A febbraio è in uscita il libro in cui Stefano D’Andrea racconta storie che aprono squarci luminosi sul nostro essere stati bambini. Per IlLibraio.it, l’autore, esperto di storytelling (e a lungo insegnante di sostegno per bambini con problemi famigliari) ha scelto una serie di letture (con relative citazioni): da Bukowski a Salinger, passando per David Leavitt e Shakespeare, fino ad arrivare a Cormac McCarthy, dimostra che dai grandi romanzi si possono trarre insegnamenti fondamentali…

di Stefano D’Andrea

 

Ero giovane quando mi occupavo di «assistenza domiciliare ai minori», non ero laureato in psicologia, non ero esperto del settore e non ero nemmeno ancora l’uomo adulto e rassicurante di cui avevano bisogno i bimbi che dovevo aiutare. Eppure ci sono riuscito, ho fatto bene il mio lavoro. Chi mi ha aiutato? I colleghi, i supervisori, gli assistenti sociali, ma anche i miei consiglieri diffusi, i personaggi dei libri che usavo per insegnarmi la vita che non mi era stata insegnata altrove. Leggendo in maniera forsennata per tutto il periodo del liceo, seduto nella comoda poltrona del piano interrato della libreria Rizzoli in Galleria del Corso, o nella biblioteca comunale di piazzale Accursio, bigiavo la scuola e passavo il tempo in maniera più formativa e produttiva, che al momento mi sembrava solo piacevole. E così ho fatto anche nel periodo dell’università e ancora dopo. Ho letto e incontrato mille storie, da alcune delle quali ho tratto supporto. E i suggerimenti più credibili li ho trovati nei luoghi più improbabili. Sono stati i più efficaci proprio perché erano immersi in storie piene d’altro, di sangue e fango, di realtà, di vita. Ricordarli tutti sarebbe impossibile ma una selezione di citazioni e titoli può avere un suo senso.

 

-Charles Bukowski mi ha rivelato come chi cerca di comprimere e mascherare il proprio disagio interiore e la rozza pochezza lo fa spesso con un’apparente pulizia:

Mostratemi un uomo che abita solo e ha una cucina perpetuamente pulita, 8 volte su 9 vi mostrerò un uomo detestabile sul piano spirituale.
Charles Bukowski, 27 giugno 1967, alla ventesima birra.

da Storie di ordinaria follia di Charles Bukowski (parte di Erections, Ejaculations, Exhibitions and General Tales of Ordinary Madness, 1972) Feltrinelli 1975.

 

 

-Aldo Nove ci ha uniti tutti, noi del 1967 e non solo:

Furia una volta lo hanno rifatto. Non era lo stesso di quando io ero giovane. Aveva una sigla orribile. Non faceva sognare. La mia generazione ha tantissimo bisogno di sognare.

da Woobinda e altre storie senza lieto fine di Aldo Nove, Castelvecchi 1996.

 

 

-D. Salinger mi ha commosso ricordandomi quanto amore si possa sprigionare tra fratello e sorella quando lei riesce, nel giro un minuto, a essere spietatamente sincera e subito dopo buffa e dolce:
«Mi piace Allie», dissi «e mi piace fare quello che sto facendo adesso. Stare seduto qui con te a parlare, e a pensare alle cose, e…»

«Allie è morto. Dici sempre la stessa cosa! Se uno è morto eccetera eccetera e sta in cielo, non è veramente…»
«Lo so che è morto! Credi che non lo sappia? Ma mi può ancora piacere, no? Non è mica che uno non ti piace più solo perché è morto, Dio santo, specie se è mille volte meglio della gente viva che conosci e compagnia bella.»
(…)
Mentre andavo verso la porta, la vecchia Phoebe disse «Holden!» e io mi girai. Si era seduta sul letto. Era così carina. «Sto prendendo lezioni di rutti da quella ragazza, Phyllis Margulies», disse. «Sta’ a sentire.»

da Il giovane Holden di J. D. Salinger, Einaudi 1961.

 

 

-David Leavitt, per primo, mi ha mostrato un mondo diverso vissuto in modo normale, cioè sempre naturalmente irregolare:

«Probabilmente credi che tua madre si sia ammalate per via del fatto che sono omosessuale» disse Allen, mettendo una mano sulla spalla del figlio. «Ma è vero solo in parte. È una cosa che ha radici molto più profonde, Danny. Lo sai che tua madre non sta bene da tempo.»

da Il ballo di famiglia di David Leavitt, Arnoldo Mondadori Editore 1986.

 

 

-Franz Kafka ha saputo ricordarmi di quando, di fronte a una paura, provavo a far finta di niente; cosa che, se non ti sei trasformato in un enorme insetto, può anche funzionare:

Lo sguardo di Gregor si rivolse poi alla finestra e il cattivo tempo – si udiva la pioggia picchiettare sulle parti metalliche della finestra – lo rattristò completamente. «Che accadrebbe se continuassi a dormire un altro po’ dimenticando queste sciocchezze?», pensò.

da La metamorfosi di Franz Kafka, Feltrinelli 1977.

