Cadoinpiedi.it pubblica l’intervista di Mirella Serri a Romano Montroni, neo presidente del Cepell, pubblicata su La Stampa del 12 aprile 2014.

Roma. Gli operai scaricano scatoloni e poi montano gli ultimi scaffali colorati, con cartelline e faldoni per il nuovo ufficio nei pressi di Piazza del Popolo. Romano Montroni, il più celebre libraio d’Italia, classe 1939, una vita tra le scaffalature – per circa 40 anni è stato l’anima delle librerie Feltrinelli -, da pochissimi giorni è a capo del Centro per il libro e la lettura (ha preso il posto di Gian Arturo Ferrari che probabilmente rimarrà a presiedere il comitato scientifico). La burocratica etichetta del Cepell recita che “ha il compito di divulgare e promuovere il libro, la cultura e gli autori nazionali” ma dietro l’algida sigla si cela un cuore vivo e più palpitante che mai: la fucina sta andando a tutto gas.

DOMANDA: Montroni, è vero che lei ha già acceso i motori e sta varando un piano per la riscossa?
RISPOSTA Dobbiamo risalire la china, le statistiche parlano chiaro: negli ultimi tre anni, a causa anche della crisi economica, si sono persi per strada il 15 per cento degli acquirenti: siamo passati dai 22,8 milioni di italiani che hanno comprato almeno un libro nel 2011 ai 19,5 milioni del 2013. Il 43 per cento della popolazione di sei anni e oltre dichiara di aver letto almeno un libro l’anno (in Germania è l’ 82 per cento). Siamo il fanalino di coda dell’Europa.

D: Lei è ntoriamente capace di combinare rapidità e impegno intellettuale per la promozione e al contempo di organizzare fiere ed esposizioni nello spazio di una nottata.

R: Penso a un programma in tre fasi.

D. Il passo numero uno?

R: La lettura ad alta voce per i bambini è utilissima, i piccoli devono imparare a prender confidenza con i libri dai sei mesi in poi. Per potenziare questo primo approccio ci vogliono i genitori. Ma è necessario, subito dopo, radicare l’abitudine nelle scuole. E allora? Ecco un piano a cui devono dare il loro contributo librai, editori e ministero dell’Istruzione: gli scrittori devono essere ospiti delle aule, salire in cattedra, fare lezione. Faccio un esempio. Da noi il ministro Tremonti se ne uscì con l’infelice battuta: ‘Con la cultura non si mangia’. In Inghilterra Tony Blair, appena insediato a Downing Street, regalò cinque sterline agli studenti per l’acquisto di un volume. Vede la differenza?

D: Si vede, eccome.
R: Ma, ecco un altro esempio che viene dalla mia esperienza familiare: mia figlia ha fatto tre anni di liceo in Inghilterra e c’era un programma di lettura obbligatorio intensissimo che andava dalle due ore della mattina alle quattro ore del pomeriggio. La pagina scritta non era un optional ma una compagnia fissa, sempre presente nella giornata.

D: E per tornare a noi?
R: In primo luogo si tratta di far acquistare a prezzi agevolati agli allievi i volumi di cui discuteranno con l’autore. Un lavoro collettivo di questo tipo, lo dico per esperienza diretta, può coinvolgere gli studenti più demotivati. I ragazzi più diffidenti, quelli che maneggiano con circospezione i tomi quasi fossero bombe al plastico, finiscono per essere trascinati dai più entusiasti. Questa prassi dell’autore a scuola dobbiamo renderla stabile e mandarla in porto a livello nazionale. Gli editori possono favorire la diffusione.

D: Può bastare?
R: E’ un primo approccio. Alle Feste dell”Unità’ i tomi vanno via numerosi quanto le salsicce e le piadine. L’esperimento di animare centri e borghi del Sud, portando opere ovunque, viene compiuto tutti gli anni da Giuseppe Laterza con i ‘Presìdi del libro’. E allora? Che aspettiamo? Popoliamo le città di stand con i libri. Anche in questo caso serve la cooperazione di chi scrive, di chi pubblica e di chi gestisce i prodotti.

