Il diario è in grado di conservare il vissuto e fornire il flusso ininterrotto dell’esistenza, semplificando le difficoltà espressive dei propri sentimenti. Scrivere un diario crea una complicità con se stessi, aiuta a sfogare impeti emotivi incontenibili, trasformandoci in esploratori di noi stessi… – Scopri i consigli di Elisabetta Bucciarelli

Il segreto del diario

Ogni esistenza ha bisogno di parlare.
Giancarlo Majorino

Ira Progoff è uno psicoterapeuta americano conosciuto per il metodo del diario intensivo. Progoff sostiene che il processo di scrittura, l’atto di scrivere, e non quello di pensare, sia in grado di stimolare un movimento al nostro interno “che provoca una consapevolezza del tutto in attesa”. Sapere dove siamo e posizionarci nel movimento della nostra vita sono due obiettivi che si possono raggiungere seguendo questo metodo, perché scrivere un diario rende concrete le nostre esperienze soggettive.

Il diario segue il nostro vivere quotidiano, è in ritardo di un giorno, qualche ora, una manciata di minuti, a volte è quasi contemporaneo. L’utilizzo del diario come strumento di autoterapia trova nelle tesi di Ira Progoff un fascino del tutto particolare. Non si tratta infatti di un diario qualsiasi, ma del “diario intensivo” la cui base è il “quaderno di diario intensivo”, una struttura “altamente specifica di parti in movimento correlate che si basa sulle varie ipotesi di processo, essendo ciascuna sezione del diario un canale per un particolare processo interiore della vita personale”. A coloro che partecipano per la prima volta a un corso di diario, viene appunto consegnato un “quaderno di diario” che diviene strumento essenziale per seguire il metodo di Progoff: “La sua struttura fornisce un equivalente concreto dello spazio interiore in cui i miniprocessi della nostra vita possono muoversi fino a che non trovano un livello e una forma di autointegrazione appropriati”.

Le 24 pagine colorate del quaderno scandiscono le diverse sezioni. Quelle più interessanti da praticare sono: la Dimensione del dialogo, a sua volta suddivisa in dialogo con le persone, i lavori, la società, gli eventi, il corpo; la sezione dedicata ai Bivi, ovvero le strade imboccate e quelle tralasciate; il Registro di storia di vita, ricordi e periodi di tappa. Il diario non deve per forza essere utilizzato per sempre, a volte bastano brevi periodi per generare un’energia che spesso provoca una trasformazione e rivela nuove direzioni nella vita di una persona. L’approccio di Progoff alla scrittura non è analitico, non interpreta ma invita ad annotare progressivamente gli accadimenti con il risultato di evocare nuove idee e aprire contesti di comprensione inaspettati. Generare stupore o meraviglia e nuove strade con parole nuove.

Il silenzio, la solitudine e il piacere della scrittura accomunano tutte le persone che decidono di utilizzare questo strumento. Dice Progoff: “Dopo anni di esperienze personali e di osservazioni, mi sono posto l’interrogativo se sia meglio risolvere i nostri problemi esistenziali reagendo direttamente alle pressioni che essi esercitano su di noi. Alla fine ho scoperto che la struttura del diario intensivo rende possibile una strategia diversa, indiretta”. Il primo passo da compiere è prendere contatto con i problemi della nostra vita, guardarli e descriverli. Le pagine del diario intensivo non verranno dedicate solamente ad appunti e riflessioni quotidiane, ma saranno il mezzo per dialogare con persone, professioni, parti del corpo, eventi improvvisi o attesi, situazioni, circostanze e la società stessa.

Esistono molti diari lasciati da piccoli e grandi scrittori e, come osserva Virginia Woolf, i diari danno un’immagine deformata di chi li ha compilati, poiché si ha la tendenza ad annotarvi particolari stati d’animo come lo sconforto e l’irritazione e difficilmente ci si rivolge al diario quando si è di umore opposto. Cosi una pagina dal Diario londinese di Lord Byron:

(14 novembre 1831) Se avessi cominciato a scriverlo dieci anni fa e a tenerlo regolarmente!!! – Pazienza! Sono troppe le cose che, a dire il vero, non vorrei aver mai ricordato. Beh – dei cosiddetti piaceri della vita ho avuto la mia parte e ho visto più mondo in Europa e in Asia di quanto abbia saputo utilizzare. Dicono che ‘la virtù è premio a se stessa’: certo è che andrebbe ben pagata per il disturbo. A venticinque anni, quando il meglio della vita è andato, si dovrebbe essere diventati qualcuno; e io che sono? Nient’altro che uno di venticinque anni – più qualche mese. Che cosa ho visto? Lo stesso uomo dappertutto, già, e la stessa donna […] basta con le riflessioni. Vediamo: l’altra notte ho finito Zuleika, la mia seconda storia turca. Credo che a tenermi in vita sia stato l’averla composta, dato che è stata scritta per tener lontano il pensiero dal ricordo di *** […] Perfino qui mi tremerebbe quanto meno la mano a scriverlo.

Un altro autore, Franz Kafka, altro stile di diario e contenuti molto differenti:

  1. 2 settembre. Sabato. Tremito del viso nel piccolo piroscafo. Tende arricciate (marrone con disegno bianco sull’orlo) davanti ai negozi (Cadenabbia). Api nel miele. Donna solitaria bisbetica, con busto breve, maestra di lingue. Uomo inappuntabile coi calzoni rimboccati.

