Dopo che per settimane ha fatto discutere il film “Sulla mia pelle”, è arrivato un colpo di scena durante l’ultimo processo per la morte di Stefano Cucchi: per la prima volta uno degli imputati ha dichiarato che quanto ricostruito dalla procura, a cominciare dal pestaggio del giovane, è realmente accaduto

C’è stato un colpo di scena durante l’ultimo processo per la morte di Stefano Cucchi, come racconta nei dettagli Repubblica.it. Il carabiniere Francesco Tedesco ha ammesso il pestaggio e ha accusato due colleghi della violenta aggressione ai danni del geometra romano, deceduto nel 2009 nel reparto penitenziario dell’ospedale Pertini di Roma. Per la prima volta, come sottolinea il quotidiano, uno degli imputati ha dichiarato che quanto ricostruito dalla procura, a cominciare dal pestaggio del giovane, è realmente accaduto.

Subito la notizia ha iniziato a circolare sui media e sui social. La sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, fondatrice e presidente dell’associazione Stefano Cucchi Onlusha twittato: “Il muro è stato abbattuto. Ora sappiamo e saranno in tanti a dover chiedere scusa a Stefano e alla famiglia Cucchi”.

IL FILM SULLA MIA PELLE E IL DIBATTITO CHE HA GENERATO

Questa svolta arriva dopo la grandissima risonanza che nelle ultime settimane ha avuto Sulla mia pelle, il film di Alessio Cremonini, prodotto da Netflix e presentato al Festival di Venezia, che ricostruisce gli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi, interpretato da Alessandro Borghi.

Con uno stile quasi documentaristico, il film si basa su oltre 10mila pagine di verbale e inizia dall’arresto del giovane trentunenne, avvenuto il 15 ottobre 2009, nel parco degli Acquedotti di Roma. Stefano viene fermato per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti (dodici cubetti di hashish e tre dosi impacchettate di cocaina) ed è condannato alla custodia cautelare. Dopo sette giorni, il 22 ottobre, viene trovato morto in una stanza dell’ospedale Sandro Pertini: pesa 27 chili, ha il volto tumefatto, il corpo pieno di lividi, due costole rotte e secondo i risultati dell’autopsia è deceduto alle tre del mattino.

I motivi per cui Stefano è morto non sono mai stati resi chiari e anche il film si limita a mostrare gli eventi, senza esagerare e senza mostrare più di quanto non si evinca dai documenti ufficiali. Basti pensare che è assente completamente la scena del pestaggio: Stefano entra in una stanza con i tre carabinieri, la porta si chiude e la cinepresa resta lì, fuori. Lo spettatore può intuire, dedurre, capire da solo quello che è successo.

Nel processo sono coinvolte tredici persone: tre infermieri, sei medici, tre agenti di polizia e il direttore dell’ufficio detenuti. Per i medici le accuse sono di falso ideologico, abuso d’ufficio, abbandono di persona, favoreggiamento, omissione di referto. I poliziotti, invece, sono accusati di lesioni aggravate e abuso di autorità. A distanza di quattro anni, dopo decine di udienze, perizie, maxi perizie tutti gli imputati vengono assolti nel processo per insufficienza di prove. Almeno fino a oggi.

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Da quando è uscito il film (il 12 settembre), la rete è stata invasa da recensioni, commenti e post che hanno dimostrato quanto la storia di Stefano, e in generale la questione dell’abuso di potere da parte delle forze dell’ordine, siano argomenti caldi, che colpiscono la sensibilità di molti. E se da una parte tanti hanno considerato Sulla mia pelle un film necessario da un punto di vista sociale e politico; dall’altra non si può negare – e lo confermano anche diversi critici – che il film sia anche un ottimo prodotto cinematografico. Tanto da essere apparso nella lista dei 21 film iscritti alla selezione del candidato italiano all’Oscar per il miglior film di lungometraggio in lingua straniera.

Un aspetto interessante è che il film, nonostante sia disponibile su Netflix, è stato visto al cinema da migliaia di spettatori paganti, ed è stato proiettato gratuitamente in moltissime città d’Italia in occasione di numerosi eventi organizzati dalla Onlus di Ilaria Cucchi. Tuttavia, contemporaneamente, sono state organizzate anche tante proiezioni clandestine, che hanno spinto i produttori e i distributori a chiedere a Facebook di cancellare gli annunci degli eventi in programma. Questa mossa, però, ha generato ancora più discussioni, aumentando il dibattito attorno al film e portando alla luce non solo il caso di Stefano, ma anche il numero elevatissimo di morti avvenute in carcere.

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