I lettori che amano i racconti lo sanno bene, gli aspiranti scrittori ancor di più: Raymond Carver è un autore che nel proprio bagaglio (e nella libreria) non può mancare. Su ilLibraio.it uno sguardo d’insieme sulla vita e i libri dell’autore, considerato da Murakami Haruki un modello di scrittura. Spazio, inevitabilmente, al rapporto con l’editor Gordon Lish (e alla discussa definizione di padre del “minimalismo”)

I lettori che amano i racconti lo sanno bene, gli aspiranti scrittori ancor di più: Raymond Carver (Clatskanie, 25 maggio 1938 – Port Angeles, 2 agosto 1988) è un autore che nel proprio bagaglio culturale (e nella libreria) non può mancare. Definito da molti l’erede di Hemingway, ha incantato, confuso, soffocato il pubblico con racconti che Murakami Haruki definisce “affilati e pesanti come un cuneo di ferro” (non è un mistero che l’autore giapponese lo abbia elevato a modello di scrittura).

Nato a Clatskanie, Oregon, e cresciuto a Yakima, Carver ha trascorso la sua vita non certo nella ricchezza, dandosi ai mestieri più disparati e umili: ha lavorato come bibliotecario, come fattorino per una farmacia, è stato redattore, ha lavorato in segheria con suo padre. Alternava il lavoro allo studio – innumerevoli i corsi di scrittura, terminati o meno, che ha frequentato – e alla famiglia, avuta da giovanissimo: a diciannove anni era già sposato e padre di due figli, avuti dalla diciassettenne Maryann Burk.

Il mestiere di scrittore inizia, si diceva, molto presto, quando Carver pubblica racconti in diverse riviste, specialmente universitarie: la sua prima pubblicazione risale al 1958, su Wildcat: parliamo di Where is Intellect?, e due anni dopo curerà il numero primaverile della rivista Selection, dove pubblicherà Furious Season (che darà più avanti il titolo a una sua raccolta).

I racconti di Carver sono lampi di onestà in esistenze speciali nella loro miseria, vicissitudini piccole – a volte piccolissime – di un’umanità alle prese con i drammi comuni, ma raccontati da punti di vista inediti (pensiamo al racconto Una cosa piccola ma buona, all’investimento del bambino il giorno del suo compleanno e delle insistenti chiamate del pasticcere che della torta non sa che farne), storie di coppie, di famiglie, di amanti, spesso alle prese con problemi economici gravi e con l’alcolismo.

Raccolte di racconti, piuttosto che romanzi – un buon racconto vale quanto una dozzina di cattivi romanzi, diceva lui -, spesso ambientati in luoghi chiusi come bar, stanze d’albergo, giardini, camere da letto, facili da riportare a teatro (a farci caso, all’inizio di Birdman, un enorme Michael Keaton è alle prese con una rappresentazione sul palcoscenico di uno dei capolavori di Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore), la cui influenza principale è data, più o meno indirettamente, dalla vita familiare, in particolare dagli influssi malefici e benefici dei figli.

Nel 1967 Carver conosce Gordon Lish, allora editor di Esquire, e ha inizio un rapporto turbolento e viscerale che si protrarrà fino alla morte dell’autore. Lish pubblica alcuni racconti, non prima di aver limato le parole dell’autore fino a dimezzare la lunghezza dei suoi testi. Il risultato? Raymond Carver viene considerato uno dei padri del minimalismo. Arrivano i soldi, la fama, l’alcol diventa un brutto ricordo, divorzia da Maryann e sposa la poetessa Tess Gallagher: sembra che con Lish sia finalmente arrivata una sorta di nuova stabilità.

Ma l’8 luglio 1980 Carver scrive una lettera a Lish, in cui lo implora di pubblicare i suoi racconti prima dell’editing, considerato invasivo e nel quale l’autore non si riconosce: Lish aveva tagliato fino al 70% del lavoro di Carver, e aveva cambiato il finale a dieci su tredici racconti. Come vedremo tra poco, abbiamo la fortuna di poter leggere le due versioni, prima e dopo l’editing.

Diamo dunque uno sguardo alle raccolte di Raymond Carver, in Italia edite da minimum fax e Einaudi, nella traduzione di Riccardo Duranti.

Vuoi star zitta, per favore? (1976)

Vuoi star zitta per favore raymond carver einaudi

Ventidue racconti brevi, brevissimi; talmente brevi che alcuni non superano la pagina. Storie di uomini e donne alla ricerca di normalità, eppure sembrano vivere delle vite così banali. Ci sono coppie in crisi che cercano diversivi tra le mura delle case degli altri, mariti traditori che pensano di risolvere i problemi coniugali abbandonando i cani nella campagna, e ancora cameriere che servono ai tavoli di squallidi caffè che non sentono le parole amare dei clienti bifolchi. Il lettore rimane in tensione per tutta la lunghezza dei racconti, quasi aspettasse inconsciamente la tragedia, che infine arriva: circa dieci minuti dopo aver chiuso il libro.

