato unicamente dallo sporadico, sonante gocciolio del rubinetto. Come il kimono che si apriva, quei rumori erano conturbanti, e il silenzio lo era ancor di più. Poco tempo prima, seduta alla sua scrivania, Frances si era immaginata i suoi pensionanti in termini puramente venali, come due grandi scellini con le gambe. In realtà, pensò mentre indietreggiava strascicando i piedi sulle piastrelle, avere dei pensionanti significava quella strana vicinanza senza intimità, quell’attimo così privo di veli durante il quale, a dividerla da una discinta signora Barber, erano una cucina di pochi metri e la sottile porta del retrocucina. Un’immagine le attraversò la mente: quella carne tornita, arrossata dal calore.

Cambiò posizione sulla stuoietta, afferrò lo straccio e si mise a sfregare con forza il pavimento.

(continua in libreria… )

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