Antonio Menna, all’esordio nel giallo, ci porta alla scoperta della Napoli più profonda: da Vico Lungo Gelso, dove i bassi della prostituzione diventano osterie, alla “sedia della fertilità”, ecco 6 tappe imperdibili…

Un orso morto nel bel mezzo di un vicolo di Napoli è una notizia. Se poi l’orso è stato ucciso con tre colpi di pistola, è anche un’occasione: almeno per Tony Perduto, cronista freelance, a cui lo scoop può fruttare la rara fortuna di un pezzo in prima pagina. E anche qualche articolo di costume: dalle interviste ai suoi pittoreschi vicini dei bassi fino al consulto con Giacchino Totip, esperto di numeri del Lotto. A Tony però non basta il colore locale, vuole capire. Mentre la polizia archivia il caso come un avvertimento di camorra, lui non si dà per vinto. Assieme a Marinella, amica dall’abbagliante sorriso, si lancia in un’indagine che lo porterà da uno zoo deserto (ma non abbastanza) a un circo malfamato, e da lì fino ai cunicoli che percorrono il ventre oscuro della città, e che racchiudono molti segreti. E’ la trama del romanzo d’esordio di Antonio Menna, il giallo Il mistero dell’orso marsicano ucciso come un boss ai Quartieri Spagnoli (Guanda).

Guanda

 

Per l’occasione su IlLibraio.it un viaggio d’autore nel cuore di Napoli…

Quartieri Spagnoli di Napoli con Tony Perduto: 6 posti da vedere per amarli e odiarli insieme a lui

di Antonio Menna

Tony Perduto, il giornalista precario (protagonista del mio romanzo) che si infila controvoglia ma con inarrestabile curiosità in indagini impossibili nei vichi di Napoli, li attraversa all’alba, quando si placano, e scopre gli spazi che di giorno spariscono: le strade aperte, le luci improvvise, i palazzi cadenti, i labirinti sotterranei che come i mille rivoli nascosti della vita interiore, intrecciano una Napoli insospettabile, non quella del sole ma quella delle ombre.

Sono i Quartieri Spagnoli: ragnatela di strade nel centro di Napoli, reticolo senza ossigeno, dove il caos connette i punti di una geometria invisibile ma perfetta. Centinaia di bassi, i classici seminterrati napoletani sulla strada dove vivono famiglie numerose, spesso straniere, si intervallano a palazzi nobiliari e chiese monumentali. Una mappa di storia e di storie. Non è il paradiso, non è l’inferno. A qualcuno fanno paura, ad altri poesia. Forse è la paura della poesia, o la maledetta poesia della paura. Ma i Quartieri Spagnoli sono i mille colori di Napoli, uno nell’altro, e tutti lì. In nessun posto come in questo puoi capire la città. Anzi, no. Continuare a non capirla. Ma imparare a sentirne il passo, che è un po’ capirla, un po’ no. Un po’ amarla, un po’ odiarla. Come fa Tony Perduto.

Proviamo a passeggiare con lui nei vicoli, fermandoci in sei punti dei Quartieri che non puoi non vedere se vuoi dire di averli visti.

 

 

  1. Vico Lungo Gelso: i bassi della prostituzione diventano osterie. Mangiare, mangiare, mangiare nei vicoli.

Taglia come una ferita i Quartieri, corre parallelo a via Toledo, si imbocca da vico D’Afflitto, quello prima dello spiazzo della Funicolare, oppure, dall’alto, da piazza Carità, che è la porta di ingresso nei Quartieri. A vico Lungo Gelso, soprattutto sul versante basso, prossimo a Santa Brigida, si radunava la prostituzione dei femminielli, i trans napoletani che accoglievano i clienti nei bassi. Oggi la zona ha un altro volto. Qui si mangia, soprattutto. È il vicolo delle osterie.

Angelo e Tina Scognamiglio hanno un vecchio negozio di frutta e verdura al numero 92. Lo si riconosce dalla batteria di bandiere, fiori, colori che orna l’ingresso. Si vendono prodotti tipici locali: cipolle, rape biologiche, mele annurche certificate, pomodori del piennolo del Vesuvio. Ma di pomeriggio, il fruttivendolo si trasforma in un centro sociale gastronomico: i due insegnano la cucina napoletana a decine di immigrati. Un laboratorio dove, in verità, le ricette si scambiano. Il ragù si mescola ai piatti cinesi, cingalesi, marocchini.