Di cosa parliamo quando parliamo d’amore – Principianti (1981)

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Quando abbiamo tra le mani un libro, non abbiamo (quasi) mai il testo così come è stato pensato dall’autore: correttori di bozze, editor, agenti e altri professionisti letterari ci mettono mano, modificano, tagliano, puliscono. Della prima raccolta di racconti di Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, si può leggere una versione senza l’editing di Gordon Lish: Einaudi l’ha pubblicata con il titolo Principianti (prefazione di Paolo Giordano). Leggere i racconti prima e dopo l’editing è un’esperienza.

Cattedrale (1983)

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Un cieco va a trovare un’amica con cui lavorava anni prima, e il marito di lei si ritrova a doverlo intrattenere. Così, mentre guardano un documentario sulle cattedrali in televisione, il cieco chiede al marito di spiegargli cosa sia, a tutti gli effetti, una cattedrale. Il marito glielo spiega, il cieco gli mostra nuove prospettive di vedere le cose. Sembra quasi banale, detta così, la trama di Cattedrale. Eppure è considerato da molti un vero e proprio manuale di scrittura, un racconto il cui ritmo, struttura e tono sono talmente calibrati da creare un’armonia perfetta. Non è un caso, dunque, che Rossella Milone abbia dato al suo ‘osservatorio sul racconto‘ proprio quel nome.

Voi non sapete cos’è l’amore. Saggi, poesie, racconti (1983)

voi non sapete cos'è l'amore raymond carver minimum fax

Pare che Charles Bukowski e Raymond Carver abbiano passato un’allegra serata alcolica. Pare anche che, nella conversazione, il vecchio sporcaccione abbia detto a Carver che i giovani proprio non sanno cosa sia l’amore. Il giorno successivo sarà Carver a scrivere una poesia, a lui dedicata, divenuta poi titolo di questa raccolta. Voi non sapete cos’è l’amore raccoglie saggi, racconti, poesie che toccano un po’ più da vicino la vita dell’autore, che alternerà nei suoi testi alcuni ricordi, epifanie, situazioni vissute nella solita parte di America complicata e perdente.

Da dove sto chiamando (1988)

Da dove sto chiamando raymond carver copertina einaudi

La chiamano autoantologia perché Da dove sto chiamando raccoglie i trentasette migliori racconti secondo Carver, scelti poco prima della sua morte. I temi sono i soliti, e cari: solitudine, impotenza, amori finiti, mogli tradite, mariti violenti; iconico e lacerante è, ad esempio, il racconto Piccole cose, che in una cartella scarsa descrive il dolore della separazione, in primis quando ci sono di mezzo i figli. Ma c’è anche posto per la speranza a piccole dosi, come il ricordo di un bicchiere d’acqua fresca preso sotto un gazebo, quando ancora ci si voleva bene, o la promessa di un cambiamento mentre la colazione si rovescia sulle gambe nude.

Il mestiere di scrivere (1997)

Il mestiere di scrivere Carver copertina einaudi

Molti hanno acquistato Il mestiere di scrivere convinti che si trattasse di uno dei tanti manuali di scrittura presenti in commercio. Non esattamente: Il mestiere di scrivere raccoglie lezioni che Carver ha tenuto intorno agli anni ’70, una cinquantina di esercizi per impostare racconti e consigli preziosissimi di lettura (nessuno dovrebbe scrivere racconti senza prima aver letto Cechov). Ci parla del ritmo, dell’importanza del dialogo, della necessità primaria di avere qualcosa da dire. Scrivere non è un mestiere per tutti, non è un mestiere leggero, e al pari di qualsiasi lavoro artigianale è fatto di piccoli gesti, è quotidianità e abitudine, è capire quali parole stiano bene insieme e quali no, quali utilizzare e quali tagliare. Dice Carver: “Le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste, con la punteggiatura nei posti giusti in modo che possano dire quello che devono dire nel modo migliore. Se le parole sono appesantite dall’emozione incontrollata dello scrittore, o se sono imprecise e inaccurate per qualche altro motivo – se sono, insomma, in qualche maniera sfocate- fatalmente gli occhi del lettore scivoleranno sopra di esse e non si sarà ottenuto un bel niente.”

Altre storie, altri sguardi

I lavori di Carver non terminano qui. Importanti (anche se forse un po’ snobbate) sono le poesie (che lui stesso definiva, piuttosto, ‘racconti in forma di poesia’), raccolte in Orientarsi con le stelle. Tutte le poesie (minimum fax), la sceneggiatura scritta insieme a Tess Gallagher (Dostoevskij, una sceneggiatura, minimum fax) e America oggi (Einaudi), nove racconti e una poesia di Carver diventati film grazie a Robert Altman.

Infine, per chi volesse saperne di più sulla vita di Ray, citiamo Carver. Una vita da scrittore (Nutrimenti, traduzione di M. Bertoli) di Carol Sklenicka, una vera e propria Bibbia che raccoglie testimonianze, lettere, foto inedite per provare a definire l’uomo dietro allo scrittore.

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