“Poteva essere IL grande film. Sarebbe bastato che…”. Lo scrittore e sceneggiatore Alan D. Altieri racconta a IlLibraio.it “il super-budget, mega-blockbuster, extreme SF-epic” diretto da Christopher Nolan

Il conto alla rovescia non è cominciato. Il conto alla rovescia sta per concludersi. La Terra, “T” maiuscola nel senso di Pianeta Terra, Sol III, nell’accezione astronomica propria dal sistema solare, è alla fine dei giorni. Inquinamento, desertificazione, degradazione stanno per rendere Sol III del tutto inabitabile per la specie (in)umana. Una specie ormai ridotta a servi della gleba, letteralmente, da una sorta di forse inevitabile totalitarismo agricolo anti-tecnologico. Doveva accadere, prima o poi, e adesso sta accadendo. Queste nuove (si fa per dire) generazioni, agricoltori per costrizione e turbercolotici per degradazione, sono le ultime generazioni della Terra. In assoluto. L’unica speranza rimasta, non tanto di salvezza (impossibile) quanto di continuità (ipotizzabile)? Là fuori, nel profondo della tenebra cosmica, oltre condotti spazio-temporali a quattro dimensioni (ammesso e non concesso che esistano) e nell’orbita di buchi neri a cinque dimensioni (ammesso e non concesso che cinque bastino). E se non fosse affatto così? Se invece la via d’uscita fosse molto più vicina allo spirito dell’uomo, molto più intrinseca alla memoria dell’uomo, molto più connessa all’amore dell’uomo?

Quasi certamente peccando di eccessivo sintetismo, quanto sopra costituisce il fulcro narrativo di Interstellar, il super-budget, mega-blockbuster, extreme SF-epic co-scritto, co-prodotto e mono-diretto dall’indubbiamente geniale cult-director Christopher Nolan.

Nella sua inarrestabile ascesa, Christopher Nolan ha strutturato quell’autentico capolavoro chiamato Memento, arcana introspezione dell’identità e della memoria, ha rivoltato come un guanto il thriller psicologico con Insomnia, ipnotica e allucinata discesa agl’inferi del rimorso, ha ri-tracciato le mappe dell’apologo metafisico con Inception, spiazzante e sconcertante viaggio fino al livello più profondo dell’onirico. Quanto sopra senza né dimenticare né trascurare la sua iconoscatica escursione nel mondo dei super-eroi, Batman nel maelstrom, rappresentata con eccezionale successo visuale e finanziario dalla “Dark Knight Trilogy”.

Segnando una tappa verosimilmente cruciale in questo suo già epocale body-of-work, con Interstellar Christopher Nolan punta decisamente al bersaglio grosso: il compendio cosmico-filosofico. Interstellar è un opus magnum nutrito dalla prospettiva solipsistica di Stanley Kubrick, ispirato ai risvolti umanistici di Steven Spielberg, realizzato con la auto-fascinazione tecnologica di James Cameron.

Di Interstellar, molto si continua, e si continuerà, a parlare, valutare, analizzare, soppesare, interpretare, esaltare, deprecare etc. A tutti gli effetti, di Interstellar è impossibile, e sarebbe comunque ingiusto, parlare male.

Lo sforzo tematico, visuale, esplicativo, musicale (prodigiosa la score polifonica di Hans Zimmer) e, in ultima analisi, positivistico dell’opera di Nolan rimane comunque formidabile. A maggior ragione lo rimane considerando il livello generalmente ridicolo, largamente grottesco, esplicitamente offensivo della corrente produzione cinematografica a livello globale.

Una ulteriore sintesi tematica di Interstellar potrebbe essere  la ricerca della Super-Forza, intesa questa nel più puro senso einsteniano.

Focale ultima non solamente di Albert Einstein, ma anche di tutte le menti supreme che lo hanno seguito lungo le strade sempre troppo impervie delle esplorazioni nel macro e nel micro-mondo, era raggiungere il “campo unificato”. LA struttura fisico-matematica definitiva secondo la quale le quattro forze primarie della natura – nucleare debole, nucleare forte, elettro-magnetismo, gravitazione – possono essere racchiuse da un unico meta-sistema multi-dimensionale.

La scienza, oggi, ha in effetti una “Teoria del Campo Unificato”, ma non ha una “Equazione del Campo Unificato.” La sta ancora cercando. La recente conferma sperimentale al CERN di Ginevra dell’esistenza del Bosone di Higgs – non tanto God’s Particle, particella di Dio, come viene erroneamente definita, quanto Damn Particle, particella maledetta – è certamente un passo in avanti verso l’Equazione del Campo Unificato. Ma non è il passo conclusivo. Secondo taluni scienziati, l’equazione della Super-Forza, nella sua prodigiosa semplicità, potrebbe “stare su una T-shirt”. Un equivalente di E = mC² allargato a una scala in grado di inglobare il Tutto, del Big Bang al neutrino.

E il Tutto, inteso come universalità, rimane il vettore primario Interstellar. Dalle pianure di mais devastate da tempeste di polvere grandi quanto interi stati, al tunnel inter-dimensionale che sembra estendersi all’infinto, agli tsunami del pianeta ecquoreo che sconfiggono il piu’ alto dei cieli fino alle dilatazioni del tempo e della “vita”, virgolette d’obbligo, causate dalla Relatività Generale appunto einsteniana.

