Autrice di culto in Turchia e ancora poco conosciuta in Italia, Tezer Özlü (1943 – 1986) ha vissuto una vita breve e tormentata, in fuga da una giovinezza reclusa, da donna libera, perseguitata dalla follia, innamorata degli uomini e della vita, tra Parigi, Ankara, Istanbul, Berlino e Zurigo, dove è morta di cancro: “Viaggio al termine della vita” è l’occasione per scoprire “la principessa triste della letteratura turca”
Autrice di culto in Turchia e ancora poco conosciuta in Italia, Tezer Özlü ha vissuto una vita breve e tormentata, strettamente intrecciata alla sua intensa produzione letteraria.
Nata a Simav nel 1943, si trasferisce a Istanbul all’età di dieci anni. A diciotto tenta il suicidio e, tra il 1962 e il 1963, attraversa l’Europa in autostop. A Parigi incontra l’attore e scrittore Güner Sümer, con cui si sposa e si trasferisce ad Ankara, dove lavora come traduttrice. Dopo averlo lasciato, si sposta a Istanbul, dando inizio a un periodo segnato da frequenti ricoveri e dimissioni in diverse cliniche psichiatriche. Nel ’68 sposa il regista Erden Kıral, ma anche questo matrimonio fallisce e Özlü si trasferisce a Berlino grazie a una borsa di studio. Nell’84, dopo aver sposato l’artista svizzero Hans Peter Marti, si stabilisce con lui a Zurigo, dove morirà a poco più di quarant’anni per un tumore al seno.
Scopri la nostra pagina Linkedin

Notizie, approfondimenti, retroscena e anteprime sul mondo dell’editoria e della lettura: ogni giorno con ilLibraio.it

Nel contesto di una vita così intensa e travagliata, Tezer Özlü ha scritto due libri, entrambi autobiografici: Le fredde notti dell’infanzia – in cui narra episodi della sua infanzia e le esperienze legate ai suoi trattamenti psichiatrici – e Viaggio al termine della vita, il diario del viaggio che intraprese nell’estate del 1982 sulle tracce degli scrittori che più l’hanno influenzata, o – per dirlo con parole sue – “che hanno fatto di me la persona che sono”.
Il libro fu pubblicato per la prima volta in tedesco nel 1983 con il titolo Auf den Spuren eines Selbstmords (Alla ricerca di un suicidio), per poi essere ampiamente riscritto in turco dall’autrice e ripubblicato nel 1984. Ancora inedito in Italia, è stato finalmente tradotto, con merito, da Giulia Ansaldo e pubblicato da Crocetti nella collana Mediterranea.
Definirlo semplicemente un “diario di viaggio” è riduttivo: la scrittura di Tezer Özlü – che spesso sconfina nella prosa poetica – si sviluppa attraverso frammenti e associazioni, alternando le memorie del viaggio a riflessioni sul proprio passato e sul suo presente di donna e scrittrice. Nel raccontare le tappe del pellegrinaggio sulle tombe di Kafka, Svevo e Pavese, Özlü rievoca la difficile infanzia in Turchia, le città che ha abitato, amori presenti e passati, lasciando emergere il suo irrefrenabile bisogno di libertà dai vincoli sociali e la complessità del legame tra vita e scrittura, che è sempre stata al centro della sua ricerca artistica.
Scopri il nostro canale Telegram

Ogni giorno dalla redazione de ilLibraio.it notizie, interviste, storie, approfondimenti e interventi d’autore per rimanere sempre aggiornati

Afflitta da un terribile mal di denti e da problemi di insonnia (“Non ho mai aspettato niente nella mia vita quanto il sonno”), la scrittrice – partendo da Berlino – in pochissimi giorni attraversa Amburgo, Praga, Vienna, Zagabria, Belgrado, Niš, Trieste, Venezia, Torino e Santo Stefano Belbo. Si muove in treno, in autobus, a piedi, in macchina, alla scoperta dei luoghi legati ai suoi scrittori del cuore, trovando nelle loro parole la forza per proseguire nonostante un invincibile dolore esistenziale: “È dai morti che prendo il coraggio di vivere. Dai morti che ho vissuto nei loro racconti. Dai morti che sono riusciti a trasformare questo mondo in un mondo vivibile. Dai morti che hanno detto, scritto, offerto ciò di cui il mondo ha bisogno”.
Può interessarti anche
Se la visita alla tomba di Kafka, nel cimitero ebraico di Praga, le infonde un senso di profonda serenità, come se non volesse andare da nessun’altra parte (“Forse perché Kafka ha provato un dolore più profondo del tuo stesso mondo?”), il passaggio a Trieste e l’incontro con Letizia, la figlia di Italo Svevo (“Letizia, che ha imparato l’inglese da James Joyce”), le riporta alla memoria quei momenti terribili della sua infanzia a Istanbul, quando leggeva La coscienza di Zeno tra i disordini e le bombe, e si trovava a invidiare i personaggi che passeggiavano per i viali della città.
A guidarla nel viaggio è soprattutto il desiderio di conoscere i luoghi di Cesare Pavese, autore che Özlü ha tradotto e con cui sentiva un’identificazione profondissima: “I battiti del mio cuore e tutte le immagini scorte dal mio occhio sono legati soltanto alle descrizioni che ha tracciato lui, alle frasi da lui costruite, alle parole che ha trovato”.
L’autrice visita prima Torino, città che definisce come buia e ossessiva, spirituale e mistica – una città che deve aver preparato in qualche maniera Pavese al suicidio, come se in quei luoghi oscuri avesse potuto provare la morte e viverla in vita. I corridoi lunghissimi dell’Hotel Roma – dove lo scrittore si è ucciso a trentadue anni con dei barbiturici – appaiono a Tezer Özlü come un sentiero che conduce, per l’appunto, “al termine della vita”.
A Santo Stefano Belbo – osservando le colline così care a Pavese, le sue case e le sue strade – ha l’impressione di poter vivere la natura che lo ha condizionato e, attraverso di essa, di poter vivere l’autore stesso.

