“Il giusto peso – Un memoir americano” ripercorre la vita dello scrittore afroamericano Kiese Laymon, ragazzo nero cresciuto a Jackson, Mississipi, figlio di una donna brillante quanto complicata. Tra di loro si instaura un rapporto ambivalente e contraddittorio, che si rivela distruttivo per Kie e per la sua dipendenza dal cibo. Nel tentativo di proteggerlo da un’America che appartiene ai bianchi, sua madre finisce per coinvolgerlo in una spirale di bugie e dipendenze. Un libro onesto, che parla di identità, di potere, di che cosa significa abitare corpi troppo grandi…

“Non volevo scrivere a te. Volevo scrivere una bugia”.

Così si apre Il giusto peso – Un memoir americano (titolo originale, Heavy, pubblicato in Italia da Black Coffee, traduzione di Leonardo Taiuti), uno dei migliori libri del 2018 secondo New York Times, Washington Post e New York Times Critics.

Nel suo nuovo romanzo Kiese Laymon, scrittore afroamericano e docente all’Università del Mississipi, già autore di Long Division e della raccolta di saggi How to Slowly Kill Yourself and Others in America, ripercorre la sua vita di ragazzo nero cresciuto a Jackson, Mississipi, figlio di una donna brillante quanto complicata.

Kiese Laymon, Il giusto peso. Un memoir americano

Laymon vorrebbe “scrivere onestamente di bugie nere”, e continuare a “svolgere l’antico mestiere nero di compiacere e ingannare gente che ci paga per farsi compiacere e ingannare ogni giorno”.

Quello che scrive, invece, è “quello che speravamo che avrei un giorno dimenticato”. Un libro onesto, che parla di identità, di potere, di che cosa significa abitare corpi troppo grandi.

Un libro pesante come il titolo che porta e la verità che racconta, ma che riesce a essere leggero nel linguaggio, essenziale e puntuale. La prosa di Laymon non ha sbavature: tutto converge nel ritratto di un mondo duro, in cui un ragazzo nero è chiamato a essere perfetto se vuole sopravvivere alla supremazia bianca.

Gliel’ha insegnato sua madre, il “tu” a cui Laymon si rivolge costantemente, la persona più importante della sua vita. L’intero memoir è scritto per lei, per ricordare ciò che hanno passato, per raccontarsi per la prima volta una verità pesante in ogni senso. L’amore che Kie prova per lei è complesso, tormentato. Il passo da tenerezza a violenza è spesso troppo breve, essere onesto con lei troppo difficile.

Kiese Laymon

Forte e indipendente, ma anche fragile e a tratti crudele, quello della mamma di Kie è un personaggio che non riusciamo a conoscere davvero (e infatti non viene mai chiamata per nome), proprio come non riesce suo figlio. Ha paura di ciò che l’America bianca potrebbe fare a Kie, e per questo non vuole che sia semplicemente bravo, ma che sia perfetto. Eccellenza, istruzione, impegno: questi i requisiti essenziali per “mantenere la pelle al sicuro dalle grinfie dei bianchi”. Ed ecco perché Kie fin da bambino studia, fa ricerche, scrive temi.

Sua madre pretende sempre il massimo da lui, eppure tutto ciò che Kie riesce a ricordare è “come digrignavi i denti quando mi picchiavi perché non ero stato perfetto”. Lo picchia per renderlo più forte, perché i bianchi non possano mai giudicarlo ma, allo stesso tempo, sta ben attenta a fare in modo che i lividi non siano in bella vista, perché lei stessa non vuole essere giudicata da loro.

Un rapporto ambivalente e contraddittorio, che si rivela distruttivo per Kie e per la sua dipendenza dal cibo. Nel tentativo di proteggerlo, sua madre finisce per coinvolgerlo in una spirale di bugie e dipendenze. Si vogliono bene, si amano, lui per lei è il suo migliore amico, ma non riescono a dirsi la verità. Lei non sa niente di lui, lui non sa niente di lei.

Quello in cui cresce Kiese è un mondo in cui il dolore è fuori e dentro casa, in cui chi ha potere ferisce chi non ne ha. “I bianchi erano addestrati a ferirci in modi in cui non avremmo mai potuto ferire loro”, scrive Laymon. Ma, allo stesso modo, “i genitori erano addestrati a ferire i figli in modi in cui un figlio non avrebbe mai potuto ferire un genitore”.

Kiese viene ferito più volte nel corso della sua vita; assiste e subisce ingiustizie, prevaricazioni, abusi (sessuali e non). Prima espulso dal college, riesce poi a ottenere il posto di professore di ruolo al Vassar College. Si sente libero lontano da sua madre, si sente libero quando frequenta l’università. Non lo è mai davvero: ovunque vada, non può fare a meno di confrontarsi con una realtà che lo vuole prigioniero. Prigioniero di rapporti infelici e disonesti, di segreti e di un disturbo alimentare che non si estingue mai.

Dalle abbuffate Kie passa ai digiuni forzati, a un processo di dimagrimento metodico e compulsivo: ancora una volta, punisce se stesso affamando il suo corpo, come se liberarsi del suo peso potesse renderlo davvero libero. Anche questa è un’illusione: “il mio corpo sapeva che a 72 chili e con il 2 per cento di grasso corporeo non ero più emancipato o libero di quanto non fossi a 145 e con le articolazioni malandate”.

La verità rende liberi, e nella famiglia di Kie nessuno l’ha mai detta. Queste sono le parole di sua madre nell’unica conversazione onesta tra lei e suo figlio quando si ritrovano in un casinò, entrambi schiavi della dipendenza dal gioco d’azzardo. Per la prima volta Kie le confessa di averle mentito, “a volte perché non sapevo come dirti la verità, altre perché non credevo potessi reggere la verità”. Ma tra loro c’è troppo risentimento, troppa rabbia. Sono due persone consumate dalle loro stesse bugie e dipendenze. Si promettono di essere onesti in futuro, ma “nessuna promessa significativa viene mai fatta o mantenuta nei casinò”.

L’ultimo capitolo del memoir è amaro e, soprattutto, irrisolto: non c’è spazio per un lieto fine, solo per una consapevolezza. Quella che “non può esserci liberazione se i nostri rapporti più intimi si basano su inganno, abusi (…) e smaccate bugie”. Ricordare fa male perché la verità fa male, ma è necessario. Laymon sa che non potrà mai liberarsi dal peso di ciò che è e di ciò che ha vissuto, così come non potranno dimenticare “i figli neri di questo paese”. Ma tutti insieme dovranno guarire, imparare a essere sinceri, generosi e gentili l’uno con l’altra.

“Volevo scrivere una bugia”, sono le parole di Kiese Laymon all’inizio del suo memoir. “Invece ti ho scritto questo. Ti prego, non essere arrabbiata con me, Mamma. Volevo solo che capissi dove sono passato. Volevo solo che capissi dove siamo passati”.

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