“La città dal mantello rosso” è il romanzo di Asli Erdoğan in cui la scrittrice e attivista turca racconta Rio de Janeiro: la capitale brasiliana diventa la mappa per esplorare la personalità di una giovane insegnante turca che, a Rio, impara a conoscere se stessa… – Su ilLibraio.it un capitolo

Quando Özgür sbarca per la prima volta a Rio de Janeiro ha trent’anni ed è una giovane insegnate arrivata dalla Turchia: la capitale brasiliana la accoglie, colorata, chiassosa, complicata, come tutte le grandi città del Sudamerica; nell’intricata mappa di vie e quartieri dal nome straniero, Özgür vede un ventaglio di esperienze diverse che la attendono, nuove possibilità da esplorare.

Una sensazione non diversa da quella che deve aver provato Asli Erdoğan quando, più o meno alla stessa età, si recò a Rio per un dottorato: tornò in Turchia per diventare una scrittrice a tempo pieno e scrisse La città dal mantello rosso (Garzanti, traduzione di Giulia Ansaldo), di cui Özgür è la protagonista.

Aslı Erdoğan La città dal mantello rosso

Pronta a esplorare nuovi lati del suo carattere e della sua personalità, Özgür è la lente d’ingrandimento attraverso cui il lettore entra in contatto con una città molteplice, dinamica, affollata e imprevedibile, come solo una capitale del sud america può essere: attraverso gli occhi e la storia di una ragazza turca profondamente curiosa e intraprendente, il lettore scopre le contraddizioni e la magia di Rio de Janeiro, vera protagonista del libro.

Scrittrice turca e attivista per i diritti umani, arrestata e detenuta per mesi dal regime nel 2016, Asli Erdoğan racconta una città che ha conosciuto e vissuto: il cuore pulsante che si nasconde tra le spiagge scintillanti e i sobborghi degradati. Per farlo, costruisce un personaggio dal panorama interiore non meno articolato della città stessa, così che il viaggio di Özgür nella capitale brasiliana tracci il percorso di un’esplorazione personale, intima, che attraversa tutti i cambiamenti che la porteranno a scrivere un libro per scendere a patti con la donna che è diventata.

Con la figura di ÖzgürAsli Erdoğan, autrice di Neppure il silenzio è più tuo (Garzanti, traduzione di Giulia Ansaldo), ha costruito un romanzo che possa raccontare anche la sua storia. E la parte che vi ha giocato Rio de Janeiro.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it un estratto dal libro: 

Un viaggiatore che gira solitario e senza meta per le strade di Rio, rifugiato nella propria identità come una lumaca ritirata nel guscio; in preda al terrore che qualcuno possa puntargli una pistola alla testa in ogni momento, la bocca come carta vetrata, i passi tremanti; grosse chiazze di sudore sotto le ascelle… Non ha altro di cui fidarsi che i propri occhi stanchi e l’orizzonte limitato dal suo sguardo.

La foresta che fino a non molto tempo fa, appena trecento anni, era la sovrana unica e incondizionata di queste terre, è ancora qui; fa sentire la propria voce attraverso i giganteschi edifici circondati da cancelli di ferro. L’europeo portatore della croce insanguinata – e della spada, del fuoco, della tortura, della tubercolosi, della sifilide –, in ogni pezzo di terra su cui ha messo piede è stato sconfitto dai tropici. L’Uomo Bianco intollerante alla foresta, al caos, all’incognito, che vuole risolvere, analizzare, dirigere il prima possibile ogni cosa su cui mette mano, su queste terre è stato trascinato al cannibalismo, alla follia. L’umidità tropicale l’ha pervaso sin nel midollo, il suo tessuto morale si è disciolto sotto la pioggia e il sole. Il Dio che ha abbandonato suo figlio sulla croce e inventato il fucile, non è riuscito a vincere l’Eros Africano, l’ha messo in vendita, contaminato, trasformato in peccato. I ritmi del candomblé si sono mescolati a salmi, litanie, colpi di frusta.

In questo paese appena sopra il tropico del Capricorno, la specie umana è dispiegata in tutte le sue possibilità. Come fosse presentata a un ospite giunto da un altro pianeta…

Meticci nero-bianco, indiano-bianco, indiano-nero, giapponesi, indiani, russi, tedeschi, svizzeri che fondano colonie su ogni collina che ricordi solo vagamente le Alpi… Arabi siriani definiti El Turco che trasportano melodie del deserto e polpette ripiene in America Latina… I ruvidi Nordestinos (Gente del Nord-Est) che per tutta la vita non hanno ingerito altro che caffè e radici di manioca, immigrati dal sertão – terre infertili – dove ancora vige il feudalesimo… I Bahianos che portano tracce sanguinose di quarant’anni di schiavitù… Indigeni dell’Amazzonia, dallo sguardo più chiuso al mondo… E tutte le combinazioni possibili… Neri dagli occhi blu indaco, indiani dai capelli color del grano, giapponesi con le labbra da africani, arabi dalla fronte mongola… Ogni colore e sfumatura che possa avere la pelle umana… Cannella, terra, arancio, caffellatte, miele, cacao…

L’anarchia stordente del corpo… Corpi che non hanno mai conosciuto segreti, che non hanno mai provato cappotti larghi, stivali, né le mille e una prigioni della morale… Sempre freschi e gagliardi, nudi, sprigionati dalle leggende… Dio ha fatto dono a queste terre di un’estate infinita, e di un’infinita gioventù. Le gonne coloratissime delle donne che svolazzano al vento, il fumo di marijuana che circonda le spiagge, i ritmi che dai marciapiedi infuocati avvolgono le anche, il desiderio che si libera dai precipizi come un uccello rapace… Una città che riesce a respirare nell’annebbiamento della sessualità: Rio de Janeiro. Sempre denudata, sempre mascherata… Sempre sazia, sempre affamata…

(Continua in libreria…)

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