Dalla feroce satira di “Veep”, un crescendo di bassezze e scorrettezze per raccontare il peggio della politica americana, al mockumentary “The Office”, che mette in scena le vessazioni di un capo narcisista, passando per l’esilarante “Parks and Recreation”. Senza dimenticare il lassismo italiano su cui ironizza “Camera café”: Ilenia Zodiaco consiglia quattro serie che raccontano da vicino gli ambienti di lavoro: “Anche se esso è il vero dramma del nostro tempo, è la commedia ad averlo ritratto con più autenticità ed efficacia”

Non c’è storia senza conflitto. Anche se forse sono finiti i tempi delle grandi avventure – terreno di gioco prediletto dalle narrazioni storiche o fantasy – la contemporaneità vive comunque tante lotte quotidiane, piccole crisi e micro scontri che fanno parte del vivere in società. Probabilmente l’ambiente in cui si registrano più attriti è il luogo di lavoro (anche perché sempre più spesso è il luogo dove trascorriamo la maggior parte del nostro tempo). Chi di noi non ha almeno un aneddoto da condividere sui suoi colleghi? Il racconto della propria occupazione – soprattutto quando la si presenta agli altri – è raramente elettrizzante, più spesso tragicomico.

Non sono poche le serie tv che hanno sfruttato le dinamiche di un ufficio – diviso tra la monotonia e l’assurdo – per produrre delle comedy in certi casi strepitose. Infatti, anche se il lavoro è il vero dramma del nostro tempo, è la commedia ad averlo ritratto con più autenticità ed efficacia.

La routine quotidiana lascia più spazio alla creatività di quanto si possa immaginare: la convivenza forzata all’interno di un ufficio innesca dinamiche fertili per la narrazione di una storia valida: incomunicabilità, malintesi, litigi, malcontento. Tutto ciò che genera stress nella vita reale può essere “esorcizzato”, se viene ingegnosamente trasformato in un episodio di comicità condensata di venti minuti.

Quali sono le serie che riescono a rappresentare meglio l’ostile mondo del lavoro (e soprattutto che ci permettono di riderne di più)?

Parks and recreation

 

Parks and Recreation
Parks and Recreation

In onda dal 2009 al 2015 sul canale americano NBC (in Italia disponibile sulla piattaforma Amazon Prime Video), Parks and Recreation è un mockumentary, un falso documentario, che segue le disavventure della funzionaria governativa Leslie Knope, personaggio di finzione che deve tutto alla sorprendente comicità di Amy Poehler, la sua interprete.

Leslie è una pimpante burocrate di medio livello che lavora nel bizzarro Dipartimento per la manutenzione dei parchi pubblici di Pawnee, una cittadina immaginaria dell’Indiana. L’interrogativo di fondo della serie è di estrema attualità: cosa succede quando un individuo di buon cuore concentra tutte le sue energie in un’impresa totalmente inutile e in cui la collettività non vede alcun vantaggio? Ogni episodio della comedy si gioca su questo conflitto tra Leslie e la comunità di cui fa parte. Perché Leslie non si arrende come fanno tutti davanti al nepotismo, la farraginosità e l’ipocrisia dell’amministrazione pubblica? Cosa occorre per smorzare l’entusiasmo inestinguibile di Leslie che, al contrario dei suoi colleghi, non si vuole rassegnare alla mediocrità del suo incarico? Lo scarto tra l’insignificanza del suo obiettivo – costruire un parco su un lotto abbandonato – e gli sforzi compiuti per la sua attuazione, pari a quelli di una crociata, è il perno della serie.

Quando il lavoro diventa un’abitudine, come si può conservare la propria passione? Da un dilemma comune che tutti ci siamo posti, la serie fa scaturire una sfilza di situazioni comiche, non solo perfettamente congegnate ma, soprattutto, caratterizzate da un cast che ha fatto della propria espressività il successo della narrazione, tant’è che sono proprio gli eloquenti primi piani dei personaggi a dettare il ritmo della storia. Parks and Recreation, infatti, ha anche il merito di aver consacrato degli attori iconici della comicità statunitense contemporanea come Aziz Ansari e Chris Pratt. Sebbene si tratti di una satira leggera, la comedy mette ben in luce il dissesto della burocrazia governativa e la paradossale dicotomia tra l’ottimismo e la trionfale retorica della politica americana e la sua reale attuazione tra corruzione e incompetenza.