In narrativa però, sia essa scritta o filmica, il Tutto rischia di coniugarsi con il troppo. E se esiste una critica comunque non distruttiva che può essere suggerita per il piece de resistance di Christopher Nolan è proprio quella di stroppiare. Nella sceneggiatura scritta da Jonathan Nolan, fratello del regista e suo scrittore di squadra, c’è talmente tanto materiale da costruire un molteoplicità di film diversi e indipendenti:

– la crisi ambientale-agricola;

– il neo-luddismo di stato;

– lo scontro generazionale in condizioni di sopravvivenza estrema;

– la resurrezione delle esplorazioni spaziali;

– la traversata oltre il baratro del tempo e nel labirinto delle dimensioni;

— l’odissea per salvare la nostra intera specie attraverso la (ipotesi di) colonizzazione di un mondo tipo-Terra;

– il sacrificio ultimo di un padre contro barriere apparentemente insormontabili.

Una lista che potrebbe allargarsi, e anche di molto. Il punto è che ai fratelli Nolan una qualunque delle precedenti prospettive, o anche più di una, sta comunque stretta. L’ambiziosa sceneggiatura di Interstellar non si limita a coprire tutto ma vuole anche essere tutto. Solo che neppure le tre ore da film-fiume d’altri tempi possono… essere tutto.

Come film, Interstellar è comunque costretto a prendere scorciatoie. E assieme alle scorciatoie, a commettere errori, sviste, dimenticanze, incongruenze. In materia, ecco un compendio, peraltro già ampiamente eseguito anche da altre fonti, delle scorciatoie di Interstellar:

– riguardo all’origine del wormhole (Ponte Einstein-Rosen) che connette lo spazio orbitale di Saturno addirittura con un’altra galassia (quale?) viene data una motivazione talmente obliqua da risultare quasi deistica;

– riguardo alla “piegatura” del continuum spazio-tempo che consente disuperare distanze incommensurabili c’è una spiegazione – il foglio di carta ripiegato e quindi perforato da una penna – identica fotogramma per fotogramma a quella mostrata dal piccolo classico SF-horror Event Horizon;

– riguardo a ciò che gli esploratori cosmici trovano all’uscita del wormhole, sia il buco nero super-massiccio chiamato Gargantua che la presenza di una stella di neutroni (la fase del collasso gravitazionale appena antecendente la fase di buco nero) risultano elementi narrativamente discutibili e mai sfruttati fino in fondo;

– riguardo ai pianeti del viaggio della speranza, essi potrebbero in effetti orbitare attorno al buco nero, ma non sarebbero tipo-Terra né vedrebbero la presenza di acqua, ingrediente base per lo sviluppo di forme di vita, in qualsiasi stato fisico;

– riguardo al superamento dell’orizzonte degli eventi del buco nero, e alla successiva discesa all’interno del buco nero stesso, quanto viene mostrato in Interstellar è privo di qualsiasi attendibilità fisica;

– riguardo al concetto di un corpo umano, sia pure protetto da tuta spaziale, che rimane integro tra i titanici campi gravitazionali all’interno di un buco nero, questo è semplicemente impensabile;

– riguardo poi al texeract, il cubo multi-dimensionale che costituisce l’uscita dal buco nero, è una chiara citazione/rivistazione che Christopher Nolan fa della sua stessa opera nella prodigiosa sequenza a gravità zero di Inception;

– riguardo inoltre…

Come la precedente lista tematica, anche questa seconda lista, prettamente tecnica, potrebbe estendersi… lungo un intero wormhole. Ma, scorciatoie visuali a parte, finale del film “a scatole cinesi” a parte, è il nucleo stesso di Interstellar a ingenerare perplessità.

Davvero il Tutto si riduce alla libreria di una decrepita fattoria invasa dalla polvere nel mezzo del nulla rurale di un’America degradata? Davvero la via d’uscita dell’uomo, via d’uscita unica e ultima, diventa realtà tramite un ancestrale codice morse trasmesso alla singola lancetta dei secondi del relitto di orologio da polso?

Le domande stesse contengono la risposta. E la risposta è NO. Non è secondo queste modalità che si esce da Armageddon.

Ed è forse proprio questo l’aspetto più discutibile di Interstellar. Christopher e Jonathan Nolan, impossibile separare scrittore e regista dell’opus, avevano – inevitabilmente, anche arrogantemente, a parete dello scrivente – la via d’uscita perfetta. Eppure, per qualche ragione, non l’hanno perseguita. La via d’uscita perfetta è l’onirico.

All we see and seem
Is nothing but a dream
Within a dream.

Tanto c’insegna l’aforisma dell’immortale Edgar Allan Poe.

Lo stesso, identico aforisma sul quale Christopher e Jonathan Nolan hanno basato il loro eccezionale Inception. E questo medesimo aforisma che poteva essere anche la via d’uscita perfetta per Interstellar. Un sogno. Sarebbero bastate due, forse tre brevi scene conclusive, ambientate in quella pianura devastata, in quella casa desolata, in quella libreria abbandonata, e tutte le scorciatoie narrative, tutti i conti tematici, potevano tornare. L’ultimo sogno dell’uomo. Un sogno amaro, certo, un sogno solitario e disperato. Non un inno falsamente positivista bensì uno struggimento duramente esistenzialista. Ma al tempo stesso totalmente reale. E, alla fine, puramente umano.

Interstellar rimane e rimarrà un grande film.

Forse, superata quella linea di confine, poteva essere IL grande film.

 

 

L’autore – Sergio Altieri, in arte Alan D. Altieri (Milano, 1952) è uno scrittore, traduttore e sceneggiatore italiano. Il suo nuovo romanzo, Magellan, è in uscita per Tea nel 2015

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