Si mangia, in realtà, per tutto il vicolo. Al numero 80 c’è Valù, il risotto di Napoli. Al 110, ‘A pignata, osteria tipica con prodotti della tradizione. Qualche vicolo più su c’è Nennella, che nei Quartieri conoscono tutti: basta chiedere. Sta lì da sesant’anni. Il cioccolato e le torte, invece, si chiamano Ranaldi, al numero 90. La pastiera si prende da Fiore, che sta al vicolo di sopra, sulla Speranzella.

  1. La sedia della fertilità: dalla santa per avere un figlio. Il minuscolo Santuario di Vico Tre Re a Toledo.

C’è una santa ai Quartieri Spagnoli. La sua chiesa si trova in un vicolo: il Tre Re a Toledo. Si chiamava Anna Maria Rosa Gallo, ma è amata e nota nella Chiesa cattolica come santa Maria Francesca delle cinque piaghe. È la patrona non ufficiale dei Quartieri Spagnoli.

Nacque qui da un piccolo commerciante di merci. Qui è cresciuta e a sedici anni volle farsi suora. Divenne terziaria francescana e, prendendo i voti, scelse di chiamarsi suor Maria Francesca delle cinque piaghe, e andò a vivere in una casa nei vichi dove rimase fino alla morte, elargendo profezie e miracoli. Oggi quel minuscolo appartamento con le sue reliquie è un santuario. La donna venne beatificata nel 1843 e santificata nel 1867. È venerata dalla popolazione dei Quartieri Spagnoli per la protezione che avrebbe dato alla zona durante la Seconda guerra mondiale. La stanzetta della santa e la piccola chiesetta attigua sono meta di pellegrinaggi continui. In particolare ci vanno le giovani donne che non riescono ad avere figli. Nell’abitazione c’è una sedia: Maria Francesca vi trovava riposo e sollievo. È ritenuta miracolosa. La chiamano “sedia della fertilità”: chi vi si siede incontra le mani della santa e la grazia della maternità.

Nei corridoi ci sono centinaia di ex voto in argento. Uno per ogni neonato venuto alla luce grazie a Maria Francesca; si deve a lei – dicono – se i vicoli si ripopolano.

 

 

  1. Mercatino di Sant’Anna: il commercio si fa per strada

Si trova a vico Tiratoio e bisogna visitarlo per capire perchè i Quartieri Spagnoli sono una piccola Repubblica autonoma, con un proprio codice. In uno dei pochi slarghi che si aprono tra i palazzi c’era un’area libera di proprietà della Comunità Valdese. Questa, negli anni Settanta, decise di donarla al Comune a patto che vi sorgessero un mercato coperto e un centro sociale, con all’interno un locale per la comunità stessa. Strutture di servizio ai Quartieri.

Nel 1980 fu progettato il Mercatino rionale coperto di Sant’Anna di Palazzo. Lo fece Salvatore Bisogni, un architetto dalle idee innovative. Ffurono previsti diciotto box commerciali coperti: dieci al piano superiore per l’ortofrutta, otto al piano inferiore più grandi. Poi un colonnato che disegnava una sorta di agorà greca, e accanto un alto palazzetto bianco dove ospitare attività associative e aggregative. I lavori cominciarono anni dopo e il mercatino fu pronto addirittura solo nel 2001. I box furono assegnati: finalmente si profilava la possibilità per i tanti ambulanti dei vicoli, che occupavano abusivamente la sede stradale con bancarelle ed espositori di fortuna in un caos frenetico, di trovare una sistemazione e una pacificazione.

Ma quel mercato non è mai andato a regime. Neppure uffici e locali associativi sono stati mai assegnati. Tutto chiuso. La Comunità Valdese è andata via. L’agorà è deserta da sempre. Ci girano cani randagi, qualche volta ci dormono tossicodipendenti e barboni. Il palazzo accanto s’è preso il terrazzo, gli ambulanti ci hanno fatto depositi abusivi, nei sotterranei ci smontano i motorini rubati. E il commercio continua a farsi per strada, con bancarelle e cassette. Inutile chiedersi perché. I Quartieri hanno rifiutato l’opera. E questa marcisce sotto le lame di sole che si infilano tra i palazzi.

