Dopo il successo di inizio anno con “Onesto”, Francesco Vidotto torna con “L’abete e la betulla”, un racconto, di cui proponiamo un capitolo, “che sembra una fiaba, ma attinge a recenti studi sull’intelligenza delle piante”

“Sottoterra, Betulla si era stretta a me e quel che sopra sembrava diviso era invece, in profondità, una cosa sola. E questo, per noi alberi, è forse il senso dell’amore…”

Dopo il successo di inizio anno con Onesto, Francesco Vidotto torna con L’abete e la betulla, sempre edito da Bompiani. Un libro breve, presentato come un racconto “che sembra una fiaba, ma attinge a recenti studi sull’intelligenza delle piante”: gli scienziati, infatti, stanno davvero studiando il “Wood Wide Web”, una rete sotterranea che mette in comunicazione tra loro le piante del bosco, di cui si narra nel testo.

Vidotto, che è tornato a vivere tra le sue montagne, a Tai di Cadore, ha lavorato per vent’anni come consulente e manager di grandi aziende, fino a quando non ha deciso di cambiare vita e tornare a casa, a contatto con la natura.

Copertina di "Onesto" di Francesco Vidotto libri da leggere 2025

La trama di L’abete e la betulla, il nuovo libro di Francesco Vidotto

E veniamo quindi alla trama del nuovo libro dell’autore di Onesto, classe ’76.

Abete è forte e saldo, le sue radici affondano nella terra e i suoi rami più alti dominano la foresta, fronteggiando la maestà delle montagne. Abete vive un tempo fatto di pazienza, dove le giornate sono istanti e gli anni minuti. Nei suoi aghi sempreverdi e nei cerchi di legno del suo grande cuore conserva la memoria del bosco.

Un giorno, però, accade una cosa capace di sorprenderlo: il vento porta ai suoi piedi un fragile seme di betulla, quel seme sopravvive sotto la neve e, al disgelo, protende un germoglio proprio verso le sue radici… Tra il grande abete sempreverde e la betulla dalle foglie decidue nasce così un legame indissolubile. Sono vicini, ma possono solo sfiorarsi; lui ricorda tutto, lei invece ogni inverno si addormenta e dimentica le gioie dell’estate: è un amore difficile, il loro, e come tutti gli amori difficili è anche dolcissimo e inimitabile.

Copertina di "L'abete e la betulla", il nuovo libro di Francesco Vidotto

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un capitolo, il secondo:

2. TRISTEZZE DIVERSE

Camminavo nel bosco e stringevo la mano del nonno.

C’era silenzio tra noi perché lui parlava di rado e a me bastava la sua compagnia.

Il cielo nuvoloso dell’estate, intanto, si poggiava sopra le cime delle montagne che, immobili, lo sostenevano.

Risalimmo la strada che conduce sulla sommità di monte Zucco e, dopo un pezzo, la lasciammo per seguire un’esile traccia di radici e sassi che s’addentrava nel cuore profondo del bosco.

Proprio sul bivio ci aspettava un’immensa catasta di tronchi distesi e scortecciati.

Erano stati tagliati e sramati dal potente braccio d’acciaio di un moderno trattore meccanico.

Guardai triste quella strage di legno.

Anche il nonno, accanto a me, la stava fissando.

Cascate di rughe gli precipitavano dagli occhi alle guance, mentre il suo sguardo buono parlava al suo posto.

Lui era figlio della montagna.

Non vi era semplicemente nato e cresciuto ma, come molti altri della sua età, aveva stretto con queste terre alte un patto silenzioso.

Un’alleanza che permetteva la vita di entrambi, protetti dall’abbraccio giusto della natura.

In quell’istante capii che anche lui era triste, ma la sua tristezza e la mia non erano uguali.

Poco dopo riprendemmo il cammino, sempre zitti, perché ci sono momenti che è meglio non riempire di parole.

Raggiungemmo una minuscola radura tondeggiante protetta dai fusti alti degli abeti rossi che, dalla terra, si lanciavano diritti nell’aria.

Una volta arrivati, il nonno si sedette a fatica giusto sotto un grande albero che s’arrampicava nel cielo.

Proprio accanto, una betulla bianca gli si poggiava contro.

Il vento l’aveva piegata e, con il tempo, lei si era intrufolata tra i suoi lunghi rami, seguendolo fino alla cima.

Il nonno batté la mano due volte sul muschio che ricopriva tutto quanto il terreno, e io mi ci sedetti accanto.

Frugò nella tasca e ne cavò una mela e un temperino.

Prese a sbucciarla con attenzione, dal picciolo alla calicina, senza mai interrompere il taglio.

Una volta finito, mi consegnò una spirale di buccia che, se volevi, potevi ricomporci la mela svuotata della polpa.

Tagliò poi quattro grandi spicchi e me ne diede uno.

Lo mangiai e mi poggiai al tronco con la schiena e con la testa.

Fu in quel momento che il nonno mi confidò il più grande segreto della montagna e lo fece, com’era sua abitudine, con pochissime parole.

“Gli alberi parlano,” disse, “lo sai, Francesco?”

Lo guardai.

“Se appoggi l’orecchio a un tronco, e lui ritiene che tu possa capire, ti parla.”

Sorrisi, ma lui non ricambiò.

“Provaci” disse invece.

“Adesso?”

“Se ne hai voglia.”

E così mi voltai, accostai le mani alla corteccia ruvida dell’abete e vi premetti contro il viso.

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(continua in libreria…)

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