In tanti sognano di lavorare in una casa editrice, e tra le figure più “mitizzate” c’è quella dell’editor. Ma come racconta su ilLibraio.it Giuseppe Strazzeri, direttore editoriale della Longanesi, oggi questo mestiere richiede nuove competenze. Nell’evoluzione del ruolo, il web ha giocato un ruolo importante: “Si presuppone che l’editor sia un esploratore onnivoro, in grado cioè di comprendere, gestire, se occorre anche smascherare o manomettere tutti i codici cui un potenziale autore ha deciso di ricorrere nel momento in cui si apprestava a scrivere…”

Editor sum, humani nihil a me alienum puto.
“Sono un editor, nulla di ciò che è umano mi è estraneo”
(Pseudo-Terenzio)

Mi capita a volte di sentirmi rivolgere la domanda: cosa occorre per fare il suo lavoro? Qual è il percorso migliore? Quali gli studi più indicati? E mi accorgo che le risposte che avrei dato solo una decina di anni fa sono diverse da quelle che darei oggi. Mi scuso preliminarmente per il furto grossolano da Terenzio in esergo, ma il punto è che se dobbiamo sempiterna gratitudine a Nicola Gardini e Andrea Marcolongo per avere ribadito in questi tempi distratti la necessità di comprendere la bellezza e la profondità dell’antico, mi sembra giusto fare presente a chiunque coltivi sogni di lavorare in editoria, e in particolare in quel crogiuolo di idee balzane e false piste che è il lavoro dell’editor, che oggigiorno occorre più che mai sapere anche navigare con coraggio nell’orizzontale vastità del contemporaneo, tanto più quanto ci inquieta o ci ispira avversione.

A volte, sentendo tessere le lodi del buon tempo antico in cui i libri erano veri libri e i lettori veri lettori, mi viene da interrogarmi non tanto o non solo sull’idea di democrazia culturale che queste geremiadi sottendono, ma anche sul fatto che, in fondo, tenere lo sguardo rivolto a un tempo che non è il nostro e che proprio per questo ci illudiamo di capire, ci difende dal compito ben più gravoso di sbrogliare la matassa del presente nella quale siamo aggrovigliati. Compito a cui è chiamato in prima linea un editor, il cui lavoro è quello di setacciare costantemente le fonti della creatività contemporanea alla ricerca di nuovi testi da pubblicare. E qui ci si scontra col fatto che da un decennio circa a questa parte, il che tocca tanto la fruizione quanto la produzione di contenuti, quella a cui si sta assistendo è una vera e propria proliferazione di fonti creative, in cui a volte il medium può essere il messaggio (You Tube), o in cui il messaggio comunque risente, stilisticamente e contenutisticamente, delle modalità di fruizione (blogging, web series, Wattpad, comics…).

Da una parte, qualunque editore lo sa, la sfida contemporanea che si gioca sui lettori è per chi riuscirà a conservare a sé l’attenzione di individui che non sono più solo lettori ma lettorispettatoriascoltatori perennemente connessi e sollecitati. Dall’altro chi scrive, e mi riferisco qui in particolare a chi aspira alla dimensione romanzesca della scrittura, ha di fronte a sé modelli, strutture, spunti nell’inventare una storia che sarebbero stati impensabili solo pochi anni fa. E il panorama si è complicato in raltà quanto più si è allontanato dallo specifico di quella che un tempo si sarebbe chiamata la “letterarietà” di un testo (di cui, sia detto per inciso, a oggi non mi pare esista una chiara definizione, tanto che dal punto di vista strettamente editoriale è categoria da sempre scarsamente utile).

Oggi nelle case editrici arrivano, molto più di un tempo, scritti nati proprio presupponendo questa multiforme piattaforma espressiva che è il web e che si presentano da subito come testi che traggono ispirazione da svariate esperienze estetiche che se letterarie non sono, di certo però sono narrative. E ciò presuppone inevitabilmente da parte dell’editor forme di competenza sempre più aggiornate. Fino a non molto tempo fa il buon editor era un professionista dotato di ampio bagaglio personale di letture e di conoscenza verticale dello specifico settore editoriale che ricopriva all’interno della casa editrice; oggi si presuppone che l’editor sia un esploratore onnivoro, in grado cioè di comprendere, gestire, se occorre anche smascherare o manomettere tutti i codici cui un potenziale autore ha deciso di ricorrere nel momento in cui si apprestava a scrivere. Specularmente a questa dimensione si profila poi per l’editor contemporaneo un rinnovato compito di cura specifica del testo: sempre più aspiranti autori infatti, proprio in virtù di quella eclettica enciclopedia di riferimento di cui si parlava e che spazia dalla narrativa al cinema al web alle serie tivù al fumetto, se dimostrano una certa scaltrezza dal punto di vista del “soggetto” iniziale, dei meccanismi narrativi e della gestione strutturale di una storia, spesso risultano più sguarniti dal punto di vista di lingua e stile, il che forse si spiega con il ricorso a una sorta di “koinè” linguistica contemporanea, più veloce che stilistica, più immediata che maturata, e che va quindi spesso riaffrontata mediante un paziente lavoro di “ristilizzazione” che aiuti l’autore a trovare la voce che ancora non sa di avere. Il che se ci pensa, rispetto a decenni non così lontani in cui la narrativa italiana pareva ruotare eminentemente su questioni di lingua e stile, con scarso interesse per il lavoro sui meccanismi di fabula e intreccio, indica ancora una volta con chiarezza che il lavoro dell’editor cambia e con esso le competenze richiestegli. Dimostrando, se mai ce ne fosse bisogno, che quello dell’editor è più che mai un lavoro necessario.

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