“Di tutti gli artisti fondamentali nella mia formazione, di tutti i personaggi letterari e cinematografici più amati, di tutte le persone in carne e ossa a me particolarmente care io, come tutti, ho amato più di tutto sempre una cosa: gli sbagli…”. Su ilLibraio.it la riflessione di Peppe Fiore, in libreria con il romanzo “Dimenticare”

Di tutti gli artisti fondamentali nella mia formazione, di tutti i personaggi letterari e cinematografici più amati, di tutte le persone in carne e ossa a me particolarmente care io, come tutti, ho amato più di tutto sempre una cosa: gli sbagli.

Di Zeno Cosini mi piace quando si ubriaca e poi straparla nell’ultimo posto al mondo in cui dovrebbe, il matrimonio della cognata, la donna che lui avrebbe voluto sposare e che incidentalmente è pure la figlia del suo datore di lavoro. Di BoJack Horseman le esplosioni di rabbia, le eruzioni di anaffettività, il modo in cui asseconda per egoismo le tendenze autodistruttive di Sarah Lynn (spoiler) portandola alla morte. Di Chip ne Le Correzioni quando taccheggia il salmone al supermercato e lo nasconde sotto al giubbotto. Di mio zio, pecora nera della famiglia e inesauribile fonte d’ispirazione, le fughe dal tetto coniugale nonostante il compleanno del figlio piccolo, i tradimenti, le sbronze gratuite alle cene di famiglia a capodanno.

Certe volte se penso ai personaggi, di finzione e non, che mi sono piaciuti e al perché mi sono piaciuti, ho l’impressione che la vita quotidiana non sia che spiccio tessuto connettivo per tenere insieme gli sbagli sfolgoranti che hanno fatto.

E infatti se vogliamo dirla tutta, vale anche per me stesso. Della mia esistenza quello che ricordo più nitidamente, quello che i miei amici ricordano sempre, sono le cazzate maggiori che ho fatto. Gli eventi significativi della mia vita, quelli che poi racconto all’analista, sono gli errori. Anche il protagonista del mio ultimo romanzo è un uomo che costruisce la propria identità sull’errore anche se, dell’errore, vive solo le conseguenze. Fondamentalmente due: il senso di colpa – grande motore immobile di tanta narrativa borghese occidentale e di tante biografie, inclusa quella del sottoscritto – e il desiderio di espiazione. Il nocciolo, vorrei dire il contenuto, dell’errore in sé è pretestuoso, forse neppure esiste, forse è una cosa che si è messo in testa lui e basta. Quello che conta sono le conseguenze di quell’errore, i modi in cui la colpa – vera o presunta – impatta sulla vita, la curva e la guida verso direzioni inaspettate. Da lì muove tutta la storia.

L’ovvia verità è che tutta l’arte non esisterebbe senza i venerati maestri e le scuole, cioè la norma, ma non esisterebbe nemmeno senza la deviazione dalla norma. Tutta la storia delle forme viaggia nella dialettica tra il canone e l’infrazione del canone. Ecco perché quando l’errore entra nella scienza sentiamo sempre odore di letteratura: Albert Hoffman che studiando la segale cornuta per trattare l’insufficienza cardiaca scopre per sbaglio l’LSD, Fleming che arriva alla penicillina dimenticandosi le proprie secrezioni su un vetrino.

In letteratura c’è un’altra cosa però. La vera differenza sta nella reiterazione. Humbert Humbert, Barney Panofsky, Sick Boy di Trainspotting – sono tutti sbagliatori seriali. Come nella techno o nel minimalismo di Steve Reich – la vera bellezza dell’errore fiorisce nella reiterazione, cioè attraverso la serie, è lì che l’errore svela il suo senso progressivo, e la sua forza creatrice. Non si sbaglia davvero se non ci si ricasca. E’ come pregare col rosario: perché gli errori diventino un manuale di vita, bisogna sgranarne tanti. Abitarli come un mantra. Sennò sei solo un dilettante dello sbaglio, un amatore.

Dunque: un singolo errore è perdonabile – è il capitombolo del clown di cui si può ridere e subito dopo dimenticarsene per passare a altro – l’errore seriale invece mette in gioco altro: l’ossessione, la dipendenza, il senso di colpa. La tara ereditaria, magari. E ci rivela di noi stessi molto di più dei comportamenti virtuosi. Per capire chi sei, bisogna sbagliare da professionista.

Perché ci piacciono gli uomini che sbagliano? Innanzitutto perché ci fanno simpatia: è più facile identificarsi nelle tare altrui, rivedendoci le nostre, possibilmente peggiorate, che nei loro successi. I vincenti non sono simpatici, non sono dialogici, tutto quello che puoi fare è ammirarli o al massimo invidiarli. Poi basta. In fondo per vincere basta omologarsi alle regole e seguirle alla lettera, stare proni sotto la Storia. Nel successo c’è sempre una punta di ottusaggine. E’ il motivo per cui i primi della classe sono quasi sempre persone sole.

Poi però c’è una ragione di ordine, per così dire, poetico. L’errore genera conflitto, il conflitto genera movimento, il movimento genera le storie. Pensate solo all’energia che è servita a rimediare alle cazzate che avete fatto, e al lavoro, eventualmente al genio, necessari per metterci una pezza. Aleskei Ivànovic sa che ci sarebbero altri modi per aiutare Paulina, invece no: lui torna al casinò, e questo è un errore, lo sa benissimo, ma lui non può farci niente, sbagliare per lui è l’unica via per la salvezza. E per fortuna: perché poi su questo Dostoevskij ci fa il resto del romanzo.

Rimediare ai propri errori, cioè almeno provarci, richiede invenzione, tecnica, intelligenza e, in molti casi, cuore. E come tutte le attività che costeggiano il fallimento, denuda l’uomo e lo svela in purezza: una creatura inerme che si arrabatta nell’universo alla meno peggio per salvarsi la vita. Per questo non solo dei propri sbagli non ci si libera mai ma, anche se fosse possibile, non sarebbe giusto. Cioè non sarebbe romanzesco, perché come ha già capito Paolo Conte, il luogo del romanzesco è proprio là.

Spiega alla gente
cosa vuol dire, cosa vuol dire amare
l’ amore,
senza mai fare neanche un errore.

Peppe fiore dimenticare

L’AUTORE E IL LIBRO – Peppe Fiore, napoletano classe ’81, è sceneggiatore e scrittore, autore, tra gli altri, di Nessuno è indispensabile (Einaudi) e, soprattutto, di un romanzo che nel 2009 fece molto parlare, La futura classe dirigente (Minimum fax).

In questi giorni torna in libreria con un nuovo romanzo, Dimenticare (Einaudi), il cui protagonista, Daniele, dopo una vita passata a lavorare al lido di Fiumicino, sceglie di trasferirsi a Trecase, una piccola località sciistica abbandonata nel bosco, dove prende in gestione un vecchio bar fatiscente. Nessuno, nella ristretta comunità locale, sa da che cosa stia fuggendo Daniele, mentre rimette a nuovo il suo locale e, allo stesso tempo, se stesso, anche grazie a una donna, un amore adulto e passionale, che cambia la sua vita, almeno per un momento. Finché il passato non lo torna a cercare…

 

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