“Troppo Sud” (da una poesia di Verri: “C’è troppa pace al Sud / e poi c’è troppo Sud e basta”) raccoglie circa 200 scatti dall’archivio fotografico privato dello scrittore pugliese Omar Di Monopoli. Alla base del progetto, la medesima prospettiva che anima la prosa dell’autore, quella, cioè, “di un Sud ancora problematico, un luogo splendido e terribile in cui beltà e orrore convivono in una sorta di suggestivo – e pericoloso – equilibrio…”

Non un romanzo, non un nuovo western pugliese, e neppur un fumetto: Omar Di Monopoli torna con un progetto alternativo alla narrativa, una raccolta di circa duecento scatti che la casa editrice piacentina LOW ha selezionato dall’archivio fotografico privato dello scrittore manduriano per una monografia intitolata Troppo Sud (da una poesia di Verri: “C’è troppa pace al Sud / e poi c’è troppo Sud e basta”).

Omar Di Monopoli troppo sud cartoline
L’apparato iconografico di cui è composto il libro – di fatto una sorta di prolungamento visivo del lavoro letterario portato avanti da Di Monopoli – mostra una Puglia profondamente diversa dalla cartolina oleografica cui ci ha abituato la recente “turistificazione” della regione.

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Alla base del progetto troviamo la medesima prospettiva che anima la prosa dello scrittore, quella, cioè, “di un Sud ancora problematico, un luogo splendido e terribile in cui beltà e orrore convivono in una sorta di suggestivo – e pericoloso – equilibrio”.

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Troppo Sud, foto di Omar Di Monopoli

Una delle foto di Omar Di Monopoli tratte dal volume

Ecco allora che le case dirute, i relitti abbandonati e le piane affollate di detriti non assurgono mai a “traccia del tempo”, come scrive nella prefazione Luca Bandirali, professore di Cinema, Fotografia e Televisione all’università del Salento, “sono solo carcasse, eppure ci interessano per un motivo che si lascia scoprire scatto dopo scatto, pagina dopo pagina. Siamo noi, quelle carcasse, o meglio siamo stati noi o stiamo per esserlo, e la sfida di Di Monopoli sta nel collocarsi in quel mondo di carcasse nel presente, come se per un istante fosse l’ultimo uomo della Terra”.

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Scrive l’autore: “(…) Questa straordinaria regione che ha saputo caparbiamente (ri)costruirsi l’immagine, passando in un paio di lustri da vetusto serbatoio di povertà ed emigrazione a mirabolante diapason delle nuove correnti creative musicali, cinematografiche e letterarie, serba ancora, al suo interno, uno zoccolo duro di sfacelo tutto meridionale, qualcosa che l’onda benevola della recente attenzione mediatica ha preferito celare, tenere a bada, confinare in qualche recondito meandro cui solo il pungolo di un’arte priva di scrupoli può permettersi di risvegliare. Ed ecco allora far capolino il noir, anche qui. Inteso nelle sue più variegate declinazioni. In mezzo allo sfolgorio accecante di un sole adorato dagli instagrammer e al ritmo cadenzato dei tamburelli della ormai onnipresente Taranta, voci di dissenso si sono in questi anni messe coraggiosamente a raccontare l’altra faccia di una sempre più invasiva «turistificazione», ricordando a chi credeva che quest’angolo remoto di Sud fosse miracolosamente bonificato da mafia, corruttela, abusivismo e malasanità, che nel Tacco d’Italia, oltre al sapore dei taralli e alle suadenti note della pizzica, pulsa (purtroppo!) ancora un cuore nero come la pece…”.

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