Torna su ilLibraio.it la rubrica #LettureIndimenticabili: lo scrittore ed editor Vanni Santoni consiglia una trilogia letteraria romena che lo ha particolarmente segnato, “Abbacinante” di Mircea Cărtărescu…

Per una rubrica che si intitola #LettureIndimenticabili verrebbe naturale scegliere uno dei classici che più mi hanno formato. Anna Karenina o Madame Bovary o Moby Dick o Mentre morivo o Lolita potrebbero andare, in quanto tra i maggiori responsabili della mia idea base di romanzo. Oppure Alla ricerca del tempo perduto, che non ho mai smesso di tenere sul comodino e sul tavolo di lavoro, come fonte eterna e sempre vivida di stile, perfetto ogni volta da riprendere in mano per accordare la scrittura prima di mettersi sotto. O forse dovrei andare a ritrovare quell’antologia di poesia per le classi d’inglese del liceo, che attraverso Blake, Coleridge, Dickinson, Eliot, Yeats, Thomas e Plath, per la prima volta mi insegnò che la letteratura non era solo bella, era qualcosa di travolgente che poteva scavare nei misteri più profondi e magari dare un senso all’esistenza.

Ma davvero qualcuno ha bisogno che gli si consiglino quei poeti? Che gli si dica che vale la pena leggere Tolstoj, Melville o Proust (Faulkner anche anche, giacché è sempre stato troppo poco letto in Italia…)? No. Sono lì, a disposizione di tutti, ben noti e adeguatamente stampati e ristampati. Meglio allora sfruttare questa occasione per proporre qualcosa di meno ovvio e più recente, ma che pare avere già le stigmate del classico – e mi perdoneranno coloro che mi seguono abitualmente sui social, sulle riviste e sui quotidiani, per tornare ancora una volta su questo titolo.

Recentemente, infatti, un’amica mi ha chiesto perché mi fossi speso tanto dietro la trilogia Abbacinante di Mircea Cărtărescu, edita da Voland rispettivamente nel 2008 (L’ala sinistra), 2015 (Il corpo) e 2016 (L’ala destra), benché non lavorassi per tale editore né avessi mai mostrato particolare interesse per la letteratura romena. In effetti mi ero trovato a parlarne in più articoli e ancor più post, avevo presentato io stesso il libro in tre diverse occasioni, avevo intervistato l’autore due volte, e infine avevo coinvolto amiche redattrici nella pubblicazione di due estratti, rispettivamente su 404:FNF e Nazione Indiana. È in effetti molto più di quanto si fa solitamente per un libro che ci è piaciuto, e anche per un libro di un carissimo amico che ci è piaciuto moltissimo.

Proverò allora a rispondere a questa domanda, e dato che Abbacinante ha cambiato almeno un anno della mia vita, essendo stata la lettura rispetto alla quale, negli ultimi dodici mesi, tutte le altre sono passate in secondo piano, senza andare fuori dal tema assegnato.

voland

La prima ragione, fin troppo ovvia, è che Abbacinante è un libro bellissimo.

La seconda ragione, è che è un libro ancora sconosciuto ai più.