 

 

-Raymond Carver mi ha chiarito che puoi provare a camuffare qualsiasi cosa, ma un bambino capirà sempre come stai veramente:
Papà teneva la mano fuori dal finestrino. Lasciava che il vento gliela spingesse indietro. Era agitato, lo vedevo benissimo.

da Di cosa parliamo quando parliamo d’amore di Raymond Carver, Garzanti 1995.

 

 

-Woody Allen ha lasciato dire alla nipote di Ernest Hemingway che la diffidenza e il sospetto non sono buoni compagni di viaggio:

Tracey: «Senti, sei mesi non sono tanto lunghi. E non tutti si lasciano corrompere. Ehm vedi (ride) devi avere un po’ di fiducia nella gente».
Ike fa una smorfia di sorpresa, sorride.

da Manhattan di Woody Allen, Rizzoli 1982.

 

 

-William Shakespeare mi ha raccontato l’entusiasmo che si può creare anche nel fango se sei disposto a condividere le gioie e i dolori con i tuoi simili, e che i fratelli a volte li puoi trovare anche vita vivendo:

We few, we happy few, we band of brothers;
For he today that sheds his blood with me shall be my brother

da Henry V di William Shakespeare, Penguin books 1975.

 

 

-Fëdor Michajlovic Dostoevskij mi ha costretto a occuparmi sempre solo e soltanto di ciò che accade qui,sulla Terra, senza chiedere aiuti invisibili, senza accampare scuse:
Finché c’è tempo, voglio correre ai ripari e quindi rifiuto decisamente l’armonia superiore. Essa non vale le lacrime neanche di quella sola bambina torturata, che si batte il petto con il pugno piccino e prega in quel fetido stambugio, piangendo lacrime irriscattate al suo «buon Dio»! Non vale, perché quelle lacrime sono rimaste irriscattate. Ma esse devono essere riscattate, altrimenti non ci può essere armonia. Ma in che modo puoi riscattarle? È forse possibile? Forse con la promessa che saranno vendicate? Ma che cosa me ne importa della vendetta, a che mi serve l’inferno per i torturatori, che cosa può riparare l’inferno in questo caso, quando quei bambini sono già stati torturati?

da I fratelli Karamàzov di Fëdor Michajlovic Dostoevskij, Garzanti 1943.

 

 

-Cormac McCarthy mi ha trafitto il cuore sostenendo che nel mondo più freddo e buio crudele che puoi immaginare, disperato, con poco presente e nessun futuro, se hai il fuoco dentro non puoi fare comunque a meno di coltivare un’assurda speranza:

Dov’è l’uomo con cui stavi?
È morto.
Era tuo padre? Sì. Era il mio papà.
Mi dispiace.
Non so cosa fare.
Penso che dovresti venire con me
Tu sei uno dei buoni?
L’uomo si tolse il cappuccio. Aveva i capelli lunghi e aggrovigliati. Guardò il cielo come se ci fosse qualcosa da vedere. Guardò il bambino. Già, disse. Sono uno dei buoni.
(..)
Come faccio a sapere che sei uno dei buoni?
Non puoi. Devi
Ci sono anche dei bambini?
Sì.
Anche un maschio?
Abbiamo un maschio e una femmina.
Lui quanti anni ha?
Più o meno la tua età. Forse un po’ più grande.
E non ve li siete mangiati.
No.
Voi non mangiate la gente.
No. Non mangiamo la gente.
E posso venire con voi.
Sì che puoi.
Allora ok.
Ok.

da La strada, Einaudi 2006.

 

 

Io ho avuto un papà musicista, voi nella grande maggioranza no. Nella mia anima suonano le sue note, la mia vita quotidiana non può avere altro che melodie, armonie e ritmo, grazie a lui. Nella mia mente canticchio perfino mentre soffro. Io ho avuto un papà limpido, onesto e sincero e nella mia anima non c’è quasi ossigeno per la mia ombra. Però fare il papà no, non è stato tanto capace. E allora, senza accorgermene, mi sono rivolto altrove. Ora che mi guardo dentro e indietro, vedo che in fondo è come se avessi avuto tanti papà, o forse un solo ubiquo e onnisciente papà diffuso. Dieci cento mille papà, o solo uno ma con infinite facce. Ho letto un sacco di libri. Mi ritengo un uomo normale e fortunato.
L’AUTORE* – Stefano D’Andrea è nato a Milano nel 1967. Da anni scrive con Matteo Caccia i programmi di storytelling delle 16 su Radio 24, fra cui Voi siete qui. È web editor e ghostwriter. Dal 2000 al 2007 ha insegnato Sociologia della comunicazione presso l’Università IULM di Milano ed è stato per anni insegnante di sostegno per bambini con problemi famigliari. Idea e realizza Umani a Milano, la versione milanese di Humans of New York, una collezione di ritratti fotografici, che è diventata un «gigantesco processo di autocoscienza di una città, un giorno alla volta».  Il 12 febbraio uscirà per Corbaccio il libro La vita è una pizza

Corbaccio

 

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