Intervista a Romana Petri autrice di Tutta la vita ISBN:9788830430754

Segnalata dalla critica come una delle migliori autrici italiane contemporanee, Romana Petri torna con una bellissima storia d’amore ambientata tra l’Italia e l’Argentina: Alcina, la protagonista, parte dall’Umbria per raggiungere a Buenos Aires il suo Spaltero, un uomo che la ama fin da bambino. Il tema del viaggio, l’amore per l’epica: quanto c’è di autobiografico in Tutta la vita? L’abbiamo chiesto all’autrice.

D. Il personaggio di Alcina è il perno del romanzo: donna di straordinaria personalità, di forza, determina e regge tutte le esistenze che le ruotano intorno. E soprattutto i sentimenti, l’amore (qui tema assoluto). Come si è affacciata alla tua immaginazione?

R. I personaggi sono anime bizzarre, come arrivano è difficile dirlo. Spesso sono addirittura prepotenti e capaci anche di dettare dei tempi. Ci sono, per esempio, personaggi passeggeri e veloci, che vogliono avere una voce per poi sparire, altri, invece, danno dei tempi più lunghi e pretendono di farci compagnia per un bel po’. È il caso di Alcina. Come questa donna abbia cominciato a fare parte della mia vita non saprei dirlo, me la porto dietro da molti anni, ma è certo che si tratta di una presenza dominante. Forse è una specie di simbolo, l’immagine di una donna che mi piace, il contrario del modello che oggi ci viene proposto. Alcina mi fa pensare piacevolmente al rispetto, a quello che certe donne, un tempo, incutevano anche con la loro semplice presenza. E poi mi piacciono le sue paure, la guerra che fa per vincerle, la forza che riesce a costruire proprio sopra le sue debolezze.

D. Non dovrei chiederlo, ma è inevitabile: c’è qualcosa di suo in Alcina e in generale in questa vicenda? Ci parla di Spaltero e di Vinciguerra?

R. C’è sempre qualcosa di noi nei personaggi che costruiamo. Ma chi scrive è un po’ come un attore, deve soprattutto immedesimarsi. In questo la penso come Flaubert, siano noi scrittori che dobbiamo immedesimarci al punto da somigliare, almeno per la durata della scrittura, ai nostri personaggi, non sono loro che devono somigliare a noi. Per una come me, poi, decisamente più biografica che autobiografica, è quasi la norma. Forse Alcina è la donna che vorrei essere. Ma scrivendo sono stata anche Spaltero. Mi piace molto immedesimarmi nei personaggi maschili. In passato ho anche scritto più volte con la voce di un uomo. Andare a vedere il mondo anche dall’altra prospettiva è molto interessante. A essere sincera sono riuscita ad essere anche Vinciguerra, che è un cane, anzi, come dice Alcina: “un diavolo d’una bestia”. In fondo Spaltero e Vinciguerra si somigliano un po’, entrambi hanno votato la loro vita all’amore per Alcina.

D. La dimensione del viaggio, dello spostamento, dell’emigrazione (qui, in Argentina, dall’Umbria) è un tema che le è particolarmente caro? È presente in altri suoi libri? In altre parole, ha bisogno di ambientare i suoi romanzi in paesi diversi dall’Italia?

R. Mi piace molto viaggiare, ma mi piace farlo cercando di non essere mai una turista. Ogni volta che parto, il mio scopo è quello di diventare il più simile possibile alle persone del luogo, assorbire la loro identità, il loro punto di vista. Solo così posso poi tornare indietro riportando impressioni autentiche. E non mi piace nemmeno vivere sempre nello stesso posto. La vita è movimento, mutazione. Pur amando molto il mio Paese, io non vivo sempre in Italia. Credo che oltrepassare i confini ci sia di aiuto. Però non so se riuscirei ad ambientare un intero romanzo in un Paese di cui non parlo la lingua.

D. I tempi della narrazione: c’è un prima in Italia e poi una vita “altra” in Argentina e infine un ritorno a casa, una sorta di anabasi. Qual è il significato di tutto questo? Della mobilità? Del ritorno? Pensa che esistano radici legate alla nascita che si è destinati a strappare? Magari drammaticamente…

R. È tutta colpa dell’epica, che poi è un po’ la mia religione. Per me le cose o sono epiche o non sono affatto. Del resto, è proprio di letteratura epica che mi sono sempre nutrita, è quella che mi canta dentro. E allora l’eroe, per esserlo fino in fondo, deve partire, allontanarsi dalla sua terra, vivere molte avventure e molte traversie, crescere, conquistare. Ma per concludere l’opera, alla fine, deve tornare. Quando se ne dimentica rischia di perdersi e di diventare matto.

D. Come scrive? Ha un metodo? Una sistematicità? E quale è stata sinora la sua vicenda editoriale? Movimentata? Mobile, come la vita di Alcina? Lei è nata scrittrice o giornalista?

R. Nessun metodo, ogni volta è un’improvvisazione. Mi è addirittura capitato di scrivere cominciando dal finale, avendo in mente soprattutto quello. Ci sono romanzi che scrivo in pochi mesi e altri che ho scritto mettendoci degli anni. Ma i libri che mi chiedono più tempo mi danno anche delle pause, e durante queste pause è capace che di romanzo ne scrivo addirittura un altro per poi tornare a quello di prima con maggior vigore. Scrivo molto, ma non ho un orario, o meglio, non posso averne uno perché ho sempre molte cose da fare. Però, mentre sto scrivendo un romanzo la mente sta sempre lì, e quando finalmente ho tempo per farlo il materiale accumulato arriva facilmente, come se durante le ore di attesa si fosse già sistemato da solo. È che io lavoro anche quando non me ne accorgo, posso fare altre cose, ma il cervello, almeno una parte, rimescola sempre in quel grande calderone. Sì, ho fatto parecchie esperienze editoriali, ho cominciato con Rizzoli ma poi ho pubblicato anche con Piemme, Marsilio, Fazi, Mondadori e con la mia Cavallo di Ferro. Sono sempre stata piuttosto fosforica in vita mia, a volte anche troppo. Ma va benissimo così, mai rinnegare nulla. Quando si comincia a rinnegare si corrono seri rischi. Quanto a come sono nata, sono certamente nata scrittrice. È stato dopo che i giornali mi hanno chiesto qualche collaborazione. E per lo più scrivo di libri, ma solo di quelli che mi piacciono.

D. Se la sentirebbe di dare consigli a un giovane scrittore? Crede nelle scuole di scrittura?

R. A un giovane scrittore consiglierei di fare quello che ho fatto io: farsi leggere da uno scrittore affermato e che gli piace. Io lo feci con Giorgio Manganelli. Non lo conoscevo se non attraverso i suoi libri che amavo moltissimo e un giorno cercai il suo numero sulla guida telefonica. Mi rispose e nonostante la sua natura burbera mi disse di lasciargli il manoscritto in portineria. Lo consegnai quel giorno stesso e dopo tre settimane mi telefonò per dirmi che gli era piaciuto molto e lo avrebbe proposto alla Rizzoli. Fu di parola e nel 1990 pubblicai il mio primo libro che uscì il 3 febbraio. Ho compiuto da poco 21 anni di carriera. Ad essere sincera nelle scuole di scrittura non credo molto. Si è scrittori per urgenza, non per volontà. Non ho nemmeno mai tenuto dei corsi di scrittura, me lo impedisce la coerenza. Non saprei davvero cosa dire se non che ognuno ha il suo percorso e che vale solo per lui, per chiunque altro potrebbe essere un disastro.

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