Questa, invece, una pagina tratta dal Diario di una scrittrice di Virginia Woolf, dove l’autrice ci consegna la genesi e i percorsi dei suoi scritti:

  1. Lunedì, 11 marzo. Come mi piacerebbe – pensavo oggi pomeriggio venendo qui in macchina – scrivere di nuovo una frase! Che gioia sentirla formarsi e curvarsi sotto le mie dita! Dal 16 ottobre non ho scritto una frase nuova, ma soltanto copiato e battuto a macchina. Una frase scritta a macchina non è proprio la stessa cosa; prima di tutto è formata da elementi già esistenti: non scaturisce inedita dalla mente.

Dunque il diario è in grado di conservare il vissuto e fornire il flusso ininterrotto dell’esistenza, è capace di semplificare le difficoltà espressive dei propri sentimenti, crea una complicità con se stessi, aiuta a sfogare impeti emotivi incontenibili e ci offre la possibilità di trasformarci in esploratori di noi stessi perché, come sosteneva Pier Vittorio Tondelli, “è questo l’epos della scrittura, il rapporto di sparizione con la realtà e, allo stesso tempo, il continuo esserci”.

Esercizio 1

Occorrente: un quaderno, che sia prezioso, da scegliere con cura. Una penna o più di una, che scriva bene. Matite colorate, se servono. Pennarelli a punta sottile. Una colla stick.
Stiamo per iniziare un diario. Non è mai troppo tardi. Un gesto che facciamo per noi e solo per noi.
Per una settimana proviamo ad annotare tutto quello che ci succede, giorno per giorno. Utilizziamo l’Io narrante preferito per descrivere avvenimenti e persone con cui entriamo in relazione. Prima narriamo, poi esprimiamo opinioni. Al termine di ogni resoconto quotidiano indichiamo anche la nostra emozione dominante della giornata.
Una pagina al giorno sarà sufficiente per tenere la mano allenata e tessere il filo della nostra esistenza. Inoltre, anche se marginalmente, potremo prendere in considerazione un altro aspetto del processo chirografico. Secondo la medicina psicosomatica la struttura corporea e la psiche sono strettamente collegate e le parole scritte, essendo manifestazioni dello “psichismo” della persona, dovrebbero divenire espressione simbolica del soma, cioè della struttura fisica. Il sillogismo ha già condotto gli esperti in grafologia a ipotizzare teorie affascinanti, come la possibilità di individuare attraverso il segno grafico lo stato di salute di chi lo ha prodotto, scritture in buona salute capaci di evidenziare una buona armonia tra corpo e psiche e scritture in cui l’energia vitale appare bloccata. Tenere un diario aggiornato renderà possibile anche il confronto tra le grafie del passato e quelle del presente. Noi stessi potremo renderci conto e comprendere da soli la relazione tra la nostra calligrafia e gli stati d’animo che l’hanno prodotta, tracciando un percorso tra i cambiamenti visibili nella scrittura in relazione allo stato storico-emotivo dei suoi contenuti.

Esercizio 2

Occorrente: una o più pagine di diario oppure un foglio bianco. Materiale per scrivere.
È un esercizio per scaricare la tensione: si chiama scrittura a lettere estreme. Inizieremo a scrivere una parola significativa per noi in quel preciso momento, dapprima con la nostra calligrafia normale e poi esagerandone la grandezza.
L’esercizio serve a verificare come la dimensione delle lettere riesca a modificarne la forma e talvolta anche le parole appariranno portatrici di significati differenti.

Quello che avete appena letto è l’ottavo capitolo del penultimo libro di Elisabetta Bucciarelli, Scrivo dunque sono (Ponte alle Grazie). L’autrice, milanese, ha vinto prestigiosi premi con i suoi gialli. A proposito di Scrivo dunque sono, per Elisabetta Bucciarelli “siamo quello che scriviamo”, per questo è necessario trovare le parole giuste per raccontarsi. Dietro le scelte tecniche e stilistiche c’è sempre una ricerca interiore, un tentativo di mettere ordine e fare chiarezza nel proprio tragitto personale. Scrivere è un modo di appropriarsi del mondo che ci circonda, di trovare la giusta distanza e la prospettiva migliore sulle cose e sulla nostra posizione nel palcoscenico della vita.  Al confine tra creatività e indagine psicologica, analisi linguistica e ricerca di un equilibrio interiore, in questo libro Elisabetta Bucciarelli racconta una passione che non ha mai fine e che ogni volta si rinnova di fronte alla pagina bianca.

Non solo: proprio in questi giorni l’autrice arriva in libreria con il romanzo La resistenza del maschio (NNE). La trama? L’Uomo ha una vita di successo, moglie, lavoro, casa. Non vuole figli e non vuole solo sesso. Cerca in ogni circostanza misura e proporzioni. Una notte assiste a un incidente: una donna si schianta contro un palo della luce. L’immagine di lei, simile a un quadro preraffaellita, diventa un’ossessione. Intanto nella sala d’aspetto di uno studio medico tre donne attendono il loro turno. Al di là della volontà di ciascun personaggio, qualcosa sta per accadere..

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