Paulina Flores, che lavora come insegnante in un liceo di Santiago, nel suo primo libro, “Che vergogna”, unisce la storia del suo paese alla narrazione di un’intera generazione nata alla fine della dittatura e cresciuta in un paese in crisi, dove i padri perdono il lavoro e faticano a trovarne un altro. E a proposito dei suoi racconti, intervistata da ilLibraio.it spiega: “Tutte le storie sono piuttosto personali, intime anche. Raccontano le relazioni che formano una persona durante la vita…”

La scrittrice cilena Paulina Flores, nata nel 1988 a Santiago, con i racconti raccolti in Che vergogna (Marsilio, traduzione di Giulia Zavagna) dipinge le vite di donne e uomini cresciuti come lei negli ultimi anni della dittatura di Pinochet.

Un aspetto che accomuna i suoi testi è l’uso del flashback per rivivere momenti dell’infanzia o dell’adolescenza. Tra i fili conduttori delle storie, inoltre, la profonda analisi delle relazioni, dai genitori fino ai partner, passando per i rapporti tra fratelli e sorelle.

Flores, insegnante in un liceo di Santiago, nel suo primo libro unisce la storia del suo paese alla narrazione di un’intera generazione nata alla fine della dittatura e cresciuta in un paese in crisi, dove i padri perdono il lavoro e faticano a trovarne un altro.

ilLibraio.it ha intervistato l’autrice di Che vergogna.

paulina flores

I protagonisti delle sue storie spesso riflettono sulla loro infanzia. Perché ripensare al passato è così importante per loro?
“Poiché si tratta del mio primo libro, molte delle storie nascono da intuizioni. Alcuni dei bambini e dei ragazzi di cui scrivo sono adulti che ricordano momenti passati: l’infanzia gioca un ruolo importante nelle storie, spesso serve a rivelare qualcosa. Ma non sono in grado di spiegarne il motivo. All’inizio ho pensato che dietro la scelta ci fosse una ragione pratica: per capire meglio è necessaria una certa distanza. E siccome l’infanzia e l’adolescenza sono periodi che ho vissuto tempo fa, riesco a capire quei personaggi con maggiore precisione”.

Anche le relazioni giocano un ruolo importante nel libro, siano tra genitori e figli, o tra partner. Da dove nasce la necessità di sottolineare questi aspetti dell’esistenza umana?
“Tutte le storie sono piuttosto personali, intime anche. Raccontano le relazioni che formano una persona durante la vita. Volevo raccontare storie semplici, con personaggi comuni. I personaggi potrebbero essere tuoi vicini, colleghi, compagni di scuola…”.

Il passato del Cile, e in particolare la dittatura di Pinochet, cos’ha lasciato?
“La dittatura non ha lasciato il segno solo per via dei crimini contro l’umanità. Ha lasciato anche una costituzione che, nonostante abbia subito numerose riforme, è ancora quella scritta allora, così come il modello economico neoliberale, che è stato introdotto in Cile nel 1980”.

Un’eco che si sente ancora, quindi?
“La dittatura è ancora presente oggi, anche se è difficile crederci. E lo si vede nelle terribili ineguaglianze presenti nel paese, a livello di educazione, sanità e diritti dei lavoratori”.

Per tornare al mondo dei libri, quando si parla del Cile è inevitabile pensare all’opera di Roberto Bolaño. Quali autori contemporanei si sente di suggerire?
“Credo che anche in Italia abbiate già sentito parlare di Alejandro Andrés Zambra, la sua prosa è molto poetica e allo stesso tempo divertente. Sono una sua grande fan. Ci sono anche molte giovani scrittrici, come Romina Reyes e Camila Gutierrez. Un altro dei miei autori preferiti è Francisco Ovando: il suo primo libro, Tutta la luce del campo aperto, è stato pubblicato da poco in Italia (da Edicola, ndr)”.

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