Tezer Özlü (foto Kalem Agency)
Ma il Viaggio al termine della vita di Özlü è soprattutto un viaggio all’interno di sé stessa, “verso la fine dei miei confini”. Dopo aver tentato il suicidio, dopo aver vissuto in giro per il mondo, dopo aver provato la vita da moglie e madre e casalinga ed esserne fuggita, dopo aver conosciuto la dimensione ultima della follia, la scrittrice sceglie di rendere la fine della sua stessa vita il suo inizio. “Torno ai viaggi. […] Non riesco a fermarmi”. Il dolore della sua esistenza l’ha portata ad accettare la propria condizione di viaggiatrice perenne, un sentimento che “rende vivibile la vita”, nonostante implichi l’aver scavato un abisso tra sé e il mondo.
A spingere Tezer Özlü è un insaziabile desiderio di vita (“Nessuna è andata così viva incontro alla morte”), ed è proprio questo desiderio a permetterle di abbracciare la sua contraddizione, il gusto dell’abbandono. È nell’abbandono, nella morte, che i suoi “due io” si unificano, che riesce a magnificare la vita dopo aver trasformato in esperienza “ogni oggetto, ogni essere vivente, ogni immagine passeggera”. L’esperienza della scrittura le permette di espandere la sua esistenza perché assuma un carattere universale.
Non è facile, però, convivere con un desiderio mai sazio, che la induce a cercare di continuo città lontane in cui alienarsi, notti senza fine in cui sprofondare, amori giovani in cui perdersi. “Ho osservato persone che sono donne, che possono restare donne soltanto con sé stesse e nessun altro”. Anche l’amore per Özlü racchiude in sé il suo opposto: stare insieme significa separarsi. Il sentimento può essere intenso solo se impersonale, se può abbracciare il mondo intero, trasformarsi nel suo rovescio – in insensibilità.
“Libertà per gli individui di fronte alle catene irragionevoli della società”, scriveva Pavese, e le scelte di vita di Özlü, il suo rifiuto di ogni ordine prestabilito (il matrimonio, un lavoro fisso, una casa confortevole) rispecchiano a pieno questo modo di stare nel mondo. Durante il suo viaggio l’autrice incontra e trascorre del tempo con dei ragazzi vent’anni più giovani di lei, dal greco conosciuto in treno per Trieste (“Lui è la mia giovinezza addormentata. La mia giovinezza che mi trascinerò dietro, a cui non rinuncerò fino alla morte”) al cameriere dell’Hotel Roma che l’accompagnerà a Santo Stefano Belbo per poi salutarla per sempre. E ancora una volta a essere significativo è quel desiderio insaziabile di vita che può essere soddisfatto solo dall’incontro con gli sconosciuti, da anime e corpi più giovani del suo.
In Viaggio al termine della vita, Tezer Özlü – col suo stile lirico e febbricitante, baciato dalla grazia – si spinge fino ai confini non soltanto della vita, ma anche della morte, ed è proprio al limite tra vita e morte che la letteratura ha inizio, lì dove il dolore non può più essere trattenuto e non resta che fidarsi del potere della scrittura, propria e di chi ci ha preceduto.
E anche per chi legge il diario di viaggio di Özlü diventa un’esperienza trasformativa, di meditazione sulla propria sconfinatezza e suoi propri limiti, fino a fargli vivere quell’evento che in fondo accomuna l’opera di Pavese a quella della scrittrice turca: “il fenomeno che annulla il tempo”.
Scopri le nostre Newsletter

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it
