Su ilLibraio.it la postfazione di Fabio Geda alla nuova distopia young adult di Stefano Garzaro, “Il paese nero”, che immagina un’Italia in cui si ripresenta lo spettro del fascismo

Torino, ai giorni nostri: da quando il Partito ha vinto le elezioni l’Italia è sprofondata in una tremenda dittatura, con tanto di polizia segreta e campi di lavori forzati: è questo lo scenario che immagina nel suo nuovo romanzo Stefano Garzaro (Torino, 1956) che, dopo aver lavorato nell’editoria scolastica, si è dedicato alla pubblicazione di saggi e romanzi, anche per ragazzi.

Ne Il paese nero, un young adult portato in libreria da Piemme nel centenario della nascita di Sophie Scholl, l’autore rivisita infatti il genere della storia alternativa legando a doppio filo la sua opera a un passato da non dimenticare e a un futuro da non permettere.

Così, fra le pagine del libro, la Resistenza sembra solo una leggenda finché Marta, Paolo e gli altri ragazzi della Cricca non incontrano Günther, l’anziano vicino di casa cresciuto in Germania ai tempi del nazismo. Tra le pagine del suo diario scoprono la storia di Sophie e Hans Scholl, e i ragazzi della Rosa Bianca, gli studenti che si opposero con tutte le loro forze alla barbarie del nazismo.

I ragazzi della Cricca capiscono allora che il passato può accendere di nuovo la voglia di credere nella libertà. E trovano il coraggio di lottare, tutti insieme, per ottenerla…

Copertina del libro Il paese nero

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo la postfazione del romanzo, a cura dello scrittore Fabio Geda:

Il passato serve a leggere il presente e a immaginare il futuro, riducendo il rischio di commettere gli stessi errori e imparando, invece, dalle buone pratiche sperimentate da chi ci ha preceduto – che si tratti di dieci, cento o mille anni fa.

Quel flusso costante di eventi che chiamiamo Storia è composto da milioni di piccole tessere, è un puzzle immenso: battaglie, invenzioni, innamoramenti, carestie. La storia è fatta di improvvisazioni, di mal di denti e talvolta di riflessioni filosofiche; è fatta di ricerche scientifiche, di opere d’arte e di leggende.

Ma qualunque di questi aspetti uno decida di indagare, qualunque ambito preferisca, che si tratti di guerrieri o di scienziate, di regine o di ingegneri, da una cosa non si scappa: la storia è fatta di uomini e donne. E bambini, anche. E ragazze e ragazzi.

Insomma, la storia siamo noi.

Uno di solito non ci pensa, ma in questo preciso istante stiamo facendo la storia. Certo, può darsi che nessuno tra cento anni parlerà proprio di noi, di me, di te, ma questo non c’entra. La storia la stiamo facendo in ogni caso. Pensate che le cattedrali le abbiano costruite un paio di architetti oppure le migliaia di operai e di artigiani che hanno scolpito e picconato? Pensate che le riforme dei diritti civili siano una conquista personale di Martin Luther King o piuttosto di tutti quei comuni cittadini che un bel giorno sono scesi in piazza per dire che a loro il segregazionismo non stava bene manco un po’?

Il fatto è che anche quando pensiamo di non contare niente in realtà stiamo facendo pendere la bilancia da qualche parte. Quelli che non vanno a votare in realtà votano: stanno votando per chi vincerà, chiunque esso sia. In un modo o nell’altro abbiamo tutti il nostro posto nella storia, sta a noi scegliere quale.

Ciò che davvero può cambiare le carte in tavola è la collaborazione, è il fare squadra: tra architetti e artigiani, tra leader carismatici e attivisti, e come dimostra Il paese nero tra i più giovani, come i ribelli della Cricca, e i più anziani, come il vecchio Günther Stoiber. Ecco, questa è una cosa bella: un grande patto tra le generazioni. Perché ciò che conta non è l’età, o il paese da cui veniamo, o in cosa siamo bravi, ciò che fa la differenza è l’idea che abbiamo del mondo in cui vorremmo vivere e che ci piacerebbe lasciare in eredità a chi verrà dopo di noi. Ciò che fa la differenza è la caparbietà con cui cerchiamo di costruirlo, quel mondo. Ciò che conta è avere il coraggio di fare domande complesse e pretendere risposte complesse. In Il paese nero Anita dice che la democrazia può spaventare perché è complessa, perché è fatta di molte voci. E allora i più pigri, i complottisti, ad esempio, che non amano la complessità, non amano neppure la democrazia, e cercano di semplificarla. Ma che cosa ottieni quando si sostituiscono molte voci con una sola? Nel romanzo Marta, affacciandosi dalla cucina con un cucchiaio di legno, risponde: «La dittatura».

Ecco qui. La Storia. L’eterna lotta tra il bene e il male.
Ed ecco qui Il paese nero, con il suo possente carico di verità.
Con la speranza che la lotta non debba più essere così dura.

Pubblicato per PIEMME da Mondadori Libri S.p.A.
© 2021 – Mondadori Libri S.p.A., Milano

(continua in libreria…)

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