Nel suo romanzo d’esordio, “Ho ucciso un cane in Romania”, la scrittrice peruviana Claudia Ulloa Donoso mette in scena un road trip originale e pieno di possibilità di riflessione. A bordo di una Dacia, i due protagonisti, con alle spalle un passato di ricerca identitaria in una terra che li ha ospitati ma non accolti fino in fondo, macinano chilometri in attesa di incontrare il proprio destino. Un destino da rintracciare nella propria lingua madre, nei silenzi e, soprattutto, nel viaggio…

Nel suo romanzo d’esordio, Ho ucciso un cane in Romania, edito da Polidoro nella collana I selvaggi, Claudia Ulloa Donoso, scrittrice peruviana classe 1979, mette in scena un road trip originale e pieno di possibilità di riflessione.

Ho ucciso un cane in Romania di Claudia Ulloa Donoso

La protagonista è una donna latinoamericana che insegna norvegese agli stranieri. In Norvegia stringe amicizia con il rumeno Mihai, conducente di autobus, che frequenta assiduamente i suoi corsi nel tentativo di integrarsi, di sentirsi meno solo in un luogo a tratti molto inospitale e, chissà, forse nella speranza di potere un giorno stringere una relazione sentimentale con lei.

La depressione della donna è clinica, questo la costringe per lunghi periodi a letto, in un immobilismo totale, stordita dai farmaci e spesso anche dall’alcool. Per sollevarla e scuoterla da questa condizione Mihai la invita a percorrere le strade della Romania, suo paese d’origine, in un misterioso e lungo viaggio in cui il ragazzo dovrà portare a termine una missione che riguarda la morte del padre, e un’antica promessa fatta a un amico.

A bordo di una Dacia i due amici, sospesi tra un passato di ricerca identitaria in una terra che li ha ospitati ma non accolti fino in fondo, e questo nuovo presente fatto di odori, cemento, luci al neon e la brutalità di una terra che si destreggia ancora nelle pieghe oscure e crude di una dittatura durata quasi venticinque anni, macinano chilometri in attesa di incontrare il destino di Mihai.

Mihai che ora, nella terra dove è nato, si fa chiamare Ovidiu, quasi a sottolineare l’impossibilità di sfuggire alla sorte. Perché puoi scegliere la tua identità solo e soltanto nel posto dove decidi di abitare, mentre al contrario il posto dove sei nato una identità te la impone.

Nel frattempo la Professoressa lotta con i suoi demoni, tra giornate di ottundimento e improvvisi balzi in avanti di vitalità, deve cercare, in un luogo dove la lingua le è del tutto estranea, di capire chi è davvero quell’amico che ha conosciuto solo a metà.

Ed è qui che si inserisce il nodo centrale di questo bellissimo romanzo.

Una lingua spinta al limite delle possibilità di un romanziere, quasi come se, alla fine, fosse proprio l’indagine radicale sulla forma romanzo e sulle possibilità della letteratura ciò che realmente interessa all’autrice.

Sembra che Claudia Ulloa Donoso abbia introiettato davvero la lezione di Noam Chomsky. Cos’è la lingua, da dove nasce, sono innate le nostre capacità di comprendere tutte le strutture grammaticali, sono esse universali?

Ma soprattutto, è davvero la lingua che informa il mondo e a quali scosse è sottoposta la nostra identità quando torniamo alla lingua madre.

Non è un caso, infatti, che proprio nel momento in cui la protagonista inizia ad avere un qualche tipo di confidenza con la lingua rumena, a comprendere intere conversazioni, ad avvicinarsi in modo più profondo alla realtà in cui è cresciuto l’amico sconosciuto, perda la possibilità di articolare suoni, proprio come accade ai bambini che praticano fin dalla nascita lingue diverse.

Arriva un momento in cui deve agire il silenzio, per produrre di nuovo un significato.

Ed è lì che incontriamo il cane, dichiarato nel titolo. Un cane nero bisognoso di cure, sporco e macilento, a cui infilare tranquillanti in bocca perché si addormenti. Un cane nero che diventa un’ombra appiccicata al cuore e che poi si dissolve in nuove possibilità.

«Allora, ti è piaciuto il viaggio? Sì, risposi. Cosa ti è piaciuto di più? Pensai a una linea. Lo spazio nero e la linea bianca. Lo spazio bianco e la linea nera.
La prima linea: la strada».

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Fotografia header: Claudia Ulloa Donoso, Credits Verónika Jorquera

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