“La donna che pensava di essere triste”, il racconto-labirinto di Marita Bartolazzi tra sogno e realtà, è ambientato in una città senza tempo e senza nome…

“A una fermata dell’autobus vide un’altra se stessa ferma, con un cappotto rosso e un cappello, così accostò e le chiese se volesse salire. – Grazie, sì – disse la sé stessa con il cappotto rosso”.

La donna che pensava di essere triste (Exòrma), protagonista del libro di Marita Bartolazzi, è una come tante altre: cerca chi possa cucirle la coperta della tristezza di cui ha bisogno. In una città senza tempo e senza nome, la donna è circondata da personaggi, non si sa se reali o immaginari, che le danno più consigli che soluzioni: animali parlanti, sarti collezionisti, addirittura conversa con un monumento di bronzo annoiato. E parti della protagonista si sono staccate e continuano a vivere da sole, per conto loro, e le notti sono piene di sogni, visioni e incontri.

La donna che pensava di essere triste marita bartolazzi copertina

Bartolazzi, romana, collabora con la casa editrice Logart Press e con la rivista Tutto italiano. Ha pubblicato I mercati di Roma (Palombi editore) e, ne La donna che pensava di essere triste, racconta una storia che si snoda nella realtà e allo stesso tempo in una sua lieve, leggera, quasi impercettibile sfasatura.

Un libro che è una porta d’accesso a un mondo diversamente credibile, in una lingua all’apparenza pacata e distratta, che indaga i retroscena della vita di una donna volutamente qualsiasi, e ci ricorda che, dove crediamo di percepire qualcosa, spesso stiamo solo ricordando.

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