“Negarsi alle facili soluzioni significa nuotare controcorrente nell’ampio Mare delle Storie. Significa restare fedeli a sé stesse”. E ancora: “In letteratura è come in teologia: è l’intelligenza delle domande che costringe a elaborare risposte alla loro altezza”. Su ilLibraio.it le riflessioni (da non perdere) di Hans Tuzzi, protagonista di un incontro su “Ribelli e libelli: la resistenza di un autore ai luoghi comuni”

Il lettore, ipocrita e fratello, irrompe nella letteratura moderna con Baudelaire, in piena rivoluzione industriale. Non che prima mancassero gli appelli o le prosopopee rivolte al pubblico dei lettori, ma con quel tu il poeta che denunciò la “spietata dittatura dell’opinione pubblica nelle società democratiche” annuncia di scrivere nella più assoluta indifferenza o addirittura contro quella creatura fantastica che i Bestiari della quotidianità contemporanea si ostinano a chiamare Lettore medio.

Quel libro, I fiori del male, sceglie il suo pubblico, those in the know, certo di rivolgersi a lettori futuri: “Je te donne ces vers afin que si mon nom / Aborde heureusement aux époques lointaines”. Un libro che pur nel desiderio di scandalo – tantopiù assurdo e patetico il desiderio dell’autore d’entrare a far parte degli Immortali, intesi come Accademici di Francia – non vuole piacere alle masse e va maneggiato con cautela. E infatti il pontefice dei critici francesi, Sainte-Beuve, non ci capì nulla, ignorando l’unico vero genio che il suo tempo gli avesse messo davanti.

Troverebbe oggi un editore, un libro del genere? Ne dubito, viviamo in tempi infantili.

Personalmente, sono convinto che il “lieto fine” – quello ingenuo del vissero felici, non quello che, apparente, cela squallore e sconfitta e grigia miseria – sia il nemico della buona letteratura ma la mancanza di lieto fine costituisce oggi più di ieri un ostacolo, se non alla pubblicazione, al successo di un romanzo.

Gadda sembra crederlo, quando dice che la Cognizione del dolore è “troppo lontano da ogni forma di gioia e di illusione che mi possa valere il consenso di chi deve pur vivere”.

Ma l’industria editoriale oggi non vuole scrittori per pochi, perché bisogna pure industriarsi a vivere e, se possibile, a guadagnare. E allora? La nota affermazione di Cyril Connolly sull’essere sé stessi e non aver lettori o avere lettori e perdere sé stessi parla di quella ambigua e potente forma di censura che è il mercato.

Si può sostenere che il vero editore dovrebbe puntare sui long-sellers. Ma non sempre best-seller e grande letteratura sono incompatibili: il Chisciotte, cioè uno di quei capolavori così noti da entrare nell’universo mentale anche di chi non li ha mai letti, ebbe da subito grande successo e numerose ristampe, oltreché imitatori.

E sarebbe possibile, oggi, giocare con le proprie diverse identità segrete come fece Pessoa? Temo che proprio le necessità di mercato lo vieterebbero. Un conto è celarsi dietro uno pseudonimo – e se l’autore è bravo, un valido Ufficio Stampa può fare dell’assenza persino una chiave del successo, come nel caso di Elena Ferrante – altra cosa è disperdersi in molte identità fittizie, uno e nessuno come Ulisse, uno e molti come Omero.

Inoltre, spesso il lettore poco avveduto chiede all’autore delle risposte. Non è questo il compito della letteratura, il compito di uno scrittore è porre domande. Là dove un autore – anche un grandissimo come Tolstoj o Dostoevskij – dà risposte, o, se preferite, pontifica, non suona convincente come nelle pagine nelle quali fa letteratura, cioè arte. Bisogna pertanto esigere dal lettore una partecipazione attiva, che colga il non detto, che scopra le reticenze, che riempia con il lavoro di una mente attiva le campiture lasciate volutamente in bianco sulla pagina. Perché scrivere letteratura non è declamare, ma suggerire; non riempire, ma sottrarre; non enunciare, bensì evocare.

Negarsi alle facili soluzioni significa nuotare controcorrente nell’ampio Mare delle Storie. Significa restare fedeli a sé stessi. Significa porsi domande incessanti e non fidarsi delle risposte che noi autori diamo a noi stessi. Significa avere il coraggio di uccidere i nostri cari – sulla pagina, beninteso – se questo è necessario. Perché la vera letteratura si fonda sulla consapevolezza di ogni vero autore di dover scontare la felicità egoistica di scrivere utilizzando le vite, le sofferenze, la morte di coloro che più gli sono vicini.

In letteratura come in teologia: è l’intelligenza delle domande che costringe a elaborare risposte alla loro altezza. Ma la risposta, per un autore, è il suo romanzo nella sua interezza, non il sentenziare qua e là disseminando pillole di una saggezza che poi le biografie personali, persino quelle dei grandi, s’incaricano sovente di smentire. E il romanzo nella sua interezza va sempre al di là delle intenzioni coscienti dell’autore. Per questo i classici, a ogni lettura, ci svelano sempre qualcosa che prima ci era sfuggito.

Questa sono le mie incerte certezze: e sono convinto che domenica 11 marzo dialogare a Tempo di Libri insieme a un romanziere e saggista come l’amico Alessandro Zaccuri, con le cui pagine mi sento quasi sempre in ammirata sintonia, possa aiutarmi a fare chiarezza e a migliorare, per il futuro, le domande che nei miei romanzi pongo al lettore – e a me stesso. Dove nasce il Male? Perché ci seduce? Dove fuggono i giorni, uniti agli anni? E già questo mi pare, fratelli ipocriti, un buon motivo per incontrarci.

L’INCONTRO A MILANO PER TEMPO DI LIBRI – Uno scrittore autentico i fondamentali li avverte prima di elaborarli in concetti. Chi, non pago di affidarsi all’insegnamento dei Maestri, sente il bisogno di un prontuario cui attenersi, è meglio che lasci perdere, afferma Hans Tuzzi nel saggio Come scrivere un romanzo giallo o di altro colore, e Alessandro Zaccuri (giornalista e scrittore, in libreria con Come non letto. 10 classici +1 che possono ancora cambiare il mondo, Ponte alle Grazie) ricorda che la letteratura è una comunità che si costruisce lentamente, nei secoli, e che ogni lettore rafforza. Tuzzi e Zaccuri discutono dell’arduo compito di uno scrittore, ovvero ribellarsi ai luoghi comuni. Domenica 11 marzo, ore 18, Sala Amber 5 (Fieramilanocity) l’appuntamento con “Ribelli e libelli: la resistenza di un autore ai luoghi comuni”.

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