Dopo il Premio Pulitzer 2023 con l’acclamato “Demon Copperhead”, Barbara Kingsolver torna con “Un mondo altrove”, libro che vede al centro la vita di Harrison William Sheperd (1889-1979), un’artista che ha scelto la libertà: un intreccio di storie, di personaggi veri e fittizi. Un incontro di mondi, un viaggio di formazione dalla struttura a mosaico, tra un’America impaurita dal diverso e un Messico di natura e arte…
“L’aspetto fondamentale di una persona è sempre quello che non conosci”.
La ricostruzione della vita di Harrison William Sheperd è costellata di vuoti: sono lacune nel racconto, frammenti di diario che non ci sono più, lettere bruciate, riservatezza.
C’è un lavoro importante e amorevole di un’archivista, Violet Brown, che ha lavorato accanto a Sheperd e anni dopo la sua scomparsa mette insieme i pezzi, cerca di colmare i buchi, aggiunge le sue personali note, racconta pezzi di lui.
Un mondo altrove (Neri Pozza, traduzione di Micol Toffanin) ha la struttura a mosaico, del memoir e del romanzo, della ricerca storica e del resoconto giornalistico. È un intreccio di storie, di personaggi veri e fittizi, ed è un incontro di mondi, di momenti storici che sono diventati pietre miliari del Novecento, di cui Sheperd è stato spettatore, protagonista per caso.
Nato in America, la madre messicana lo porta presto via con sé, lasciando il marito, funzionario americano, per inseguire uno sfortunato sogno di amore a Isla Pixol, nel Golfo del Messico: lì Harrison cresce in un mondo parallelo a quello della madre, educato dal cuoco, sedotto dalla bellezza misteriosa della natura, ipnotizzato dal fascino magnetico delle grotte che nascondono segreti, e forse passaggi dove nascondersi, ed essere inghiottiti dall’oscurità.
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Sheperd cresce leggendo romanzi, scottandosi al sole, immergendosi con la maschera, attratto dalla corrente, dall’idea di un luogo dove poter sprofondare per poi risalire altrove: la sua è da subito un’anima predisposta all’immaginazione, e la scrittura è il suo destino.
Harrison è un giovane a cavallo di due mondi, l’America e il Messico, ma non appartiene a nessun posto, e la sua storia, raccontata tra il 1929 e il 1950, è un’avventura di identità irrisolta, di contrasti politici, di libertà sentimentale e artistica, di solitudine e appartenenza, di diritti umani: un viaggio epico, fatto di frammenti, di più vite, di piccoli taccuini su cui annotare pensieri e immagini.
“Il ricordo imperfetto di una vita è un’inutile perfidia. Ogni giorno, altri frammenti del passato ruotano gravi nei meandri di una mente vuota, diffondendo frammenti di un colore, di una frase o di un profumo, qualcosa che cambia per poi scomparire. Cade come una pietra sul fondo della grotta”.
Harrison vive occasioni straordinarie perché si trova al posto giusto, al momento giusto: è così, con qualche scaltrezza e tanta fortuna, che viene preso a servizio dal grande muralista Diego Rivera, prima come responsabile dell’intonaco, poi come aiuto-cuoco, tutto fare, amico. Davanti a quelle opere visionarie, dove i contadini, le donne dalla pelle bruna, la giungla sono soggetti, e dove le storie raccontate invitano la gente ad alzarsi e combattere, Harrison vede incarnata la possibilità dell’arte come strumento e come missione. È la rivelazione di poter avere una propria voce, il proprio posto.
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Barbara Kingsolver ci immerge, in questa parte di racconto, in un Messico di meraviglia, di mercati brulicanti di vita, piramidi e grandi haciende, pappagalli e fiori, esotismo e creatività: è un coacervo di voci e umanità. Quando compare Frida Kahlo, con le trecce acconciate a corona e la gonna lunga, la scrittura si fa poesia.