La terza ragione è che è un libro che rischia di rimanere sconosciuto, per ragioni specificamente editoriali e distributive. Come accennavo nell’introduzione a uno dei due estratti, l’impressione che mi ha fatto Abbacinante, ovvero quella di essere al cospetto di un romanzo che detta strade per il futuro (uno scrittore per il ventunesimo secolo, allo stesso modo di Bolaño, così definito da Nicola Lagioia, in un suo bel saggio sulla sua opera) l’avevo vissuta in sole due altre occasioni, leggendo 2666 di, appunto, Bolaño, e Austerlitz di Sebald. Anche Infinite Jest  di Wallace mi aveva fatto un’impressione simile, ma dato che lo leggevo dieci anni dopo la sua prima pubblicazione (e la sua esplosione, potenziata e velocizzata da quel bonus di visibilità e reputazione di cui, comunque, ancora, gode un romanzo nordamericano), già ne proliferavano ovunque emuli, e quindi appariva meno rivoluzionario. Tra i libri contemporanei che tentavano a un tempo la creazione di mondi e l’assalto ai medesimi, anche Europe Central di Vollman mi aveva impressionato, ma l’ho sempre vissuto più come un libro che chiudeva un certo discorso romanzesco, piuttosto che aprirlo: come Le Benevole di Littell, come Le particelle elementari di Houllebecq, per citare due libri letti nello stesso periodo e ugualmente notevoli, era comunque un libro novecentesco. Solo leggendo Pynchon ho immaginato che leggerlo al momento dell’uscita poteva causare, forse,  e forse anche più intensamente, quell’effetto di proiettamento nel futuro che ho percepito con i capolavori di Bolaño, Sebald e, appunto, Cărtărescu. Un proiettamento radicale, che va oltre i semplici, pur eccellenti, saltelli nell’ignoto imbastiti, solo per citare i primi che mi vengono in mente, da un Tom McCarthy, da una Maylis de Kerangal, da un Énard, da uno Knausgård… (sì, il romanzo è vivo e sta anzi benissimo, e ogni giorno conquista nuovi pezzetti di territorio all’inesistente). Una ridefinizione strutturale, tematica e d’approccio di cosa dovrebbe essere un romanzo, e di come dovrebbe agire; un raggio nella caligine del futuro. Ma questo raggio è pubblicato da una piccola casa editrice che, come tutte le piccole case editrici nel sistema editoriale italiano di oggi, ha difficoltà a portare nelle librerie i propri libri nuovi in numero sufficiente ad esser visti, e tenerceli per un tempo sufficiente a far sì che il passaparola abbia effetto, figurarsi quindi una trilogia il cui primo volume è uscito otto anni fa, e che non può, comunque, prescindere, dall’essere letta a partire da esso. Austerlitz e 2666 sono editi da Adelphi; Infinite Jest da Einaudi Stile Libero; anche il libro più ardito di Pynchon, L’arcobaleno della gravità, può comunque avvalersi di un’edizione Rizzoli. Sarebbe forse logico che un’opera come Abbacinante, che, per la sua natura avanguardistica, oltre che per la mole e lo spessore, impone tempi di digestione più lunghi del normale, venisse un giorno acquisita da una ‘‘major’’ che la riproponesse con tirature e permanenze in libreria tali da imporla al pubblico, o, come nel caso di Adelphi, sotto un marchio in grado, da solo, di rivestirla di un prestigio tale da catturare l’attenzione di lettori sovente confusi dall’eccesso di proposte e dal generale decadimento del concetto di collana. Nel frattempo, però, è doveroso fare trincea intorno all’opera e garantirle la più lunga possibile permanenza in catalogo, visti anche i tempi di lettura che richiede.

C’è però anche una quarta ragione che mi porta a consigliare, quale ‘‘lettura indimenticabile’’, la trilogia di Mircea Cărtărescu, da leggersi per intero e in rigoroso ordine cronologico, ed è la quasi impossibilità di una recensione. Si potrebbe scrivere un saggio, certo, ma di molte pagine: ridurre, al contrario, in poche migliaia di battute cosa avviene là dentro, ci costringerebbe a ricorrere a parole pronte a diventare vuote una volta scollegate dalla sostanza che le definisce. Parole come ‘‘visione’’ (giacché tra le cose più interessanti messe in opera da Abbacinante c’è il recupero della grammatica propria della visione mistica e psichedelica, e la sua messa a confronto con quella, molto più esplorata in letteratura, del sogno, oltre che con gli schemi organizzativi dei materiali concettuali propri del mito e della religione), ‘‘intertestualità’’, ‘‘autobiografia fantastica’’, forse addirittura, Iddio ce ne scampi, ‘‘realismo magico’’, oppure si finirebbe a parlare della Bucarest del periodo comunista, che è sì lo sfondo e l’ambientazione del romanzo, ma tirata in ballo a freddo ci porterebbe immediatamente fuori strada, non essendone il tema chiave, a parte alcuni passaggi del terzo volume, dove Cărtărescu dimostra peraltro di essere l’unico europeo, finora, ad aver compreso fino in fondo la lezione di Pynchon (ogni volta che Littel provava a entrare in un tale territorio, nel pur eccellente Le Benevole, prendeva una storta alla caviglia). Né sarebbe giusto selezionare questa o quella, tra le storie contenute nelle mille scatole cinesi e uova di Fabergé in continua mise en abyme che troviamo nei tre volumi del romanzo, e portarla a esempio, elevarla a ‘‘questo è quel che potete trovare’’. Si tratta di un libro (di tre libri) di cui, in ultima istanza, si può dire soltanto ‘‘leggetelo’’ – ed ecco allora perché l’ho fatto così spesso in passato, e perché qui lo ribadisco.

LA RUBRICA – Letture impossibili da dimenticare, rivelatrici, appassionanti. Libri che giocano un ruolo importante nelle nostre vite, letti durante l’adolescenza, o da adulti. Romanzi, saggi, raccolte di poesie, classici, anche testi poco conosciuti, in cui ci si è imbattuti a un certo punto dell’esistenza, magari per caso. Letture che, perché no, ci hanno fatto scoprire un’autrice o un autore, di ieri o di oggi.
Ispirandoci a una rubrica estiva del Guardian, A book that changed me, rifacendosi anche al volume curato da Romano Montroni per Longanesi, I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, abbiamo pensato di proporre a scrittori, saggisti, editori, editor, traduttori, librai, bibliotecari, critici letterari, ma anche a personaggi della cultura, della scienza, dello spettacolo, dell’arte, dell’economia, della scuola, di raccontare un libro a cui sono particolarmente legati. Un’occasione per condividere con altri lettori un momento speciale.

vanni santoni

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