“Se non l’avessi tolto, quel video sarebbe stato per sempre la prima cosa che chiunque avrebbe conosciuto di me…”. Ha un tema forte e attuale il romanzo d’esordio di Corrie Wang, “Cyber bugie”, in cui l’autrice americana parla di cyberbullismo e violenza online. La protagonista del romanzo, la diciassettenne Kyla, si troverà a indagare su chi sta cercando di distruggerle la reputazione sul web – L’intervista

Kyla Cheng ha tutto: è bella, brava a scuola, popolare. Ha un fidanzato invidiato e una vita perfetta. Fino a quando ConnectBook, il social network del momento, non pubblica il video della ragazza mentre ha un rapporto sessuale con un suo professore. E la sua vita comincia a franare.

Cyber bugie (HotSpot – Il Castoro, traduzione di Simona Brogli), il romanzo d’esordio di Corrie Wang, nata a Brooklyn e trasferitasi a Charleston, tratta di un tema fin troppo vicino ai giovani d’oggi, quello del cyberbullismo. Kyla infatti si troverà imprigionata in una vita segnata dall’umiliazione e dalla vergogna, perché quando qualcuno ti diffama in rete, poco conta se il materiale in questione sia vero o falso: un’impronta indelebile, una peste virtuale intacca la tua reputazione e non ci sarà modo di toglierla.

È con una forza d’animo spinta dalla disperazione che Kyla inizierà a indagare, per cercare di capire chi stia cercando di rovinarle la vita, ma soprattutto perché.

In una società in cui la distanza tra ciò che siamo realmente e ciò che siamo sul web è stata azzerata, oltre alla reputazione c’è in gioco il proprio futuro.

CyberBugie cyber bugie corrie wang copertina

Corrie Wang, i temi del suo esordio sono attuali e pericolosi: parla di cyberbullismo, di violenza, mostra i conflitti che i ragazzi d’oggi si trovano ad affrontare, sul web come nella vita reale. Cosa l’ha spinta a raccontare questa storia? 
“Ho scritto la prima bozza di Cyber Bugie quando Facebook e Twitter cominciavano a prendere il sopravvento nella vita di tutti i giorni. All’epoca era quasi obbligatorio per un autore avere un blog su cui postare quotidianamente. Sono sempre stata una persona che non pubblica molto online, preferisco vivere il momento, che perdermi dietro la telecamera. E poi so bene che tutto ciò che posti potrebbe ritorcertisi contro, in futuro.
Per rispondere alla domanda, nulla di ciò che è capitato a Kyla è successo anche a me (tocchiamo ferro) ma quello che mi inquieta è che potrebbe benissimo accadere. Nelle varie riscritture sono apparse app come Snapchat e Faceswap, perciò ho dovuto tenerne conto, ed è uscito un articolo sull’Economist che parlava dell’esistenza di nuovi software, che modificano il labiale dei video per far dire alle persone quello che vogliono”.

Fa paura.
“Vero, e fa riflettere”.

La storia che racconta è ispirata a fatti realmente accaduti?
“No, ho creato Kyla proprio per avere la possibilità di parlare di questi fenomeni, del cyberbullismo, della paura, perché in fin dei conti le protagoniste dei romanzi young adult si distinguono in due tipi: o sono delle eroine ‘cazzute’ che affrontano il mondo a spada tratta – così lontane dalla realtà delle adolescenti di oggi – o sono delle ragazze bellissime ma imbranate e inconsapevoli (basterebbe che si levassero gli occhiali…). E poi, ogni volta che un personaggio femminile ha carattere e ha una vita che funziona, è quasi sempre visto come ‘la cattiva’. Io volevo scrivere di ragazze che non si sentissero per nulla in colpa del loro successo: i lettori e i critici le chiamano ‘cattive ragazze’, ma la verità è che sono solo ragazze!”.

I ragazzi d’oggi sono cresciuti nell’era digitale, tra smartphone regalati alle elementari e tablet in mano da piccolissimi, magari dati dai genitori nei ristoranti per calmarli. Secondo lei i ragazzi sono consapevoli dei pericoli e delle insidie che si nascondono in rete?
“Credo che la maggior parte degli studenti americani siano particolarmente svegli se parliamo di social, e che siano abbastanza consapevoli dei rischi che comporta il pubblicare i vari post. Sono cresciuti coi telefoni attaccati alle dita e questa per loro è la normalità, il loro vissuto quotidiano, per questo sono meno diffidenti di noi. Guardo ad esempio la mia sorellastra e mi accorgo che passa la maggior parte del tempo davanti allo smartphone, ci guarda la tv, i film, ascolta la musica. Tuttavia ci sono nuove ricerche che mostrano che un consistente numero di ragazzi americani soffre di forte ansia e depressione; ciò è direttamente correlato all’utilizzo dei social sugli smartphone. Prima potevi lasciare i tuoi problemi e le tue gelosie, che so, a scuola; ora sei obbligato ad avercele sempre davanti agli occhi”.

Quali sono state le letture formative della sua vita?
“Se mi guardo indietro, credo di aver capito di voler fare la scrittrice dopo aver letto Preghiera per un amico di John Irving”.

C’è qualche autore di YA che consiglierebbe?
Quando vivevo a New York, ho lavorato per un po’ in un’agenzia letteraria e lì mi è capitato di leggere Sarah Dressen e quindi di appassionarmi al genere Young Adult. Direi proprio che le devo la scoperta di una passione. Ancora oggi, quando ho un blocco con la scrittura, leggo Sara Zarr e Maggie Stiefvater, mi aiutano a ritrovare la voce. Piecing Me Together di Renee Watson è stata una lettura magnifica, mentre The Call di Peadar O’Guilin resta uno dei miei libri preferiti dell’anno scorso. Ship it di Britta Lundin non uscirà prima di maggio (ndr in America) ma è vero, intriso di tenerezza e ti fa ridere di gusto, vale la pena farci attenzione e dargli il giusto merito”.

Oltre alla scrittura, le ha una passione per la cucina e ha aperto un food truck. Ci tolga una curiosità: cosa prepara nel suo furgoncino?
“Il mio food truck, Short Grain, propone piatti rivisitati della cucina giapponese. Quello che facciamo è prendere i classici della cucina nipponica come il chirachi, i takoyaki (polpette di polpo) e il pollo fritto per reinterpretarli. Mio marito, Shuai, è cinese, e infatti parecchi piatti risentono dell’influenza dei sapori con cui è cresciuto. Il tutto è però stemperato dai sapori della cucina francese e americana”.

 

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