“Era così minuscola che di spalle sembrava anche lei una servetta. Ma quando si è voltata, in un turbinio di gonne e orecchini d’argento, il suo era un volto sorprendente, una regina azteca con feroci occhi neri”.
Nella casa azul di Diego e Frida, dove i pavimenti sono di assi gialle, dove regna il caos, e dove le tovaglie bianche si adornano di garofani rossi, Harrison vive la più privilegiata immersione nel mondo della rivoluzione, dell’arte, e dell’amicizia, perché ha un’anima capace di cogliere attimi e di condividere emozioni; Harrison, l’Insolito, è il confidente di Frida, il suo informatore quando i dolori la costringono a letto. Sarà proprio Frida a fargli il dono più grande, quello della memoria. Quando Rivera offre rifugio a Lev Trockij esule a Città del Messico, Harrison ne diventa segretario e traduttore, e vivrà al suo fianco, testimone della sua attività e spettatore anche della tragedia finale.
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Harrison è lontano anni luce da Demon Copperhead (protagonista del romanzo con cui Barbara Kingsolver ha vinto il Premio Pulitzer 2023): lo rendono diverso il suo talento, la sua fortuna, e la capacità di saper cogliere le occasioni. Certo Harrison ha avuto un’infanzia sballottata dalle romanticherie della madre, si è adattato a lavoretti, ha dovuto gestire uno sgradevole momento alla scuola militare – uno dei vuoti, delle pagine strappate dei diari, l’omosessualità come sentenza di inabilità al servizio – ma non conosce la persecuzione della sfortuna di Demon, né il suo mondo così limitato da non arrivare all’oceano.
Resta però comune la solennità di un viaggio di formazione di due personaggi ai margini di un’America fredda e non inclusiva, hillbilly uno, meticcio l’altro: un percorso che attraversa luoghi e ambienti, persone e storie, che forgia i protagonisti, rendendoli robusti nella loro solitudine, nel disegno e nella scrittura come scialuppe di salvataggio.
Quando Harrison torna in America, dopo la morte violenta di Trockij, la narrazione di Barbara Kingsolver compie un’inversione di stile: i colori si spengono, le musiche tacciono, l’aria diventa soffocante.
Harrison vive ad Asheville, nella Carolina del nord, scrive romanzi sulla storia azteca che gli danno fama, ma anche timore degli altri, ansia di esporsi: vive da recluso, con la sola compagnia di Violet Brown che lo aiuta come stenografa, e diventa la sua voce verso l’esterno. Essere artista mette in pericolo: è il momento della caccia alle streghe, della paura rossa che, quando trova vuoti, li riempie di sospetto e diffamazione, supportata da una stampa complice che si inventa tempeste in un cielo azzurro.
L’America di Un mondo altrove è impaurita dal diverso, piena di odio, di individualismo: è l’America di J. Edgar Hoover, di McCarthy, responsabili di un clima di repressione, di un’ossessiva indagine di atteggiamenti antiamericani, che addita il vicino di casa, il parente, l’amico, in un’isteria di massa che non ha avuto precedenti, ma ha avuto tanto futuro. In quest’America, parlare di diritti costituzionali o di libertà di parola è pericoloso, e antipatriottico.
“Non sappiamo dove ci possa condurre una piccola zattera di libertà. L’articolo 18 precisa: ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.”
Barbara Kingsolver racconta trent’anni di un’artista che ha scelto la libertà, con un romanzo epico che sapientemente unisce storia a finzione, e fa appello alle coscienze, sancisce un’unione virtuosa e urgente tra arte e impegno politico, che vale oggi più che mai, e definisce il valore e la responsabilità del singolo nel riconoscere la strada: in fondo all’oscurità della grotta, nello stretto canale di tenebra che sembra inghiottire, c’è la speranza di poter attraversare la terra e il tempo, emergendo dall’altra parte: “Portami in un altro mondo”.
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