Yaa Gyasi, in libreria con “Non dimenticare chi sei” (libro molto apprezzato dalla critica e dal pubblico negli Usa), si racconta a ilLibraio.it a partire dagli autori preferiti (da Toni Morrison a Gabriel Garcia Marquez). Parla anche di razzismo, che negli Stati Uniti “chiunque abbia la pelle nera sperimenta nella vita” e dell’inclusività della letteratura, sottolineando come l’editoria americana sia ancora “molto bianca”… – L’intervista

Yaa Gyasi con Non dimenticare chi sei (in arrivo in libreria per Garzanti) ripercorre l’epopea di due rami della stessa famiglia africana, uno rimasto nella madrepatria, l’altro costretto a raggiungere in schiavitù l’America. Sette generazioni che dal Settecento a oggi raccontano l’Africa e gli Stati Uniti compongono una storia corale che ha ricevuto grandi apprezzamenti da parte della critica e del pubblico Usa.

Tutto ha inizio con due sorellastre che ignorano l’una l’esistenza dell’altra. Entrambe possiedono una pietra nera lasciata loro dalla madre, ma i loro destini non potrebbero essere più diversi: una sposa un inglese e trascorre la sua vita nella fortezza da cui vengono fatti passare gli schiavi diretti alle Americhe. L’altra, imprigionata durante le guerre tribali, viene venduta proprio come schiava. E così, capitolo dopo capitolo il romanzo racconta le storie dei due rami della famiglia.

L’autrice, nata in Ghana ventisette anni fa e cresciuta negli Usa dove tutt’ora vive, ha ricevuto per la sua opera i complimenti di autori come Ta-Nehisi Coates, Zadie Smith e Roxane Gay.

Yaa Gyasi ha raccontato a ilLibraio.it il suo rapporto con il passato, il razzismo che non risparmia nessuno negli Usa e gli autori che le stanno a cuore.

Secondo lei quanto è importante raccontare storie legate al passato e ai propri antenati?
“Il romanzo è un’opera di fantasia, quindi non racconto le vere storie dei miei antenati. In generale credo che guardarsi indietro per scoprire la storia e gli eventi del passato sia fondamentale, perché permette di capire il presente”.

E l’idea di appartenere a un luogo e a una famiglia, invece, quanto definisce la nostra identità?
“Chiunque aspira ad appartenere a qualcuno o a qualcosa, è insito nella natura umana. Il luogo di appartenenza è spesso qualcosa di cui le persone si vantano e sono orgogliose, ma talvolta è fugace, arbitrario. Dipende solo dal caso se nasciamo in un posto piuttosto che in un altro, anche se poi il luogo ci definisce. Se per una persona è importante definire la propria identità in base alla storia famigliare e al luogo d’appartenenza, credo sia giusto che lo faccia, anche se questi non devono essere gli unici fattori”.

Negli ultimi anni la letteratura sta diventando più inclusiva, dando spazio alle minoranze?
“Sembra sia così, ma le apparenze ingannano. L’editoria negli Usa è ancora molto bianca, anche se negli ultimi anni sono stati pubblicati molti libri di autori neri. Se le cose non cambiano dietro alla telecamera, come sta succedendo davanti, allora il cambiamento è davvero significativo?”

Ha mai sperimentato il razzismo in prima persona?
“Non c’è una sola persona nera in America che non lo abbia provato sulla sua pelle”.

Quali solo i libri che più ha amato?
Il canto di Salomone di Toni Morrison, Lost in The City di Edward P Jones e Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez”.

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