Domani, 20 luglio, ricorre il 45esimo anniversario dello sbarco dell’uomo sulla Luna. Per l’occasione, Cado in piedi ha chiesto allo scrittore Piero Bianucci, giornalista scientifico, docente di Comunicazione scientifica all’Università di Torino e autore di “Storia sentimentale dell’astronomia” (Longanesi), di spiegare cosa resta oggi di quello straordinario evento…
 
di Piero Bianucci
Qualcuno ha detto che lo sbarco sulla Luna fu una vittoria dell’intelligenza e una sconfitta della ragione. Il primo uomo a posare i piedi su un altro corpo celeste, Neil Armstrong, non c’è più, se n’è andato il 25 agosto 2012. Aveva 82 anni e il volto dell’eterno ragazzo dei Marines. “Perché l’uomo va sulla Luna? – dichiarò mentre si avviava al grande viaggio – Semplicemente perché la Luna è là”.
Con i compagni di avventura Buzz Aldrin e Michael Collins, tornò sulla Terra e consegnò alla scienza 21 chilogrammi di sassi lunari. Aldrin è tuttora il più estroverso dell’equipaggio, Collins il più schivo.
Sarà così anche in questo 20-21 luglio del 45° anniversario. Un numero anonimo. Non così tondo come 40, che festeggiarono ciascuno a modo suo, né come 50, che non sanno se potranno festeggiare.
Assistendo al decollo del razzo “Saturno 5” (alto 111 metri, peso 3000 tonnellate) il sociologo Marshall McLuhan parlò di “arroganza ridicola”. L’antropologa Margaret Mead ribatté: “Il viaggio verso la Luna è nel destino dell’uomo”. In Italia lo scrittore (e chimico) Primo Levi annotava: “Sappiamo che cosa stiamo facendo? Da molti segni è lecito dubitarne. Certo conosciamo, e ci raccontiamo l’un l’altro, il significato letterale, sto per dire sportivo, dell’impresa: è la più ardita, e ad un tempo la più meticolosa, che mai l’uomo abbia tentata; è il viaggio più lungo; è l’ambiente più straniero. Ma perché lo facciamo, non sappiamo”. Suggeriva poi una sua motivazione: “l’oscura obbedienza ad un impulso nato con la vita e ad essa necessario, lo stesso che spinge i semi dei pioppi ad avvolgersi di bambagia per volare lontani nel vento”.
In realtà Armstrong, Aldrin e Collins stavano combattendo la battaglia cruciale della “guerra fredda”: i muscoli esibiti nello spazio. Vinsero. Ma com’è lontana, quella vittoria.

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