 

 

  1. Chiesa di Sant’Anna di Palazzo in Rosario di Palazzo: qui fu battezzato Luca Giordano

A pochi passi dal mercatino fantasma, c’è una delle chiese monumentali dei Quartieri Spagnoli. È intitolata alla Madonna del Rosario, per ricordare la sua intercessione nella vittoria della battaglia di Lepanto, per cui il suo nome corretto è chiesa Rosario di Palazzo. Ma tutti nei Quartieri la indicano come chiesa di Sant’Anna di Palazzo. Per trovare un compromesso e dirimere la questione viene chiamata chiesa di Sant’Anna di Palazzo in Rosario di Palazzo, così nessuno si piglia collera. In realtà le chiese nascono separate. Si spalleggiavano. Una era Rosario di Palazzo. Una era Sant’Anna di Palazzo. Erano muro a muro. Letteralmente. Furono unificate nel 1819 perché Sant’Anna rischiava il crollo. Poi fu messa a posto. Poi fu parzialmente demolita. Poi fu lasciata in parte in piedi. Fatto sta che oggi Rosario e Anna sono una cosa sola e lì c’è un’enorme chiesa con due porte su due piazze: lato a e lato b. E un nome composto.

All’interno, l’altare maggiore di Domenico Antonio Vaccaro, del 1729. È in marmo broccatello, che proviene da Tortosa, in Spagna. Alle sue spalle, un maestoso organo a canne. La cupola domina i vicoli mentre la chiesa trabocca di opere d’arte e di suggestioni storiche. Qui fu battezzato il pittore Luca Giordano. Qui si sposò Eleonora Pimentel Fonseca, eroica della Repubblica partenopea del ’99. E qui fu sepolto suo figlio Francesco, morto appena nato. Come la Repubblica di Napoli.

  1. Sotto Napoli da vico Sant’Anna di Palazzo

A duecento metri dalla chiesa dal doppio nome e dalla doppia faccia c’è uno degli accessi ai labirinti della Napoli di sotto. Si trova in vico Sant’Anna di Palazzo (ancora!). Per sprofondare nel sottosuolo della città bisogna entrare in un basso, un’abitazione qualunque, una stanza, una scala improvvisa che si attorciglia verso il ventre. Era, in origine, il vano di ingresso di un pozzo. Poi è diventato un rifugio contro le bombe della Seconda guerra mondiale. Ci sono duecento gradini da scendere. Alla base c’è una piccola cappella: pare che chi scendeva per ripararsi dalla bombe si raccogliesse in preghiera. Sono quaranta i metri sotto il piano stradale. Ma si scende ancora. Un labirinto nel tufo: qui si estraevano le pietre per costruire, poi, i palazzi di sopra. E nelle cave si facevano cisterne. Pare che percorrendo tutti i cunicoli si possa costruire una mappa intera della città: buco dopo buco, si arriva al mare. Molti palazzi vecchi dei Quartieri hanno scale che scendono agli inferi. Cento, duecento gradini: nelle cisterne e poi chissà dove. Non tutti hanno il coraggio di calarsi nel buio. Chi lo ha fatto, è salito con gli occhi della meraviglia.

Là sotto c’è un’altra Napoli.

 

 

  1. Da largo Barracche a tutti i Quartieri: i graffiti di Cyop e Kaf

Arrivati a questo punto, a chi si sarà avventurato nell’itinerario proposto, bisogna spiegare cosa sono quei disegni strani fatti sui muri, sulle saracinesche dei negozi, sui portoni delle case; quei volti sbilenchi, quei cappelli colorati, quei corpi allungati dipinti nei vicoli.

Sono 223 murales che due artisti quartierani (si fanno chiamare Cyop e Kaf), partendo da un vecchio studio-rifugio a largo Barracche, hanno seminato ovunque. Hanno dipinto per le strade dei Quartieri Spagnoli. L’hanno fatto cominciando dagli edifici distrutti e mai restaurati. Quelli abbandonati. Poi sono stati avvicinati dagli abitanti che hanno chiesto di dipingere anche le porte dei bassi, le serrande dei garage, i portoni, i muri dei palazzi. Ne è nato un colossale cammino di uomini sui muri, tra le spine, tra le fiamme, in catene, con le ali. Un tratto riconoscibile e duro, senza alcuna consolazione. Senza bene, senza male. Colore e ossessione. Hanno cominciato nel 2009. Sul loro sito c’è una mappa (www.cyopekaf.org). I loro disegni sono di tutti. Ogni tanto fanno festa assieme alla gente. Suonano e ballano a Rosario di Palazzo: birre e musica. Si radunano a centinaia. Hanno come sigla Qs. Loro dicono “Quore Spinato”, ma è Quartieri Spagnoli.

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