Veep

 

veep
Veep

Dallo stesso paradossale binomio nasce anche Veep, show andato in onda sul canale via cavo HBO dal 2012 e in Italia da Sky, assai più feroce e satirico della precedente serie. Si tratta sempre di politica, sebbene a un livello molto più alto visto che la protagonista – Selina Meyer – è il vicepresidente degli Stati Uniti d’America. Il suo operato e quello del suo staff è disastroso, la serie è un crescendo di bassezze e scorrettezze da parte di governanti completamente scollati dalla realtà, che si aggirano tra stanze del potere in cui l’aria è fetida.

In Veep viene rappresentato un ambiente di lavoro perennemente sotto stress, in cui pugnalarsi alle spalle è la regola e vige una competitività estrema tra giocatori cinici e spietati. Veep è il peggio della politica americana, il rovescio della medaglia di serie come West Wing di Sorkin. Qui il trionfalismo  ripreso dalla colonna sonora – viene completamente fatto a pezzi dalla crudezza della realpolitik: gestita da personaggi di infimo livello, inetti e incompetenti tanto quanto ambiziosi e senza scrupoli.

Dovreste quindi aspettarvi una serie cupa e arcigna? Assolutamente no. Grazie alla penna di Armando Iannucci, Veep ha una sceneggiatura vivacissima, ricca di giochi di parole, che brilla per creatività lessicale, specialmente nel turpiloquio, unica valvola di sfogo per i personaggi che sono tutti nevrotici, alcolizzati e narcisisti, impegnati in ogni episodio a tessere una trama rigogliosa di insulti e stoccate.

I vertici che ha toccato Veep sono ancora insuperati e lo dimostra anche il numero di Emmy vinti dal cast (menzione d’onore per Julia Louis-Dreyfus e Tony Hale). Un altro punto a favore di Veep è il suo incredibile potere predittivo; basandosi spesso su scandali ed eventi politici reali (come la precedente serie di Iannucci, The thick of it), è chiaro che la serie ha sempre mostrato un particolare acume e una grande capacità d’osservazione dell’attualità politica e sociale. Eppure risulta comunque straordinario il grado di precisione con cui Veep ha anticipato l’altissimo livello di cialtronaggine dell’amministrazione Trump.

The office

 

the office
The Office

Tornando ai piani bassi, un’altra serie di culto che ha fotografato perfettamente i tratti più grotteschi della vita aziendale è The Office – prodotta dalla NBC, in onda dal 2005 al 2013, remake della serie inglese omonima della BBC, scritta dagli stessi autori Ricky Gervais e Steve Merchant – che prende in esame il tran tran di un’impresa che distribuisce carta, un lavoro noioso e standardizzato, evidenziato ancor di più dalla scelta di adottare il formato del mockumentary (chissà perché in Italia questa formula è ancora poco utilizzata nella serialità).

La serie racconta con ironia le vessazioni di un capo narcisista (interpretato da un caratterista eccezionale come Steve Carrell), il sessismo e i soprusi quotidiani che i dipendenti sono costretti a subire. In altre parole: come si sopravvive in un ambiente gretto e per niente stimolante. La serie si rafforza con il tempo, anche grazie alla scelta del cast che vanta una formazione teatrale, in grado spesso di improvvisare le gag, sempre mordaci e satiriche.

E in Italia?

Menzione d’onore per l’italiana Camera café che riprende le pause davanti a un distributore automatico del personale di una generica megaditta del Nord Italia. Il format non è originale, perché è stato ripreso da un omonimo francese, eppure è innegabile la sua incisività nel dipingere un certo tipo di lassismo con una declinazione tutta italiana.

Nonostante a tratti risulti decisamente troppo macchiettistico, è impossibile non citarla quando si parla di narrazione televisiva e lavoro, avendo scandito le “pause caffè” di tantissimi italiani.

L’AUTRICE – Qui tutti gli articoli e le recensioni di Ilenia Zodiaco per ilLibraio.it

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