D: La libreria in piazza è meglio di internet?
R: Non c’è dubbio. Non bisogna pensarla, però, come un’iniziativa finanziata dallo Stato-papà-Pantalone che come al solito paga per tutti.

D: Chi allenta i cordoni della borsa e si immola sull’altare della cultura?
R: Non è un sacrificio, è un piacere. Che offre un ritorno economico. Esistono gli sponsor di bellissime mostre d’arte, se ne possono trovare anche per le manifestazioni che coinvolgono l’editoria. A Mantova i commercianti si tassano per finanziare il Festivaletteratura. In Italia vi sono numerosi imprenditori disposti a supportare il mondo dei libri, come a Bologna, ma è solo un esempio, ‘Scienza in piazza’, organizzata per la diffusione della cultura scientifica, che quest’anno ha proposto una ‘food immersion’, appagando al contempo i golosi di libri e di cibo. Oltre agli imprenditori, anche chi siede in Parlamento può darci una mano”.

D: In che modo?
R: Per scuotere dal torpore, da uno stato di apatia generale. Le soluzioni sono a costo zero: perché non potenziare i supporti televisivi? Un assaggio? ‘Scrittori di fiction – che a volte siete anche autori di libri – perché nei vostri sceneggiati non c’è mai un personaggio che legge? Perché non incrementate il numero di quelli che danno il buon esempio e hanno un libro in mano?’: un’esortazione come questa può venire formulata dai nostri politici ed essere rivolta al nostro servizio pubblico. Bisogna trasmettere la consapevolezza che il libro non è un prodotto standardizzato. Per diffonderlo, per venderlo, ci vuole un mix di passione e di praticità.

D: Neo eletto al Centro, lei ha citato una bellissima frase di Ezio Raimondi sui lettori: “uomini liberi che esplorano il possibile”. Quali i libri che le hanno trasmesso questo valore?
R: Vengo da una famiglia della periferia di Bologna, mio padre era vigile urbano e mia madre casalinga. Nella nostra piccola casa libri e disponibilità per comprarli erano inesistenti. Sono diventato fattorino alla Feltrinelli sotto le Due Torri. Pedalavo tutti i giorni. Andavo in bicicletta dal punto vendita ai distributori. La frequentazione dell’ambiente insolito, movimentato da studenti e da professori, è stata come un tocco di bacchetta magica, ha cambiato radicalmente le mie abitudini, la mia personalità. Ho cominciato a essere diverso dal ragazzo che passava la sera al bar, sono diventato capo commesso.

D: Nel frattempo, leggeva?
R: Divoravo tutto quello che mi capitava sottomano, passavo dalle ‘Memorie del sottosuolo’ di Dostoevskji alle ‘Memorie di Adriano’ di Marguerite Yourcenar, da Tolstoj a Calvino a Giamburrasca a ‘Moby Dick’. Però l’opera della crescita e dell’emancipazione è stata ‘Martin Eden’ di Jack London, che descrive la difficile vita di un marinaio che lotta per diventare scrittore e per non deludere Ruth, giovane donna dell’alta borghesia di San Francisco di cui si è innamorato.

D: Ultime attrazioni letterarie?
R: Amo molto l’ironia e l’acume di Beppe Severgnini, Gli sdraiati di Michele Serra che ci fa riflettere sui nostri limiti di padri, e Il desiderio di essere come tutti di Francesco Piccolo, di cui tutti dicono che vincerà il premio Strega. Ho maneggiato tonnellate di carta nella mia vita, ho assistito al montaggio di chilometri di bancali. Della libreria non ne faccio a meno. Continuo a lavorare. Ho passato lo scorso week-end a Bologna tra i 90 mila volumi dell’Ambasciatori, splendido spazio ricavato da un edificio ottocentesco, design ultramoderno in una struttura antica. Al profumo della carta, alla fisicità e alla sensualità del libro non ci rinuncio. Mi rinvigorisce. Poi ritorno al tavolino del Centro. Le buone idee non bastano, ci vuole una grande energia e una grande pazienza.

Mirella Serri insegna Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Roma. Ha dedicato saggi ai maggiori autori contemporanei.

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