Nel saggio “Vampiri: una nuova storia” Nick Groom racconta la storia del vampiro, una storia che inizia molto tempo prima del capolavoro di Bram Stoker, e che affonda le sue radici in una paura primordiale dell’essere umano: il ritorno dei morti. Un viaggio alla scoperta di una delle figure più affascinanti e misteriose del nostro immaginario, tra storia, libri e film… – L’approfondimento

“Il vampiro non è un essere mostruoso unico o singolare, ma una condizione che prolifera. Circolando, sgorgando e fluendo, il vampirismo passa e si diffonde.”

Questa è la storia che racconta Nick Groom, professore di Letteratura inglese all’Università di Exeter. Una storia che inizia molto tempo prima del capolavoro di Bram Stoker, e che affonda le sue radici in una paura primordiale dell’essere umano: il ritorno dei morti.

In Vampiri: una nuova storia (titolo originale, The Vampire: A New History, pubblicato in Italia da Il Saggiatore, traduzione di Denis Pitter), Groom sottolinea come parlare di “the vampire”, un unico vampiro, non sia corretto: “ogni epoca abbraccia il vampiro di cui ha bisogno”, scrive, citando Nina Auerbach. Non un mostro sovrannaturale, ma un archetipo capace di modificarsi nel corso del tempo, rivelandosi in ultima analisi “un potente strumento per dare senso alla tragedia umana”.

vampiri

I vampiri sono ovunque. Sono causa delle più devastanti epidemie, sono la paura delle vittime del colonialismo britannico, sono motore del dibattito teologico e al contempo della ricerca empirica e medica; ancora, sono metafora del capitalismo e ispirazione di opere letterarie e cinematografiche.

Il vampiro che Groom prende in esame, però, non è un essere sovrannaturale appartenente al generico pantheon dei “non-morti”, insieme a fantasmi, demoni e revenant. Al contrario, è figlio dell’Illuminismo: una creatura del mondo moderno, generata dall’incontro tra il folklore dell’Europa orientale e la scienza medica. Non un “succhiasangue sovrannaturale”, ma un fenomeno apparentemente naturale e fisico, fatto di carne e di sangue, vettore per malattie contagiose.

Le prime ondate di vampirismo, racconta Groom, si rintracciano in Serbia: la prima, nel 1725, con il caso del contadino Peter Plogojwitz. La seconda due anni dopo, con Arnod Paole, un ex soldato serbo. Entrambi, dopo la morte, sarebbero risorti e avrebbero ucciso delle persone succhiando loro il sangue; entrambi, quindi, furono tacciati di vampirismo.

La reazione della gente del posto non tardò a farsi attendere: più le vittime aumentavano, più le tombe venivano scavate, i cadaveri decapitati e poi cremati. Anche i medici attribuivano l’epidemia ai “vambyres”.

Una piaga magica sta dilagando in Serbia da un po’ di tempo. Quelli che sono semplici morti e sepolti stanno uscendo indisturbati dalle loro tombe per uccidere i vivi”: questa la notizia riportata da una rivista viennese.

Da quel momento in poi, i casi di morbi epidemici iniziano a essere ricondotti ai vampiri, capro espiatorio perfetto per malattie debilitanti, improvvise e mortali. Le tombe venivano profanate e i cadaveri trafitti con dei paletti. Un vero e proprio delirio di massa, frenato soltanto dal decreto dell’imperatrice Maria Teresa, l’ultima degli Asburgo, che decretò che i vampiri fossero frutto dell’immaginazione.

Ma, per quanto i vampiri non esistessero, erano allo stesso tempo profondamente reali: erano la personificazione della paura del futuro, dell’ignoto, di ciò che è “altro” da noi. Per loro stessa natura, “sconvolgevano le limitazioni”, superando la distinzione fondamentale tra vita e morte e offrendo una terza via dell’essere.

Comprensibile, quindi, come il vampiro abbia catalizzato l’interesse della Chiesa Cattolica, diventando prova dell’esistenza dell’aldilà e conferma di una sorta di vita ultraterrena. Sul versante opposto, i filosofi illuministi bollarono il vampirismo come “un’illusione delle masse”. Voltaire utilizza la sua disquisizione sui vampiri per farsi beffe della Chiesa Romana: per lui, la superstizione era una follia paragonabile al fanatismo religioso, e i vampiri “assomigliavano agli antichi martiri; più li si bruciava, e più se ne trovavano”.

È chiaro come la figura del vampiro incarni e stimoli i molti campi della ricerca umana. “I vampiri”, scrive Groom, “sono ottimi compagni di riflessione”. Rappresentano al contempo una realtà medica, sociologica e politica e, proprio per questo, non possono essere relegati nei confini del mito.

Quando arrivano in Gran Bretagna, diventano anche una realtà letteraria.

John Keats, Polidori, Mary Shelley… nei loro scritti il culto vampirico è, se non esplicito, sicuramente riconoscibile: ne La sposa di Corinto di Johann Wolfgang Goethe, la donna prosciuga la vita del suo amante succhiando letteralmente il sangue dal cuore di lui; ne Il Vampiro Polidori dà forma al personaggio di Ruthven, un vampiro dai tratti non propriamente erotici, ma in ogni caso attratto da donne giovani e belle. A ben vedere, anche Frankenstein, il romanzo capolavoro di Mary Shelley, va di pari passo con il pensiero vampiresco: Viktor, infatti, si riferisce all’essere da lui creato come “il mio vampiro, il mio spettro uscito dalla tomba e destinato a distruggere tutto ciò che mi era caro”.

Nonostante i quasi due secoli di esistenza alle spalle, Groom stesso riconosce che “se il vampiro è potuto diventare universale, ciò è dovuto all’epocale romanzo Dracula di Bram Stoker”: il vampiro stokeriano ha dettato uno stile iconico, da cui tutta la vampirologia successiva non è più riuscita a svincolarsi. Il Conte possiede una forza sovrumana, poteri telepatici extrasensoriali, e ha la capacità di trasformarsi in lupo o pipistrello; ma, al contempo, deve essere invitato per varcare una soglia, può essere controllato con crocifissi e aglio, ed essere ucciso con due pugnali. Tutti tratti ormai più che familiari al grande pubblico.

I primi anni del XXI secolo sono stati letteralmente ossessionati dal vampiro: Twilight (2005-2008), saga young-adult che Groom definisce “ingiustamente liquidata come insipido romance adolescenziale”, è riuscito a conquistare una generazione, così come la serie tv Buffy l’ammazzavampiri (1997-2003). E ancora: da The Vampire Diaries (2009-2017) a Penny Dreadful (2014-2016), fino a True Blood (2008-2014) e Being Human (2008-2013). Tutti vampiri, sì, ma tutti diversi: sexy e dannati, storici e letterari, mostruosi ma con un’anima.

Si potrebbe pensare che il loro ritorno sia dovuto al successo planetario di questi prodotti cinematografici e letterari; ma in realtà, “i vampiri non se ne sono mai andati”. Erano e sono ovunque, onnipresenti e iperadattabili: rappresentano, di fatto, “un serbatoio cosmico da riempire e ririempire di infinite letture e riletture.”

Sono sempre lì a ricordarci che, in un mondo circoscritto dagli algoritmi di mercato e dai social media, vale ancora la pena interrogarsi sugli aspetti più misteriosi della vita. Ragionare con loro ci aiuta a tenere la mente aperta davanti a una realtà inconoscibile nella sua complessità. Una volta invitati a entrare, “danno colore a ogni cosa”.

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