Nel suo primo romanzo per adulti, La vita in generale, Tito Faraci, noto sceneggiatore di fumetti, porta l’audacia della letteratura popolare dentro un libro comico-sociale… – Su ilLibraio.it un estratto

Il Generale, Mario Castelli, è stato alla guida di un’azienda, ha conosciuto l’amore, ha avuto molto dalla vita. Ora non ha più niente. La sua è stata una discesa veloce, inarrestabile, innescata da un imprevedibile tradimento. Dopo la galera, scivolare in basso è stato più facile di quanto potesse immaginare. Ora vive insieme ad altre creature notturne negli anfratti dei senzatetto, dei disperati, dei barboni. Eppure, anche lì, gli uomini e le donne con cui divide la nuova condizione di dropout gli riconoscono la naturale autorevolezza di chi sa come ci si muove nel mondo. Questo continua a essere il suo “teatro” finché la giovane Rita si mette sulle sue tracce: vorrebbe che l’azienda paterna non fosse assorbita da una combinata franco-cinese e sa che il Generale ha le competenze per aiutarla.
Bella e lungimirante, Rita conquista la sua fiducia. L’avventura di Mario Castelli torna a muoversi dentro la scena di pescecani, manager assatanati, gelidi manipolatori che lui ben conosce. Sono personaggi vecchi e nuovi, facce diventate maschere e maschere che nascondono altre maschere. è l’occasione per scatenare la buona guerra del riscatto, il miracolo della giustizia.

Luca “Tito” Faraci, classe ’61, noto sceneggiatore di fumetti e autore di libri per ragazzi, arriva in libreria per Feltrinelli con il suo primo romanzo per adulti, La vita in generale, in cui porta l’audacia della letteratura popolare e delle storie dei fumetti dentro un romanzo comico-sociale.

Su ilLibraio.it il prologo e il primo capitolo
(per gentile concessione di Feltrinelli)

 

“Ho finito proprio adesso di contare il mio denaro e non ricordo più il totale! Ci ho messo tredici anni a contarlo, ed è stato tempo sprecato! Sprecato!”
Paperon de’ Paperoni, in Zio Paperone e la Stella del polo, di Carl Barks

Parte prima

Potreste averlo incontrato. Senza vederlo, senza volerlo vedere, potreste averlo incontrato. Potrebbe avervi teso la
mano unta e callosa. La mano di un uomo che ha lavorato, un tempo. Una mano che ha stretto altre mani, con una presa forte e rassicurante, un tempo. E ora quella mano si è tesa verso di voi, che non l’avete guardata e avete tirato dritto. Chiedeva con la mano, ma non con gli occhi. Negli occhi, se li aveste guardati (ma non lo avete fatto), avreste letto soltanto disillusione e disprezzo. Potreste avere incontrato quest’uomo, vestito di stracci vecchi e sporchi. Anche lui vecchio e sporco, fuori e dentro. Potreste essere stati sfiorati da un alito di pessimo vino in cartone. Uscito da una bocca che un tempo comandava. E lo fa ancora, in un mondo invisibile. Un mondo di invisibili. Adesso dorme, nella sua cuccia di pietra e cemento. Sono in tanti a farsene una così, come la sua. Spesso non ci si conosce neanche e bisogna difendere lo spazio acquisito, ma altrettanto spesso ci sono regole non scritte che dividono il metro quadro, battezzano l’anfratto, connettono cavi per la luce. Ci sono regole non scritte che creano vere e proprie residenze, riconoscono autorità, riscrivono le logiche del merito, il giusto e l’ingiusto. Regole che lui, quel vecchio, stabilisce. Per guidare il suo invisibile esercito, in un nuovo giorno che sta per cominciare. In una nuova battaglia.

