Per il protagonista del nuovo romanzo di Alcide Pierantozzi “la gente è convinta che l’amore riempia chissà quale vuoto ma secondo me lo spalanca. È un inconveniente spaventoso”. L’approfondimento su un libro in cui la provincia è scudo per chi la abita e compassione per chi ci torna. E che diventa il modo migliore di dare un luogo all’amore

“Se potessimo vederci con gli occhi degli altri, scompariremmo all’istante”
(L’inconveniente di essere nati, E. M. Cioran, Adelphi, 1991. Trad. It. Luigia Zilli)

Si può stare lontani da casa un numero elevato di anni, si può pensare in ogni modo di liberarsi delle ingombranti memorie che ad essa si collegano o dei legami con le persone che, all’opposto, si ostinano ad abitarla. Si può incarnare il tipo umano che va via dalla propria provincia per cercare qualunque cosa, purché sia “altra”, ma succede sempre a tutti questi eroi che a un certo punto essi siano chiamati a tornare a casa. Per disgrazia, per sfortuna, per un conto col passato da saldare.

L’eroe dissestato di Alcide Pierantozzi (nella foto di  Agne Raceviciute, ndr) de L’inconveniente di essere amati (Bompiani) non si esime da tale condizione: Paride Negri è un cantante di minimo successo che da Milano torna in una città che su Google Maps non esiste, ma è reale “tutto quello che c’è attorno. Dai nomi dei paesi ai nomi delle vie, delle piazze, dei locali, dei fiumi, tutto quello che c’è attorno a Calanchi esiste davvero”.

L'inconveniente di essere amati Alcide pierantozzi

Paride è un ragazzo che si ritrova a fare i conti con la vita prima di partire, cristallizzata nella sua testa con una serie di sensi di colpa mai curati; per sfuggire alla vita stretta che lascia a Milano non gli rimane altro che tornare a casa.

Nella vita di Paride esiste l’amore, in ogni forma che lui riconosce: quello fisico, quello insalubre della differenza emotiva, quello dell’amicizia, quello verso gli uomini e quello verso le donne, ma scopre, nel ritorno alla sua provincia, i due che gli mancano: quello incondizionato e quello inatteso.

L’amore è un caso per Paride, lo dice il titolo stesso del romanzo: gli piove addosso senza che lui lo desideri o lo cerchi con convinzione, anzi: crede fortemente che l’amore lo sorvoli, lo travalichi contro ogni suo volere. L’amore, che lo muove e allo stesso modo lo ferma, l’amore delle canzoni che conosce profondamente, come una melodia che racconta una vita intera, sembra una scelta del tutto imponderata. E il corto circuito che si attiva costantemente nella sua vita – il dogma che l’amore esiste stride con il fatto di non saperlo gestire e assecondare – guida la narrazione su due livelli differenti: quello superficiale e quello sotterraneo.

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A livello superficiale, Paride si confronta con gli altri personaggi del romanzo: lo zio Beppe, Margherita, Francesca e in parte Sonia hanno un modo molto specifico di intendere l’amore, un modo del verbo attivo e partecipe, che costruisce o distrugge chi hanno intorno. Sandro, Manolo, il piccolo Gianmaria e in parte di nuovo Sonia hanno, invece, un modo del verbo passivo e attendista.

Paride è al centro delle due modalità: staziona a volte da un lato altre dall’altro e man mano che procede il romanzo, diventa più conscio di questo inconveniente del titolo, delle intenzioni che l’amore porta con sé, del modo passivo che lo compone, in egual misura al modo attivo.

A livello sotterraneo, Paride fa i conti con quello che nessuno conosce e che lo porta a rincorrere gli amori che gli sfuggono, solventi con cui sciogliere il senso di colpa che vorrebbe guarire. Il motore più intimo delle sue azioni è quindi questo secondo e quando sembra che i suoi comportamenti sono inconcludenti, essere amato lo spinge oltre, lo fa ragionare, lo porta a costringersi nei limiti incerti di questo inconveniente.

I personaggi di questo romanzo fanno tutti i conti con l’amore, a un certo punto. Hanno vite lineari e al tempo stesso melodrammatiche; vivono cortocircuiti e illusioni e rappresentano la provincia nel senso più intimo: costruiscono rapporti di forza e di debolezza con chi hanno più a cuore, coltivano sensi di colpa che annegano nei rapporti con l’altro e tentano di amare Paride, ognuno a modo suo, sovraccaricandolo di attenzione.

I rapporti che Paride ha con Sandro, Manolo e soprattutto Sonia sono i tre modi che il ragazzo sperimenta per cercare la strada, per aggiustare il passato che torna soffocante. Usa le alternative che gli vengono proposte per provare a spiegarsi l’assenza che prova, le sue mancanze.

I dieci giorni estivi che Pierantozzi ci descrive della vita di Paride raccolgono come un imbuto il senso della sua vita fino a lì e riportano a galla il passato da cui Paride non può più scappare. Va via dalla provincia e poi torna alla provincia, per chiudere un cerchio e forse, sul finale, ripetere il processo, andare via di nuovo, ma verso un orizzonte aperto.

I personaggi di questo romanzo, con Paride in testa, hanno nei confronti dell’amore un debito – “I still owe money to the money to the money I owe, I never thought about love when I thought about home”[1], potrebbero cantare in coro – e a partire dallo zio Beppe si prendono la briga di scioglierlo con degli strumenti a volte goffi, a volte spicci e puerili. In ognuno di loro che tenta di avvicinarsi, c’è il medesimo tentativo di allontanarsi: Sonia ama e odia allo stesso modo e fa risuonare il medesimo temperamento; Manolo si ama e si odia e si descrive con la stessa intensità. Paride ammette, a nome di tutti, che “la gente è convinta che l’amore riempia chissà quale vuoto ma secondo me lo spalanca. È un inconveniente spaventoso” e riporta il discorso nell’unico senso logico che può avere: cosa cerchiamo quando ci rifugiamo nell’amore? Da cosa stiamo scappando esattamente? Se usufruire dell’amore per risolvere il passato ha un costo, ne vale la pena?

La provincia, in questa storia, dista relativamente pochi chilometri da Milano: il litorale adriatico a cui si fa riferimento è a metà fra Marche e Abruzzo, ma la distanza emotiva è siderale. La provincia è scudo per chi la abita e compassione per chi ci torna. Diventa il modo migliore di dare un luogo all’amore: a tratti pittoresco, a tratti illusorio, a tratti schietto, sempre senza verso, come un eterno girotondo da cui si tenta di fuggire e a cui inevitabilmente si deve tornare.

[1] Questo verso è parte di Bloodbuzz Ohio di The National.

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