Intervista a Antoine Audouard autore di Addio, mia unica ISBN:8882463079

Lei era la più bella e la più colta delle fanciulle nella Parigi del XII secolo. Lui il più quotato tra gli intellettuali della sua epoca, geniale maestro del pensiero. Lei era anche la più dotata tra gli allievi della scuola del maestro: Eloisa, nipote del canonico di Notre Dame, allieva di Abelardo, e poi sua amante, sua sposa segreta e per sempre sua compagna nella ricerca della verità. La loro storia d’amore struggente e dolorosa, guardata prima con sospetto e poi con aperta ostilità dalle autorità ecclesiastiche e infine interrotta brutalmente (anche se il crimine perpetrato nei confronti di Abelardo mise fine soltanto alla relazione fisica tra maestro e allieva ma non poté nulla contro un amore unico), i loro sospiri e i loro progetti intellettuali, sono vividi e palpitanti nel romanzo dello scrittore francese Antoine Audouard, 44 anni, tre romanzi di “educazione sentimentale” alle spalle e venti anni di lavoro editoriale prima di riprendere in mano la penna. Fedele alla verità storica lo scrittore ricorre all’invenzione riuscitissima di un personaggio di carta, io narrante dell’intera vicenda, Guglielmo, anche lui discepolo di Abelardo, anche lui disperatamente innamorato di Eloisa. In un grande affresco storico Audouard restituisce al lettore i fermenti di un’epoca crudele e vitale e l’attualità di una passione che non ha conosciuto incertezze.

D. Che cosa ha significato per lei scrivere un romanzo storico sulla più grande storia d’amore di tutti i tempi, che nelle sue pagine sembra modernissima?

R. Non ho scelto il genere letterario, ma la storia, perché ho avuto la sensazione che quella passione, espressa a volte con estrema violenza, fosse molto moderna. E per me la scoperta dell’amore di Abelardo ed Eloisa ha avuto anche la funzione di riflettere la storia d’amore che stavo vivendo. Credo che questo sia accaduto anche a molti lettori, perché ho avuto l’impressione che si risvegliassero in loro emozioni molto intime e forti. Non ho mai voluto considerare questa storia come qualcosa di lontano. Anche nello stile ho voluto evitare quello da romano storico, una sorta di imitazione di una lingua che non è mai esistita visto che Abelardo e Eloisa si scrivevano in latino. Quasi sempre l’impresa di ricostruzione linguistica sfocia in un pasticcio. A me interessava raggiungere una lingua che fosse contemporaneamente lirica e moderna.

D. Sono grandi le passioni che si agitano nel suo romanzo, passioni del cuore e passioni ideali. Su un periodo storico generalmente considerato buio lei getta una luce che rivela un grande fermento intellettuale…

R. Il medioevo è l’epoca in cui nasce il grande mito fondatore del nostro concetto d’amore. Appartengono al medioevo infatti le storie di Tristano e Isotta, di Ginevra e Lancillotto, Abelardo e Eloisa, ma anche l’idea dell’amor cortese: sono un sottofondo di enorme ricchezza. E per quanto concerne il dibattito delle idee confesso che anch’io all’inizio sono stato vittima del generale pregiudizio secondo il quale il medioevo sarebbe un’epoca di tenebre, ma grazie a Abelardo e Eloisa ho invece scoperto che quelli erano anni di grande vivacità intellettuale. A ben guardare i nostri giorni, l’epoca della cosiddetta libertà delle idee, ci si rende conto che si producono dibattiti ben più poveri. Forse oggi quello spirito di avventura intellettuale lo si ritrova soltanto, quasi vi si fosse trasferito, nel mondo delle scienze.

D. Animati da grandi ideali, Abelardo e Eloisa nel suo romanzo sono d’altro canto anche personaggi di carne e sangue. Come ha fatto a rendere la fisicità del loro amore senza “tradirli”?

R. Non riesco a raccontare una storia d’amore che non parli anche di una carnalità che passa necessariamente attraverso il corpo. E poi il percorso della loro relazione è chiaramente indicato dalle loro lettere, in cui la dimensione fisica è molto importante. E’ Abelardo che in qualche modo rifugge e rinnega il ricordo deioro amplessi, quasi fosse per lui un dispiacere. Eloisa no: anche dopo aver preso i voti rivendica ciò che ha avuto e provato, salmodiando ogni abbraccio perfino durante la messa.

D. La fine di Abelardo non è nell’umiliazione fisica, ma nell’ostracismo intellettuale. Come se per lui abbia sempre contato di più il mondo delle idee di quello reale. Eppure a modo suo ha amato follemente Eloisa, tanto da mettere a repentaglio la sua stessa reputazione. Com’è in realtà Abelardo?

R. Abelardo è un personaggio con un coraggio intellettuale impressionante, ma nelle lettere appare anche nella sua debolezza, nella sua vanità. La sua sofferenza maggiore è nella castrazione intellettuale. Arriva perfino a pensare che quella fisica sia in fondo stata davvero un atto di giustizia. L’influenza di Eloisa sulla sua vita è stata enorme. Le lettere di Eloisa sono considerate da molti storici fondatrici dell’umanesimo, perché esprimono in modo molto moderno l’amore e la tolleranza. Abelardo ha i piedi nel fango e la testa tra le nuvole, vive sempre troppo in basso o troppo in alto. E lei che ogni volta lo rimette in piedi. E alla fine è sempre lei la sola a cui lui si rivolge. Lo storico Etienne Gilson ha detto che la parte migliore di Abelardo è proprio Eloisa.

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