  1. Un giubbotto bello

“Generale… Generale, vieni!”
Mario Castelli ha fatto un sogno. Un brutto sogno, che non racconterà a nessuno. Perché dei sogni degli altri non interessa nulla a nessuno, appunto. Né dei sogni né, tanto meno, degli incubi. Distende le gambe anchilosate, il suo corpo scricchiola. Cigola. Un vecchio macchinario che si rimette in funzione a fatica, con gli ingranaggi disallineati. I cartoni che ha usato come coperte scivolano via. Scivolano via pure le immagini del brutto sogno, anche se purtroppo gliene rimane un persistente benché vago ricordo. Come un saporaccio in bocca, dopo che hai assaggiato qualcosa di andato a male pescato in un bidone. È il ricordo di ricordi, tornati nel sogno. Non per la prima volta. Non per l’ultima. Mario nota che c’è il sole, il cielo è azzurro e non fa più tanto freddo. Una bella giornata, che lo sorprende e gli dà una breve illusione di felicità, come un bacio sulla bocca a labbra chiuse.
“Generale! Generale!” Di nuovo quella voce. Non era la fine dell’incubo, quindi, ma l’inizio della realtà. E dalla realtà non ti puoi svegliare.
“Generale, devi correre subito! Se no finisce male!” È la voce di Zagor. Mario adesso l’ha riconosciuta. È più vicina. Dopo la voce arriva anche Zagor in persona, tutto rosso e con il fiatone. Si ferma davanti a Mario, che intanto si è messo a sedere su uno scalino e si sta levando la cispa dagli occhi. Il che sarà, più o meno, la toilette della mattinata.
“Che succede, Zagor? Che cosa finisce male?”
“Sbarbo e Nerone… si menano. Cioè, adesso hanno smesso. Li stiamo tenendo. Hanno litigato di bestia.”
“Una vivace discussione,” dice Mario, esplorandosi la barba. “E quale sarebbe l’oggetto del contendere?” Zagor scuote la testa, imbarazzato. Mario si sente in colpa e prova tenerezza per quell’ometto che sarebbe più giusto chiamare Cico, come il paffuto compagno messicano di Zagor. Non fosse che, con i soprannomi, non si riesce mai ad aggiustare il tiro. Una volta che ne hai uno, resta quello. Anche se ce ne sarebbe un altro migliore. Anche se le cose cambiano. E Mario, detto “il Generale”, ne sa qualcosa. Zagor è chiamato Zagor perché gli piace leggere fumetti. Riesce a trovarne dovunque. Spesso vicino alle edicole ci sono ceste di copie fallate, bagnate, invendibili. Oppure basta frequentare i bidoni della raccolta differenziata. In particolare, gli piacciono gli albi della Bonelli: “Tex”, “Dylan Dog” e, per l’appunto, “Zagor”. Ma anche “Diabolik”. Mario è convinto che li guardi, perché la lettura non è proprio il suo forte. Guarda le figure e se le fa bastare. Oppure, ogni tanto, chiede al Generale di leggergli qualche dialogo. “Per cosa stanno litigando Sbarbo e Nerone?” chiede ora Mario, con semplicità e tenerezza.
“Per un giubbotto,” risponde Zagor. “Un giubbotto bello, tipo di pelle. Ne avevo anch’io uno così, una volta.”
Una volta. Per tutti loro c’è stata “una volta”. Un concetto indeterminato e, allo stesso tempo, preciso. C’era una volta, tanto tempo fa. Il tempo che è venuto dopo non è quello delle favole.
“Vabbe’,” dice il Generale. “E non possono semplicemente ammazzarsi tra di loro?”
“Ah, okay… glielo vado a dire.” Zagor fa dietrofront.
“No, fermo! Stavo scherzando!” gli grida Mario, alzandosi in piedi con fatica. “Vengo con te a dirimere… sì, insomma, a decidere chi ha ragione.”
Zagor sorride.
“Aspetta,” dice Mario. “Un uomo ha delle priorità, in particolare appena sveglio. Il cuore non è l’unica parte del corpo a cui non si comanda.”
Questa volta Zagor non capisce. Forse si è perso dentro la parola “priorità”.
“Zagor, devo pisciare.”

E lo fa lì, sul portone di un edificio in rovina vicino ad altri edifici in rovina, che prima o poi saranno bonificati, sventrati, polverizzati, tradotti in area residenziale per essere loftizzati e restituiti a gente con i soldi. Gente come Mario Castelli, il Generale, una volta. Mario pensa questo e mormora:
“Vaffanculo”. Piscia contro il portone ancora più volentieri

(continua in libreria…)

TitoFaraci

 

L’appuntamento – Domani, mercoledì 10 giugno, alle ore 18.30, presso la libreria Feltrinelli Libri di Piazza Piemonte, a Milano, Tito Faraci presenta il romanzo con il musicista Giorgio Ciccarelli e lo scrittore Giorgio Fontana.

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