La nuova edizione Adelphi del “Giornale di guerra e di prigionia” è una collazione di tutta la serie dei quaderni tenuti da Gadda a partire da quello iniziale del 1915 e fino a tutto il 1919: un memoriale, che da un taccuino all’altro si mostra nella sua natura di scrittura storiografica, cronachistica, autobiografica e, in nuce, letteraria…

C’è qualcosa di particolarmente significativo nella scelta di Paola Italia, Giorgio Pinotti e Claudio Vela di aprire il cinquantenario della morte di Carlo Emilio Gadda (foto Archivio Liberati) con la pubblicazione del Giornale di guerra e di prigionia, tra i testi più intimi e sofferti della produzione del Gran lombardo. Intimo sin dal titolo, un “giornale”, il che vuol dire una raccolta di annotazioni quotidiane; e sofferto, come indica la specificazione attributiva che inanella in ordine temporale e di relazioni causa-effetto “la guerra e la prigionia”.

La nuova edizione Adelphi del Giornale di guerra e di prigionia del sottotenente degli alpini, che a Edolo compera un quaderno inaugurandolo con l’indicazione dell’acquisto stesso e della data del 24 agosto del 1915, è una collazione di tutta la serie dei quaderni tenuti da Gadda a partire da quello iniziale del 1915 e fino a tutto il 1919: manca solo il prezioso diario perduto durante i fatti di Caporetto, cercato senza successo dallo stesso autore dopo la guerra. Alla conclusione del 1919, il 31 dicembre, due note, una sul recto e una sul verso, annunciano la conclusione della scrittura dei quaderni, ribadendo con la parola “fine” e il verbo “finire” quanto aleggiava nelle righe che, vergate alcune ora prima nello stesso giorno, chiudevano il passato nella lucreziana morte eterna e aprivano alla monotonia del futuro. Ma non era già più il diario degli eventi bellici e delle loro conseguenze: all’altezza del dicembre del 1918, il sesto e penultimo quadernetto si era già guadagnato il titolo di Vita notata. Storia.

giornale di guerra e di prigionia Gadda

L’edizione Adelphi rende tutto questo visibile: rende visibile la duplice vita e la doppia natura del Giornale di guerra e di prigionia, che non è già solo nella guerra e nella prigionia ma è nelle diverse forme acquisite nel corso del tempo – e nel passaggio da quadro di eventi al successivo – dal racconto storico.

Un memoriale, allora, che da un taccuino all’altro si mostra nella sua natura di scrittura storiografica, cronachistica, autobiografica e, in nuce, letteraria. Gadda annota minutamente i propri stati d’animo, si sofferma in dettagliati ritratti fisici e morali, descrive minuziosamente la composizione e il funzionamento dei pezzi d’artiglieria, aggiunge notizie di piccole cose, sfoghi patriottici, istantanee emotive, pagine familiari.

Il Giornale si è rivelato ai suoi lettori poco a poco nel tempo: gli estratti dell’anno 1916 escono nel 1951 sulla rivista di Alessandro Bonsanti «Letteratura e Arte contemporanea»; pagine del diario redatto nel campo di Celle compaiono nel 1953 nella nuova serie di «Letteratura» che si accompagna col sottotitolo di «Rivista di Lettere e di Arte contemporanea»; nel 1965 Einaudi pubblica, con la cura di Gian Carlo Roscioni, un’edizione priva del memoriale della battaglia dell’Isonzo, che verrà pubblicato postumo. In ultimo, naturalmente, la presenza nel secondo volume di Saggi giornali favole e altri scritti a cura di Dante Isella. Il Giornale che possiamo leggere nel 2023 è la somma di tutti questi ed è diverso da tutti questi: arricchito di una notevolissima parte di inediti per la cura di Paola Italia e con una nota di Eleonora Cardinale, che ha seguito le fasi di restauro dei quaderni conservati nella Biblioteca nazionale centrale di Roma, è l’atto ultimo che porta a possibilità editoriale un diario di guerra impossibile moralmente per Gadda.

Il Giornale è elaborazione in parole della vita in guerra ed è diario di carattere privato, studio autoanalitico (secondo alcuni critici) e autobiografico, come ebbe a dire lo stesso Gadda in un’intervista del 1968. Ma non solo. Sarebbe dovuto essere l’inizio, il sostrato, il riflesso del romanzo di una nazione (un doppiofondo del Racconto italiano di ignoto del novecento) che poi, forse poco inopinatamente seguendo le note dei taccuini, si rovescia nel suo opposto: diario di de-formazione; diario di illusioni perdute (un doppiofondo di Eros e Priapo). Perché è il testo della scoperta della vanità giovanile da cui non scaturisce la maturità consapevole bensì inazione, logoramento, sacrifici e perdite. L’incubo della storia joyciano sarebbe diventato in Gadda il carcame, il reale, il residuo che non fa storia e che non ne ha mai fatta.

Eppure il Giornale che nell’opera gaddiana viveva in traslucenza (si vede, appare, è traccia carsica nel terreno dell’opera gaddiana) in questa pubblicazione è finalmente se stesso: un testo testimoniale, che si può e si deve leggere anche così, nella sua indipendenza e nella sua interezza possibile e ricostruibile e quindi opera compiuta, opera fatta e finita come fatte e finite, con ripentimenti dichiarati o taciuti, sono le altre opere, gli altri romanzi, a partire dal ben noto Pasticciaccio.

È l’incompiutezza con cui ce l’ha consegnata la storia, cioè qui il corso degli eventi, che ha partecipato come soggetto della conclusione del testo e oggetto del diario. E a leggerla così, nella sua compiutezza possibile e nella sua individualità il Giornale è ancora due cose, ha ancora due vite: è una cronaca, al pari delle prime cronache in volgare, ed è un poema delle opere e dei giorni del Novecento.

L’AUTORE – Giuseppe Episcopo è ricercatore (RtdA) di critica letteraria e letterature comparate all’Università degli Studi Roma Tre (dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere)

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Fotografia header: Carlo Emilio Gadda (Archivio Liberati)

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