“Che cosa ho in testa” raccoglie trenta racconti, curati da Alberto Rollo, di altrettanti scrittori italiani e si può leggere come se fosse un romanzo, diviso in trenta capitoli, uniti dal fil rouge della narrazione della realtà, anche se spesso filtrata attraverso la lente della fiction. Oppure saltellando da un racconto all’altro. Perché in meno di trecento pagine si susseguono trenta visioni, che accompagnano il lettore in un viaggio nella mente dei loro autori

“Mi piaceva (e mi piace) pensare che le risorse di una scrittrice, di uno scrittore siano vedere che cosa accade, vederlo in una maniera tutt’affatto diversa da quella di un amministratore della cosa pubblica. Vedere non ha nulla a che fare con capire (verbo ormai abusato, sprecatissimo), vedere significa accertare evidenze, essere penetrati da un dettaglio, traslare l’attenzione dentro la restituzione narrativa di quelli che siamo soliti passare ‘nel catalogo’ come fatti”, scrive così Alberto Rollo nell’introduzione a Che cosa ho in testa (Baldini&Castoldi, curato dallo stesso scrittore ed editor), raccolta di trenta racconti di altrettanti autori italiani.

E così, in meno di trecento pagine, si susseguono trenta visioni del mondo contemporaneo, che accompagnano il lettore in un viaggio nella mente dei loro autori, alla scoperta di quello che hanno in testa.

Luoghi vicini – Milano, Venezia, Torino – ma anche destinazioni più lontane – India, Argentina, Mali, gli Stati Uniti -, opere di fiction e personal essays (così verrebbero chiamati nel mondo anglosassone alcuni dei contributi che compongono Che cosa ho in testa), ma tutte storie intime che raccontano l’oggi, anche quando prendono spunto dal passato.

Un passato che si riflette attraverso gli spiriti, quelli che Giulio D’Antona ha incontrato a New York e che Carmen Pellegrino continua a ricercare nei luoghi abbandonati che costellano l’Italia. Nadia Terranova ha usato il tempo per rielaborare la storia del padre. Si tratta anche di epoche trascorse con cui si può conversare, come fa Andrea Tarabbia con la sua lettera a Simone Weil. O di periodi che si connettono tra loro, definendosi in un legame di cause ed effetti: lo dimostra Emiliano Poddi.

Nella raccolta si scrive anche del presente, come fanno Martino Gozzi, attraverso il suo personalissimo racconto della notte delle elezioni americane, e Alberto Schiavone, che definisce una parte di Milano, via Padova. E poi c’è il futuro (dopotutto il sottotitolo del volume è Immagini di un mondo in cui valga la pena), che si costruisce oggi attraverso le azioni di cui scrivono Alessandro Leogrande – la cui recente improvvisa scomparsa ha lasciato un vuoto – e Fabio Geda; e grazie all’attivismo che Paolo Cognetti sembra conoscere bene.

Che cosa ho in testa si può leggere come se fosse un romanzo, diviso in trenta capitoli, uniti dal fil rouge della narrazione della realtà, anche se spesso filtrata attraverso la lente della fiction. Oppure saltellando da un racconto all’altro, godendosi le visioni dei trenta scrittori che Alberto Rollo ha scelto di rendere portavoci della sua ricerca su quello che ci passa per la mente.

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